Sei personaggi cent’anni dopo

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Dietro l’affascinante storia dei sei personaggi, si cela una fondamentale analisi che riguarda il rapporto tra il testo drammatico e i suoi interpreti

di Paolo Quazzolo

 

Ha cent’anni ma non li dimostra: forse mai frase fatta è stata più adeguata per indicare l’incredibile modernità uno dei più celebri drammi del Novecento teatrale italiano, che il 9 maggio compie il secolo di vita: i Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello. Il testo, che rappresenta uno dei lavori più interessanti prodotti dalla drammaturgia occidentale degli ultimi cent’anni, va in scena a Roma, al Teatro Valle a opera della compagnia diretta da Dario Niccodemi. Ne sono interpreti principali Luigi Almirante nel ruolo del Padre, Vera Vergani in quello della Figliastra e Alfonso Magheri in quello del Direttore.

La vicenda, ampiamente nota, è quella di una compagnia di prosa che, durante le prove di uno spettacolo, viene interrotta dall’arrivo di sei misteriosi individui, i quali dicono di essere personaggi il cui autore si è rifiutato di creare sino in fondo la loro vicenda. Per questo motivo essi si rivolgono al regista della compagnia chiedendo di poter vivere sul palcoscenico la loro storia e, così, dare forma alla loro esistenza.

La curiosa vicenda costituisce la prima parte della Trilogia del Teatro nel teatro, un progetto che sarebbe poi continuato con il meno fortunato ma, in verità, estremamente interessante Ciascuno a suo modo (1924) e concluso con il celebre Questa sera si recita a soggetto, presentato per la prima volta in Germania, in lingua tedesca, nel 1930.

“Teatro nel teatro”: un’espressione usata da Pirandello ed entrata nel linguaggio comune per indicare quello che oggi, con un termine apparso agli inizi degli anni Sessanta, si definisce “metateatro”, ossia quella situazione che avviene quando il teatro, attraverso la rappresentazione scenica, parla di se stesso. In verità tale tecnica non è stata inventata da Pirandello, ma esiste da quando si fa spettacolo. La ritroviamo, per esempio, nelle Tesmoforiazuse di Aristofane, nella parte centrale dell’Amleto, nell’Improvvisazione a Versailles di Molière, o ancora nel Teatro comico di Carlo Goldoni, solo per citare alcuni celebri esempi. Nel caso di Pirandello, tuttavia, il “gioco” del metateatro si arricchisce di tutta una serie di implicazioni teoriche, che propongono delle riflessioni attorno ad alcuni importanti problemi allora vivacemente di battuti. L’avvento della regia teatrale sin dagli ultimi decenni dell’Ottocento, l’intensificarsi dell’attività interpretativa sul testo drammatico, il problema del rapporto tra il pubblico e l’opera d’arte, sono solo alcuni degli argomenti posti al centro della riflessione teorica nella trilogia del Teatro nel teatro. Le considerazioni proposte da Pirandello dimostrano che, in un teatro soggetto a un profondo rinnovamento, i vari elementi che lo costituiscono sono destinati inesorabilmente ad entrare in contrasto tra di loro. I tre drammi della Trilogia, infatti, vogliono dimostrare lo scontro che si viene a creare tra il testo drammatico e l’interpretazione registica, tra i personaggi e i loro interpreti, tra la platea e il palcoscenico e, soprattutto, tra la vita che è in costante trasformazione e l’opera d’arte che rimane eternamente uguale a se stessa. Tali contrasti provocano l’irruzione della realtà esterna sul palcoscenico: nei Sei personaggi assistiamo all’improvvisa morte dei due bambini; in Ciascuno a suo modo il personaggio della realtà, non sopportando di vedersi riprodotta sul palcoscenico, va a schiaffeggiare la prima attrice; in Questa sera si recita a soggetto vediamo l’improvviso malore che colpisce l’attrice principale. Tutti eventi che dimostrano come la finzione del palcoscenico non può convivere con la realtà della vita quotidiana: quando tale realtà entra violentemente nella finzione, ne provoca una inevitabile interruzione. In altre parole, Pirandello, con mezzi artistici raffinati, ci sta dimostrando quanto può accadere durante una qualsiasi rappresentazione teatrale e in modo molto più banale: un black out, un improvviso incidente di scena, non sono altro che l’imprevisto ingresso della realtà esterna nella finzione teatrale, con conseguente inevitabile interruzione dello spettacolo.

I Sei personaggi in cerca d’autore propongono una serie di interessanti riflessioni attorno al problema dell’interpretazione del testo drammatico. In un’epoca in cui la regia teatrale stava muovendo i primi passi e, soprattutto, in un paese quale l’Italia dove l’ingresso di questa nuova attività artistica fu a lungo osteggiato dai mattatori teatrali restii a perdere quel ruolo di centralità acquisito nel corso del tempo, le riflessioni di Pirandello assumono valore di grande modernità. Dietro l’affascinante storia dei sei personaggi, si cela infatti una fondamentale analisi che riguarda il rapporto tra il testo drammatico e i suoi interpreti. Mettendo a fuoco un tema che in verità ha sempre toccato il teatro e che sarebbe divenuto centrale soprattutto nel corso del Novecento con il progressivo affermarsi della regia, Pirandello dimostra come non sia possibile conciliare in modo completo la visione dell’autore drammatico con quella del suo interprete. Per fare ciò, l’autore siciliano pone al centro dei Sei personaggi la famosa scena dell’atelier di Madama Pace, nel retrobottega del quale avvengono incontri equivoci: qui il Padre, senza saperlo, ha un appuntamento con quella che si rivelerà essere la sua Figliastra. La scena, proposta in un primo momento dei due personaggi, viene replicata dalla prima attrice e dal primo attore della compagnia: di fronte a tale replica, che inevitabilmente avviene con modalità diverse, in quanto gli attori stanno, appunto, interpretando, reagiscono quasi scandalizzati i personaggi, i quali non riescono a riconoscersi in quanto stanno facendo gli attori. I personaggi rappresentano dunque l’opera d’arte immutabile, gli attori la vita scomposta e mutevole.

Ma all’interno del testo vengono affrontati numerosi altri problemi, come ad esempio la creazione di un personaggio, che viene esplicitata attraverso l’evocazione di Madama Pace, che giunge sulla scena in quanto è l’unica che possa dirimere un contrasto sorto tra il Padre e la Figliastra, consentendo quindi il prosieguo della rappresentazione. Oppure ancora, nella parte finale del dramma, l’ambiguità che il teatro ha sempre portato con sé nel momento in cui la finzione scenica diviene così realistica da confondersi con la verità. Non a caso, nella scena finale, quando assistiamo al suicidio del bambino, gli attori della compagnia, accorsi dietro al fondale dove si è consumato il misfatto, non riescono a capire se si tratti, appunto, di una finzione scenica oppure di una drammatica realtà.

Un testo, i Sei personaggi, ricchissimo di riflessioni teoriche, certamente non facile da comprendere in ogni sua sfumatura ma, come tutte le grandi opere, capace di esercitare un profondo fascino anche sulla platea meno preparata. Ed effettivamente, al suo primo apparire di fronte al pubblico romano, conservatore e meno disposto alle novità rispetto, per esempio, la più emancipata platea milanese, il testo ebbe accoglienze molto contrastate. La prima rappresentazione del 1921 è rimasta famosa nella storia del teatro proprio per i suoi esiti burrascosi di fronte a un pubblico che, come raccontano le cronache, al termine salutò la rappresentazione al grido di “Manicomio! Manicomio!”. In verità, rileggendo le cronache di quella serata, se ne deduce che la prima parte dello spettacolo, forse quella di più immediata comprensione, fu salutata in modo positivo. Solo verso la fine, dove l’aspetto teorico diviene più complesso, parte della platea reagì in modo negativo, a fronte di un altro gruppo di spettatori che, viceversa, applaudiva lo spettacolo. Al termine della rappresentazione Pirandello venne fatto uscire da una porta secondaria, mentre le due opposte fazioni di spettatori continuavano a rimanere in sala insultandosi vicendevolmente. Fatto defluire a fatica il pubblico, i più vivacemente coinvolti nella disputa continuarono a scontrarsi fuori dal teatro fino a giungere, come si racconta, alle mani. Solamente l’intervento delle forze dell’ordine riuscì a ristabilire la calma: altri tempi, in cui il teatro era capace di infiammare, oltre ogni limite, gli animi degli spettatori!

Le non troppo favorevoli accoglienze della prima romana suggerirono a Pirandello di rivedere il testo che, nonostante tutto, conobbe nel giro di poco tempo una notevole popolarità. Subito tradotto in numerose lingue, venne rappresentato con immediatezza nelle principali città europee e nord americane: nel 1922 è messo in scena a Londra e a New York, nel 1923 a Parigi, nel 1924 a Vienna e a Berlino: in quest’ultima città fu diretto da uno dei maggiori registi del tempo, Max Reinhardt. Particolarmente famosa è rimasta la messa in scena parigina del regista George Pitoëff, in cui i sei personaggi, vestiti di nero, entravano in scena attraverso il montacarichi del palcoscenico, avvolti da un’inquietante luce verdastra.

Considerato autore di grande successo, Pirandello in verità non sempre era in grado di riempire continuativamente le sale teatrali. Se è infatti noto l’esito burrascoso della prima dei Sei personaggi, di fronte un teatro esaurito in ogni ordine di posto, è molto meno noto il fatto che il capocomico Niccodemi, dopo la quarta rappresentazione, ritirò lo spettacolo dal cartellone perché non era in grado di riempire la platea.

Ed è altrettanto poco noto che la versione dei Sei personaggi messa oggi in scena, non è quella contestata a Roma nel 1921, ma si tratta della versione definitiva consegnata alle scene nel 1925 che, rispetto a quella originale, presenta numerosi cambiamenti, tagli, aggiunte, passaggi di battute da un personaggio all’altro, facendo così dei Sei personaggi un testo perfetto e immortale.

Quasi tutti i grandi registi e i grandi attori si sono voluti cimentare con la messa in scena dei Sei personaggi in cerca d’autore: famosa è rimasta la versione firmata da Giorgio de Lullo per la Compagnia dei Giovani, con Romolo Valli e Rossella Falk, di cui resta una preziosa documentazione video. Ma va anche ricordata la titanica impresa realizzata dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, unico nella storia ad aver realizzato una messinscena integrale della Trilogia, tra il 1988 e il 1989, affidandone la regia a Giuseppe Patroni Griffi.

 

Sei personaggi in cerca

d’autore

Compagnia dei Giovani

regia di Giorgio de Lullo