Sentimento e rivoluzione

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Un libro che pone domande cruciali per comprendere le origini, la natura e la diffusione degli ideali anarchici e socialisti nell’Italia del secondo Ottocento

di Fulvio Senardi

 

Chi, come il sottoscritto ha letto e gustato Di padre in figlio (il Mulino, 2015) di Elena Papadia – un’ampia indagine sul retroterra etico, sentimentale ed ideologico dei giovani che fecero la Grande Guerra – non può che rallegrarsi per l’uscita del nuovo libro della studiosa dell’Università di Roma, La forza dei sentimenti. Anarchici e socialisti in Italia. 1870-1900 (il Mulino, 2019, pp. 276, Є 25). Una ricerca che sonda il contesto storico che precede il periodo così ben esplorato, secondo le coordinate di cui si è detto, nel volume del ’15, e che di quel libro ha una stessa ricchezza di spunti, precisione di metodologia, eleganza di scrittura, qualità non indispensabile per uno storico, ma che rende piacevole la lettura. In quest’opera Papadia pone domande cruciali per comprendere le origini, la natura e la diffusione degli ideali anarchici e socialisti nell’Italia del secondo Ottocento, tutto sommato, e vedremo perché, rimasta zona grigia. Ciò che ha richiamato il suo interesse, come spiega nelle prime pagine, è «il primato del dato etico [che] accomuna in profondità anarchici e socialisti nell’Italia dell’Ottocento» quand’essi costituivano – prima della scomunica secondo-internazionalista dell’anarchismo e della svolta istituzionale e legalitaria dei “sovversivi” nel Partito socialista rivoluzionario di Romagna (1881) prima e poi, con respiro nazionale, nel Partito socialista italiano (1895) – «un magma fluido ed eterogeneo, soprattutto al livello della militanza di base» (p. 8).

Il dilemma che ha mosso la studiosa, e che il libro scioglie con fini messe a fuoco, è «se l’analisi dei sentimenti e delle emozioni» che muovevano questi attivisti dell’ideale nuovo e «in definitiva il racconto delle singole vite, possano contribuire a illuminare le ragioni di un’esperienza collettiva – e intensamente politica – di vita e militanza» (11). Per altro la prima generazione socialista italiana è, come si diceva, tema poco indagato (quasi che potesse ancora valere il drastico giudizio di Engels che la descriveva come «un ammasso di spostati»), in forza del pregiudizio che tutto ciò che precede in Italia la storia della Seconda internazionale vada collocato «su un piano minore, di confusa, ingenua, scomposta preparazione a ciò che di più serio sarebbe arrivato dopo» (15). Ed è invece proprio in questo “ammasso di spostati”, per restare alla formula di Engels, che Papadia intinge la sua cartina di tornasole, valorizzando «le fonti soggettive, esplora[ndo] il crinale tra la sfera pubblica e la sfera privata», analizzando il «il sostrato emotivo della politica e il carattere politico delle emozioni» (17).

Si aggiunga che Papadia è capace di sfatare con successo anche il resistente pregiudizio della «netta distinzione tra una sfera maschile regolata dalla razionalità e una femminile regolata dai sentimenti» (14): nelle pagine delle Forza dei sentimenti troviamo infatti figure di donne impegnate con dedizione ed energia “virile” nella causa rivoluzionaria (fra di esse Giuseppina Martinuzzi, grande figura delle nostre terre) e militanti che si abbandonano con tutta l’anima alla forza del sentimento, vissuto, come nel caso del rapporto giovanile di Ghisleri e Turati, che Papadia documenta riportando alcuni brani epistolari, «nello spazio incantato dell’amicizia» (140). L’amicizia come l’amore (si pensi a Kuliscioff e Andrea Costa) può infatti diventare «una sorta di corollario dell’amore per la rivoluzione, un esercizio di equilibrio tra il guardarsi negli occhi e guardare insieme nella stessa direzione» (211). Il contrasto di genere si riaffaccia però nella misura in cui sono più spesso i padri e i fratelli a veicolare anche verso il mondo femminile i valori dell’ethos democratico-risorgimentale, l’humus sul quale sovente matura la conversione al socialismo, mentre le madri appaiono più legate alla tradizione, soprattutto nel campo dei valori religiosi. Gli assi della ricerca sui quali si muove Papadia per portare alla luce un continente sommerso di sentimenti ed ideali, toccano tanto le forme relazionali nell’ambito della vita familiare e sociale (In famiglia, La famiglia al femminile, Sull’amicizia) quanto fondamentali componenti emotive (Sull’amore, Sull’odio) che improntano o influenzano in maniera sostanziale la scelta della militanza internazionalista, suscitano tanto sodalizi, amicizie, amori, quanto odi feroci fino al sangue, costituendo un background di cui sarebbe facile trovare traccia anche in anni successivi, quando le tanto osteggiate ragioni della teoria (si ricordi la dura presa di psizione contro la «dottrina autoritaria […] del partito comunista tedesco» nella Risoluzione di Rimini del 1872 dell’Associazione internazionale dei lavoratori – Federazione italiana) cominciano ad affermarsi con più vigore in un Paese che a sinistra resta a lungo piuttosto “garibaldino” che marxista e che, nei suoi settori progressisti, si appassiona piuttosto al romanzo popolare che al Capitale (non per nulla fu Cuore e critica il nome della rivista che dal 1891 diventò Critica sociale).

L’analisi scava in un corpus poco noto di fonti autobiografiche e di scritture private, quasi a comporre, nelle forme di una vitalissima «comunità emotiva» (17), un collettivo “romanzo di formazione” di latitudine generazionale restituito per tessere accuratamente prescelte e sapientemente commentate. L’approccio metodologico è interdisciplinare e trasversale rispetto ai saperi storici e letterari, nella convinzione della «capacità della letteratura di cambiare lo sguardo sul mondo, rendendo inaccettabile ciò che era parso naturale fino a un momento prima» (85): così, l’occhio, che i libri hanno educato a più ampie aperture d’orizzonte, diventa reattivo ed è capace di scorgere lo scandalo dello sfruttamento e della miseria spesso estranei all’esperienza di vita dei giovani borghesi conquistati dalle idealità internazionaliste. Da qui, fra molti eredi dell’impegno risorgimentale, «un’empatia instancabile e operosa con i diseredati» (183).

Non c’è purtroppo spazio per seguire Papadia lungo il percorso che traccia con mano sicura attraverso la produzione letteraria del secondo Ottocento, toccando i temi dell’oralità (importante per l’“educazione politica” di ceti popolari di scarsa alfabetizzazione), del romanzo d’appendice e della narrativa tout court (quanto Zola – L’assomoir, Germinal – e poi De Amicis, Valera, ecc., nelle biblioteche degli internazionalisti!), della poesia e in particolare del magistero carducciano, così importante per alimentare il ribellismo giovanile, tanto che, anche quando «il poeta disertò il campo della rivoluzione a rimanere viva fu una concezione della politica come correttivo etico della realtà» (120), stimolante nutrimento per giovani assetati di idealità: «lo spirito vostro è passato in noi» (121) scrisse Filippo Turati a proposito del Canto dell’amore, voce di un poeta che nonostante tutto rimase, per molti militanti della causa, esempio e sprone. L’indagine della Papadia ci conduce fino al cruciale 1881, l’anno di fondazione del Partito socialista rivoluzionario di Romagna, quando si apre un fossato, subito incolmabile, tra socialisti e anarchici. Convinti i primi di dover sfruttare le possibilità che schiudeva la via legalitaria e parlamentare per battersi per l’emancipazione delle classi subalterne e a favore di una maggiore giustizia sociale, risoluti i secondi, sia pure con varie sfumature di pensiero e di impegno concreto, a mettere in atto forme di violenza politica, nella convinzione, in fondo di origine risorgimentale e mazziniana, del «valore pedagogico dell’azione»; fedeli all’idea di Bakunin che all’inizio «la Rivoluzione sarà sanguinosa e vendicativa», e risoluti, come scrisse il Proletario nel 1891, a «non seguire nella putredine le canaglie legalitarie» (253).

 

 

Copertina:

Elena Papadia

La forza dei sentimenti

Anarchici e socialisti

in Italia. 1870-1900

Il Mulino, Milano 2019

  1. 276, euro 25,00

 

 

Dida immagine:

 

Giuseppe Pellizza da Volpedo

Fiumana

1895 – 1896, olio su tela

Milano, Pinacoteca di Brera