Il barone dell’utopia

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Fortune e sventure degli Hütterott da Trieste al Giappone e all’Istria

I grandi sogni di Johann Georg che si innamorò di Rovigno

di Roberto Curci

 

La storia, si sa, è prodiga di sorprendenti cortocircuiti. Può succedere – è successo – che un ricco imprenditore triestino di origini tedesche, Johann Georg Hütterott (1852-1910), fondi nel 1893 una società chiamandola Prima Pilatura Triestina del Riso, e che tra 1943 e 1945 la struttura in cui la Pilatura aveva preso domicilio divenga un epocale epicentro della barbarie nazista: la Risiera di San Sabba. Può succedere – è successo – che in quello stesso 1945 l’anziana vedova di Hütterott, Maria, e la figlia Barbara vengano massacrate a sprangate in Istria: vittime insensate della barbarie titina. Talora gli opposti tristemente coincidono.

Del barone Hütterott si sa molto più nella vicina penisola che nella città natale, grazie agli studi di una ricercatrice istro-veneziana, Silvia Zanlorenzi, e di un pool di studiose croate che nel 2020, dopo quattro anni di lavoro e grazie all’impegno editoriale dell’Archivio di Stato di Pisino e del Museo Civico di Rovigno, hanno prodotto un ponderoso volume intitolato Famiglia Hütterott: l’eredità.

Gli Hütterott, dunque: esponenti di quella che la storica Anna Millo ha definito «l’élite del potere a Trieste», assieme ai Ralli, agli Economo, ai Parisi, ai Vivante, agli Albori, ai Sordina, eccetera eccetera. Johann Georg (o più semplicemente Giorgio) inizia la carriera capeggiando – ventitreenne – una delegazione triestina all’Esposizione internazionale di Filadelfia e stendendo poi un’entusiastica relazione in cui sostiene che «l’America è il paese dell’avvenire!». Poco dopo, però, si innamorerà del Giappone, diverrà un assiduo collezionista di stampe e oggetti d’arte nipponici: nel 1879 sarà il primo europeo a diventare console onorario di un paese che solo dalla metà dell’Ottocento si è aperto al mondo, e in Giappone andrà anzi a vivere con la moglie per un paio d’anni (l’imperatore lo premierà conferendogli l’Ordine del Sol Levante per aver contribuito alla diffusione della cultura orientale).

A Trieste, dove risiede nella zona “bene” del rione di Chiadino, nella suggestiva villa rossa che oggi figura al civico 51 di via della Ginnastica, Hütterott fa invece collezione di presidenze e direzioni di istituzioni e società, tra cui il prestigioso Stabilimento Tecnico Triestino. Ma già dal 1890 i suoi interessi guardano altrove e volano alti. Acquista le quattro isolette dell’arcipelago a Sud di Rovigno, nella maggiore delle quali, Sant’Andrea (oggi Isola Rossa), fa restaurare un complesso monastico trasformandolo in castello-residenza; e acquista pure ampi terreni costieri, nella zona di Punta Corrente, o Cap Aureo, con grandiosi progetti che si avvereranno solo in parte.

Sostanzialmente tre i suoi obiettivi: la creazione di un vasto parco naturale, grazie a rimboschimenti e immissione di piante mediterranee ed esotiche, scelte personalmente con passione da intenditore; la costruzione di un complesso di alberghi, ville e un sanatorio climatico in una zona verde già attrezzata; più in generale, la crescita turistica dell’intera riviera rovignese, in una prospettiva concorrenziale rispetto alla già rinomata Abbazia.

Nel ventennio in cui si dedica a questi progetti con visionaria tenacia (solo il primo sarà realizzato, lui vivente), Hütterott riceve ospiti illustri, che lasciano ammirata testimonianza delle proprie visite, spesso trasformatesi in lunghi soggiorni, in un libro-registro intitolato Cissa Insel, dal nome di una delle isole divenute proprietà del barone: si succedono principi e principesse d’Asburgo, nobili di Sassonia, Baviera e Liechtenstein, ma anche ammiragli della k.u.k. Marina di Pola, imprenditori e scienziati. Nel 1910 il “regno” di Hütterott (frattanto nominato pure alla Herrenhaus di Vienna, la Camera dei Signori, ramo del Parlamento riservato a rari eletti: principi, nobili, alti prelati) viene visitato dall’erede al trono, quel Francesco Ferdinando che verrà ucciso quattro anni dopo a Sarajevo.

Ma il 1910 è anche l’anno in cui il sogno si spezza. Un improvviso crack finanziario travolge il barone, che a 57 anni si suicida a Trieste con un colpo di pistola. La moglie (una francese nativa di Bordeaux, Marie Henriette Enrichetta) e le due figlie, Hanna e Barbara Elisabetta, zittiscono lo “scandalo” addebitando il decesso a una non meglio identificata “breve malattia”, e continuano a risiedere in Istria anche se ormai si comprende che gran parte dei magnanimi progetti del barone rimarrà sulla carta.

Dovrà passare più di un secolo perché sulla vicenda si faccia finalmente luce, anche se nel libro curato dalle studiose croate nel 2020 si glissa sulle cause del «tragico destino» di Maria e di Barbara, «scomparse – si limita a scrivere Tajana Uji nel prologo – subito dopo la fine della seconda guerra mondiale». In realtà, è ben noto che il loro barbaro assassinio avvenne per mano di un commando di partigiani sbronzi, di cui si sanno perfino i nomi, che si sbarazzarono dei corpi gettandoli in mare. (Nel libro di Dragan Velikic recensito da Diego Zandel nel numero di aprile del Ponte rosso, Il quaderno scomparso a Vinkovci, si sostiene che i massacratori sarebbero stati uomini dell’Ozna, la polizia segreta di Tito).

Non basta. Inizia la razzia da parte dei titini dei beni preziosi degli Hütterott, arredi e oggetti d’arte, che vengono distrutti o dispersi, e in buona parte – come pare – finiscono per ornare le residenze di Tito a Brioni o la sede dell’Ozna stessa. Ora, con tardiva resipiscenza, il libro sull’”eredità” della famiglia si propone di schedare quanto fortunosamente sopravvive in Archivi e Musei istriani, ma anche «di stimolare i collezionisti privati e quanti siano casualmente in possesso di beni appartenuti alla famiglia a segnalare gli oggetti di cui dispongono e contribuire così alla completa catalogazione dell’intero patrimonio familiare».

Intenti generosi, forse un tantino ingenui. Nell’estate del 2020, il Museo Civico di Rovigno ha comunque allestito una mostra, intitolata “Galleria in Pelago”, con i superstiti dipinti della collezione. Un parziale risarcimento, certo, un segnale di postuma riconoscenza. Ma nella consapevolezza che molto del ben di Dio accumulato dall’illuminato barone utopista è finito da tempo chissà dove…

 

 

 

Un tratto della costa

di Punta Corrente, a Sud di Rovigno