ROSA, COMPAGNA, FOTOGRAFA

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Tina Modotti in mostra a Udine

di Anna Calonico

 

Tina Modotti, sorella, non dormi, no, non dormi: forse il tuo cuore sente crescere la rosa di ieri, l’ultima rosa di ieri, la rosa nuova. Riposa dolcemente, sorella. La nuova rosa è tua, tua è la nuova terra: ti sei messa un nuovo vestito di seme profondo e il tuo soave silenzio si colma di radici. Non dormirai invano, sorella. Puro è il tuo dolce nome, pura è la tua fragile vita: d’ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma; d’acciaio, linea, polline si costruì la tua ferrea, esile struttura. […] Un mondo marcia verso dove andavi tu, sorella. Ogni giorno cantano i canti delle tue labbra sulle labbra del popolo glorioso che tu amavi. Col tuo cuore valoroso. […] Perché il tuo fuoco non muore.

Un sintetico quanto eloquente ritratto di Tina Modotti questo di Pablo Neruda: donna eclettica, dai molti volti, dalla volontà decisa ma anche anima molto fragile, che è riuscita, anche dopo la morte, a lasciare un segno. In realtà, la sua tomba a Città del Messico pare sia seminascosta da sterpaglie e dall’incuria del tempo, pare che non venga visitata molto spesso, ma il ricordo del personaggio che è stata vive, coinvolge e affascina ancora, anzi forse, finalmente, comincia ad essere conosciuta dal grande pubblico, e apprezzata per la sua forza e per il suo lavoro di fotografa.

Nel suo paese d’origine è senz’altro apprezzata la mostra a Casa Cavazzini “Tina Modotti, la nuova rosa. Arte, storia, nuova umanità” realizzata con il sostegno della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, del Comune di Udine, dei Musei di Udine e, soprattutto, del Comitato Tina Modotti, a cui si devono la conservazione e l’esposizione delle fotografie. Come dice il titolo, lo scopo è quello di mettere in luce i vari aspetti di una donna che, nata a Udine, si è ritrovata, per destino e per scelta, a operare in paesi lontani: gli Stati Uniti, il Messico, la Russia, la Spagna. In questi stati, e non solo, si forma la sua vita di donna, sposa e amante, di compagna, rivoluzionaria e membro attivo del Comitato Manos fuera de Nicaragua e del Soccorso Rosso spagnolo, e di fotografa. La biografia di Tina, bella, intelligente e passionale, sembra un romanzo e una buona parte dell’esposizione riguarda le sue vicissitudini, ben strutturata e ricca d’immagini tratte dalla vita privata e dal lavoro di attrice, alternate a frasi eloquenti: “Non posso accettare la vita così com’è, troppo caotica, troppo inconscia. Ecco la ragione della mia resistenza nei suoi confronti, della mia lotta contro di essa. Cerco sempre di lottare per modellare la vita secondo il mio temperamento e le mie necessità. In altre parole metto troppa arte nella mia vita, troppa energia e di conseguenza non mi rimane molto da dare all’arte” (da una lettera a Weston). È proprio la sua arte, invece, a destare l’attenzione maggiore, per la sua capacità di trovare anche nelle cose semplici di tutti i giorni l’interesse, l’originalità.

Osservatrice acuta e professionista attenta, amante della sua gente e capace di metterne in risalto il coraggio e la sensibilità con un solo scatto, realizza varie foto con delle mani come soggetto: sono mani di contadini, di lavandaie, di muratori. Sono mani che faticano o che leggono El machete, il giornale messicano cui la stessa Tina collabora. Oppure sono i volti che la Modotti inquadra in ritratti emozionanti: donne messicane vestite di stoffe e colori, intente alle faccende di casa o con grosse brocche in testa, con bambini nudi in braccio o con una grande bandiera; bambini dagli occhi enormi, bambini che giocano nelle strade; ancora operai, uomini che faticano, o immagini dei suoi amici e dei suoi uomini. Famosa l’ultima fotografia scattata a Juan Antonio Mella, giovane comunista cubano amante della Modotti che venne assassinato in strada mentre rientrava proprio in sua compagnia. Altrettanto famosa la fotografia della macchina da scrivere di Mella, con un foglio che reca stampate alcune frasi tratte da uno scritto di Trotzkij.

Celebri anche alcune sue composizioni “impegnate”: una chitarra, una cartucciera e una pannocchia, sostituita in un’altra da una falce, rappresentano originali nature morte, vigorose pur nella loro staticità, in cui i pochi elementi rappresentati fungono da simboli di vita e di credo politico.

Era al grande fotografo Edward Weston, con cui la Modotti aveva avuto un’intensa storia d’amore fino alla partenza di lui per la Russia, che la giovane confidava i suoi problemi quotidiani, sia quelli che riguardavano l’impegno civile tra i compagni messicani, che Weston non appoggiava pienamente, sia quelli lavorativi, sulle sue incapacità espressive con la macchina fotografica: “Il materiale che si trova nelle strade è ricco e meraviglioso, ma il modo in cui sono abituata a lavorare, impostando lentamente la mia inquadratura, non è adatto a questo tipo di lavoro. Quando sono riuscita a mettere a punto la composizione o l’espressione, l’immagine è già andata. Mi pare di voler fare l’impossibile e allora non faccio nulla”. Non sono moltissimi i suoi scatti nei primi tempi, quando era continuamente occupata con manifestazioni politiche, ma quasi sempre si possono considerare frutto di impegno civile e denuncia del degrado delle condizioni umane, a volte sono quasi un grido dignitoso, senza pietismo, dei crimini subiti dai più miserabili. Altre volte, invece, ricercano punti originali negli oggetti comuni: curiose composizioni di fili della luce, di canne di bambù, di bicchieri: mentre lei dichiarava “Mi considero una fotografa, niente di più; e se le mie fotografie si differenziano da tutto quello che generalmente viene prodotto in questo campo, è proprio perché io cerco di produrre non arte, ma fotografie oneste, senza trucco né manipolazioni, mentre la maggioranza dei fotografi cercano ancora effetti artistici o l’imitazione di altri mezzi di espressione”, il critico Gustavo Ortiz Hernán a proposito delle sue foto scriveva: “…una foto particolarmente bella: la composizione di coppe di cristallo, nella quale le caratteristiche estetiche si fondono armoniosamente con un ritmo e una musicalità avvertiti per associazioni di idee. La forza suggestiva di questa immagine è immensa. Il perfetto sincronismo delle trasparenze è magnifico. In un altro gruppo, compaiono scene della nostra vita quotidiana: opere in costruzione, scale, stadi, fili della luce… Tutto ciò che siamo abituati a vedere ogni giorno, e a cui siamo normalmente indifferenti, acquista spessore e personalità, persino una sfumatura esotica. Le fotografie di Tina Modotti simbolizzano gli aneliti e le ansie della nuova generazione verso la conoscenza di ogni cosa, il bisogno di esaminare e approfondire, di scoprire tutte le sfaccettature della realtà”.

Per non parlare delle calle di cui Pino Cacucci offre una bella descrizione nel suo libro Tina, edito da Feltrinelli: “Gli steli emergono per primi, stagliati contro lo sfondo di intonaco grigio, segnato dagli umori di chissà quante mani. Poi i chiaroscuri isolano il biancore dei due fiori, una coppia sinuosa di calle che si protendono verso la luce, verso l’alto, divergenti e separate da un sottile confine di vuoto che ne impedisce il contatto. […] In Messico, quel fiore, si chiama alcatraz. Alcatraz. Chi sarà mai stato così cinico e crudele da dare il nome di un fiore tanto sensuale al carcere di San Francisco? Un fiore che nella sua forma slanciata sembra un simbolo di libertà riconquistata, l’emblema di una natura carnale, palpitante di calore solare, un invito a colmarla di pioggia tiepida, un richiamo a fecondarla di vita”. Anche nell’opinione dello scrittore piemontese, quindi, Tina Modotti e le sue fotografie sono strettamente connesse ai concetti di bellezza, sensualità, passione ma anche fierezza e coraggio, un miscuglio affascinante di contrasti che ancora oggi rendono “nuova” l’umanità con cui lavorava.

 

UNA VITA TRA ARTE LOTTA E AMORE

 

Assunta Adelaide Luigia Modotti (Udine, 1896 – Città del Messico 1942), fotografa e attrice, nel 1913 emigra con la famiglia in America e si dedica al teatro. Nel 1918 sposa il pittore Roubaix “Robo” de l’Abrie Richey e si trasferisce a Los Angeles dove nel 1920 debutta nel cinema recitando in “The tiger’s coat”. Conosce il fotografo Edward Weston, ne diventa l’amante e il marito fugge in Messico. Quando la Modotti lo raggiunge Robo è appena morto di vaiolo, nel 1922. Rimasta in Messico con Weston, frequenta esponenti dei circoli bohèmien e del Partito Comunista Messicano. Conosce i pittori Diego Rivera e Frida Khalo, nel 1927 s’iscrive al PCM e inizia il suo periodo più attivo come militante del partito e come fotografa (forse aveva iniziato grazie allo zio Pietro, fotografo), pubblicando le sue opere su El Machete. La sua prima mostra è del 1929, acclamata come “la prima mostra fotografica rivoluzionaria in Messico”. Nel frattempo Weston si è allontanato e la Modotti ha iniziato una relazione con Juan Antonio Mella, militante del partito ucciso da un sicario mentre rientrava insieme a lei. L’anno seguente viene espulsa dal paese e viaggia per l’Europa, si trasferisce a Mosca con Vittorio Vidali e viaggia, soprattutto in Francia e in Spagna, lavorando per il Comintern e partecipando attivamente alla guerra civile spagnola. Nel 1939 torna in Messico con Vidali. Muore a Città del Messico nel 1942, in circostanze sospette, ma forse per un attacco di cuore.

 

Mani di operaio con badile, 1926 (Comitato Tina Modotti)