(Ri)scoprire Benedetta Bonfiglioli

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Le vicende raccontate da Benedetta Bonfiglioli hanno vari spunti di originalità e questo premio Andersen si è rivelato una bella scelta

di Anna Calonico

 

È arrivato l’autunno, il momento di tirare le somme: che cosa è successo nei mesi caldi? Per quanto riguarda la narrativa per ragazzi c’è stata la manifestazione del Premio Andersen che, ricca di libri, e di autori come al solito, si è dimostrata un’ottima occasione per scoprirne di nuovi.

È il caso di Benedetta Bonfiglioli, che con il suo Senza una buona ragione è risultata vincitrice nella categoria “miglior libro oltre i 15 anni”.

Non parleremo esclusivamente di questo romanzo perché è già stato recensito da quotidiani e riviste di settore che di certo non si lasciano scappare un simile evento, e anche perché, ripeto, la kermesse è una golosa occasione per conoscere autori, non solo libri, mai letti.

Parliamo, quindi, di Benedetta Bonfiglioli, insegnante di letteratura inglese al liceo, mamma di due gemelli, appassionata di lavori manuali, della corsa, dei thriller, delle cose quotidiane e della fantasia. Forse può sembrare una descrizione semplicistica, ma vedremo in questa breve carrellata delle sue opere quanta parte di lei si può trovare sia nel libro vincitore che nei precedenti.

L’inizio della sua carriera risale al 2012 con la pubblicazione di Pink Lady, finalista al premio Bancarellino. Una lettura senza pretese ma deliziosa, che mi ha ricordato il film Il tempo delle mele. La protagonista, la diciassettenne Anna, oltre a qualche piercing sul viso a farle da casco di protezione contro il mondo, ha i capelli rosa, ma non è questo il motivo per cui viene soprannominata “signorina rosa”: Anna è aspra e dolce come la varietà di mele chiamata pink lady, un innesto tra una aspra mela rossa e una gialla più zuccherina. Dopo un terribile lutto, la morte della figlia maggiore, la famiglia di Anna si rifugia a Belmonte, un paesino della pianura Padana che, guarda un po’, ci ricorda le piccole cose del paesello in provincia di Reggio Emilia in cui vive l’autrice. Poco alla volta Belmonte aiuta Anna ad uscire dalla sua corazza e a riprendersi. Complici il diario segreto di una coetanea del passato e un pizzicorio al cuore che aumenta di intensità quando si avvicina Marco. Ebbene sì, nonostante la tragedia iniziale si tratta di una storia d’amore. Anzi due, perché seguiamo anche la passione segreta e impossibile tra Ete e Paolo, ma per quanto possa sembrare banale e scontata non è una narrazione melensa e noiosa. Tratta anche altri temi, come l’amicizia e la difficoltà di fidarsi a causa dei piccoli e grandi tradimenti della vita, oppure l’abisso apparentemente incolmabile che può accadere tra genitori e figli. È un tema caro all’autrice, che infatti caratterizza la protagonista a suon di piercing per dimostrarci che gli adulti non la vedono, ma qui viene aggiunto un’altra tematica come scusante: la perdita di una persona cara (pensiamo a Piccole donne o, per citare un titolo moderno, Bianca come il latte, rossa come il sangue di Alessandro D’Avenia). Devo ammettere che, nonostante la durezza di questi temi, le pagine scorrono veloci e tranquille, fin troppo tranquille, dato che la sofferenza perenne di Anna e dei suoi genitori non traspare se non quando è ben dichiarata a parole, ma questa mancanza di profondità, pur essendo un notevole difetto, in questo libro limpido e ingenuo aiuta a mantenere un senso di positività latente, proprio come ne Il tempo delle mele.

Il 2013 è l’anno di Tutto il cielo possibile, un romanzo di crescita che ho sentito definire come «un fantasy un po’ romantico o un romance un po’ fantastico, che sfida le leggi del tempo e trova nel passato la chiave per la rinascita del presente». Una storia inusuale, dove, come nel romanzo d’esordio, passato e presente si incrociano e si completano, usando il salto nel tempo come pretesto per raccontare i dubbi e i progressi di Adele: ancora una volta, la protagonista è una giovane che fatica a stare al mondo. Il padre, morto quando lei era piccola, continua a “vivere” nella fantasia di della ragazza come il supereroe che avrebbe reso migliore (perfetta) la sua vita; la madre sta per risposarsi con un uomo che lei non sopporta e, naturalmente, la protagonista è un’adolescente timida e scorbutica che riesce a stare bene soltanto recitando in teatro, dove basta cambiare personaggio da interpretare per cambiare vita, e dove con una maschera ci si nasconde. Il “lui” della storia è Lorenzo: ovviamente un tipo tutto diverso, bello, sicuro, curioso, pieno di vita e appassionato di fantascienza, muscoloso e senza cervello… o almeno così sembra. Come nelle storie più romantiche (ma Tutto il cielo possibile non è propriamente tra queste) l’incontro avviene in una giornata di pioggia e i due sono costretti a ripararsi in un locale dall’arredamento anni ’50 e la musica antiquata: è la porta che permette di viaggiare nel tempo, come l’armadio delle Cronache di Narnia, e i ragazzi si ritrovano nel 1999, davanti a qualcuno che dovrebbe essere morto. Non si tratta nemmeno di una storia horror, e, ribadisco, neanche di voli fantastici: si parla ancora di normali problemi adolescenziali come il senso di invisibilità e inadeguatezza o i primi tremori amorosi, e sono trattati con schiettezza, senza giri di parole o infiorettature. L’impossibile viaggio è un mezzo per far sfiorire l’immagine illusoria del padre man mano che Adele prende forma e si avvicina a Lorenzo: assistiamo ad un percorso evolutivo tenero e veloce come tutte le storie della Bonfiglioli, che non perde tempo in descrizioni e flussi di pensieri, ma porta il lettore dritto nella vita dei personaggi.

L’anno dopo, l’autrice vince il premio Castello con My Bass Guitar. Il protagonista questa volta è un maschietto, Noah, adolescente arrabbiato (per ottime ragioni: padre mai conosciuto e madre rinchiusa in casa di cura per Alzheimer) che riesce ad andare avanti, a fatica, grazie alla musica. Noah è un appassionato pianista, ma siccome lo strumento gli ricorda la madre, preferisce suonare il basso e fa parte della band dei Black Hole insieme al suo migliore amico Cristiano, uno di quei ragazzi belli e sicuri di sé che non hanno problemi nella vita e piacciono alle ragazze. Quando poi compare in scena Lisa, nuova compagna di banco e nuova voce femminile dei Black Hole, i due amici entrano in disaccordo. Noah, a causa della sua situazione familiare e della presenza di Lisa, è come uno strumento stonato e non riesce ad accordarsi al mondo. Ancora una volta vengono trattati i soliti temi cari all’adolescenza, ma non crediate che si tratti di un libretto da poco: è armonioso e accattivante come una di quelle canzoni rock che tirano fuori rabbia e malinconia, dolcezza e forza. È un romanzo che si legge in fretta, rapiti dagli accordi aspri che si alternano e si sovrappongono a quelli teneri, non ha una parola di troppo e la sua secchezza è uno dei pregi maggiori della narrazione, che in questo modo sfila via veloce impedendoci di interrompere la lettura.

All’americaneggiante My Bass Guitar seguono Tutte le cose lasciate a metà (introvabile, purtroppo) e In attesa di un sole, una storia basata sulla giovinezza della poetessa Emily Dickinson. Viene pubblicata anche una raccolta di racconti, Zucchero e sale, sui diversi punti di vista del crescere, e infine si arriva al premiato Senza una buona ragione.

La trama è apparentemente semplice: Bianca vede sgretolarsi la sua vita in poco tempo: l’amatissimo fratello la lascia per andare a studiare in Francia, la scuola diventa un inferno a causa delle cattiverie continue di una compagna di classe, perde il cane Birillo e gli amici Olivia e Chicco a causa degli scherzi sempre più crudeli di cui è vittima in classe e fuori. Un tunnel sempre più nero, in cui l’unico appiglio è Mila, una studentessa a cui Bianca, stranamente, non aveva mai fatto caso.

Non penso che questo libro abbia vinto solo perché parla di un problema estremamente attuale come il bullismo. Credo piuttosto che sia stato premiato per come ne parla: infatti, il punto di forza è senza dubbio la struttura del romanzo, che alterna brani scritti in terza persona a capitoli in prima che rappresentano le pagine del diario della sua aguzzina. All’inizio si può restare un po’ spiazzati da questo continuo cambio di tono, ma presto si capisce (o si crede di capire) chi sta parlando e le sue vuote motivazioni. Finché, man mano che la storia va avanti, si viene colti da dubbi e da perplessità ancora maggiori: ma si può arrivare a tanto “senza una buona ragione”? Perché nessuna delle motivazioni a noi conosciute può giustificare tanta cattiveria.

Anche in questo testo si sente la personalità della scrittrice, amante dei thriller, che ci accompagna per mano sino al colpo di scena, e anche qui la scrittura ci avvinghia tanto da arrivare alla conclusione in un attimo. A lettura ultimata rimane una domanda: è questo il bullismo? Sì. Provate a leggerlo, e voi, adulti, ditemi se non vi sentite in colpa e impotenti. L’accusa, più o meno velata, alla sbadataggine dei grandi è una caratteristica comune di tanta narrativa per ragazzi, così come è comune dare ai personaggi un’ancora di salvezza, spesso rappresentata da un amico, ma altrettanto spesso da una passione come il teatro o la musica. Nonostante le similitudini con altri testi, le vicende raccontate da Benedetta Bonfiglioli hanno vari spunti di originalità e questo premio Andersen si è rivelato una bella scelta. L’autrice è stata per me una felice scoperta e leggere le sue storie amarognole ma a lieto fine è stato interessante e piacevole e, anche se non ero sotto l’ombrellone, mi ha fatto passare alcune ore deliziose.

 

Benedetta Bonfiglioli

Senza una buona ragione

Pelledoca, 2021

  1. 220, euro 16,00