Là dove nulla è perduto

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Illegio piccolo avamposto alpino sul mondo della grande arte internazionale

 

di Enzo Santese

 

Il luogo invita ad assaporare il silenzio fuori dalla portata dei clamori cittadini, eppure ogni anno puntualmente richiama migliaia di appassionati d’arte. Illegio è in sé una provocazione rispetto a quei centri dove il consumo della cultura soggiace alle regole predominanti del profitto con il risultato che gli occhi dell’osservatore, pressato dalla folla di coloro che vengono dopo di lui, hanno pochi secondi per concentrare l’attenzione su una qualsiasi opera. Il borgo montano nell’occasione della mostra (quest’anno si svolgerà dal 4 luglio al 13 dicembre) diventa una vetrina che abbraccia il mondo con tensione grandangolare e nei mesi della rassegna è meta di un continuo pellegrinaggio non solo di fedeli desiderosi di spiritualità, ma anche di cultori di natura quasi incontaminata e fruitori di eventi artistici. La grande rassegna che ogni anno attira migliaia di visitatori non è ovviamente l’unica seduzione di Illegio, che ha un centro ideale nell’affascinante Pieve di San Floriano, patrono della comunità, che sovrasta con la sua struttura la piccola valle circondata da una corona di cime piuttosto elevate. E l’altare maggiore è uno dei capolavori che testimoniano del talento di Domenico da Tolmezzo, ripagato nella circostanza con “cento ducati e 100 libbre di formaggio”, come risulta nei registri parrocchiali conservati nell’Archivio arcivescovile di Udine. La suggestione di medioevo e della devozione posteriore di raccoglimento e preghiera è data da affreschi del Due, Tre e Seicento, da presenze di scultura in pietra dipinta del primo Cinquecento e di scultura lignea del secondo Quattrocento.

In un periodo come questo, non completamente libero dai postumi della pandemia, anche il titolo suona come un auspicio in sintonia con il mantra augurale di queste settimane (“andrà tutto bene”): qui invece Nulla è perduto ha un chiaro riferimento con uno dei concetti portanti della rassegna: significativi capolavori della storia dell’arte, scomparsi per molto tempo, possono essere “riportati” alla luce della loro straordinaria bellezza.

I puristi a questo punto avranno motivo per storcere il naso, pensando al mezzo con cui queste opere vengono fatte rivivere, ma il progresso va avanti inesorabilmente e la tecnologia, se utilizzata con grande intelligenza come in questo caso, può creare l’illusione di un tempo eternamente presente facendo “ricomparire” opere andate irrimediabilmente perdute in seguito a incendi, sottrazioni, nascondimenti o altro ancora. “Factum arte” con la sua équipe di artisti, restauratori, storici studiosi e tecnici esperti di software 3D, sotto la guida di Adam Lowe a Madrid, ha proceduto alla letterale rimaterializzazione di sette opere smarrite per sempre. Il risultato ha effetti straordinari anche nella resa tridimensionale delle pennellate, in esiti che sarebbe difficile distinguere dal dipinto originale.

Le sette opere “ritornate tra noi” dopo l’eclissi di decenni sono per la gran parte legate alle vicende belliche in cui i nazisti sono stati oltre che predatori dissennati, distruttori senza scrupolo alcuno per i danni arrecati alla bellezza, ritornata peraltro a splendere ora per l’azione sinergica di Sky Arte, Ballandi Arte oltre che il succitato “Factum Arte”. Così è possibile un incontro ravvicinato con Concerto a tre, di Johannes Vermeer, sottratto al Museo di Boston “Isabella Stewart-Gardner” nel 1990. La vicinanza all’originale rende addirittura perfettamente sovrapponibili le due immagini con un’esatta riproduzione della qualità cromatica e degli effetti di luce nel gioco chiaroscurale.

La torre dei cavalli azzurri di Franz Marc, è scomparsa nel 1945 dopo che Herman Goring l’aveva sequestrata. L’artista poco prima della grande guerra si era stabilito in Bavaria, dove aveva trattato più volte il suo motivo preferito, quello dei cavalli blu; uno di questi era appunto La torre dei cavalli, mandata in omaggio – quand’era ancora allo stadio di abbozzo progettuale – alla poetessa ebrea Else Lasker Schuler. Allo scoppio del conflitto Franz Marc si arruolò e morì nel 1916 in battaglia. L’opera fu acquisita dalla Galleria Nazionale di Berlino, ma nel 1937 fu sequestrata dai nazisti e inserita nella mostra di “Arte Degenerata”, da dove per le rimostranze dei commilitoni di Marc fu rimossa; da quel momento se ne sono perse le tracce essendo finita nella collezione privata del gerarca hitleriano.

Myrto è dipinto che Tamara de Lempicka, stabilitasi a Parigi proveniente dalla sua San Pietroburgo, realizzò forse nel 1928 come un autoritratto, che i nazisti nel’43 portarono via da una villa della capitale francese. La dichiarata vena erotica si scioglie qui in una composizione di bella rispondenza ai dettami dell’art deco.

La ricostruzione digitale del Vaso con cinque girasoli del 1888 con impressionate verosimiglianza riproduce il concerto di pennellate tipiche dell’artista in un quadro la cui versione originale è andata perduta nel bombardamento di Ashya in Giappone proprio mentre avveniva lo sganciamento dell’atomica su Hiroshima (6 agosto 1945).

Spettacolare è la visione a soffitto della rimaterializzazione della Medicina realizzata da Gustav Klimt proprio per il soffitto dell’Università di Vienna e bruciata nel 1945 dai nazisti ormai in fuga. Non poteva mancare in questo “album” prezioso una delle Ninfee di Claude Monet, distrutta da un incendio scoppiato al MoMa di New York nel 1958. Un bel contrasto nasce tra questa e il Ritratto di Winston Churchill, dipinto nel 1954 da Graham Sutherland per incarico delle due camere del parlamento inglese come regalo per gli 80 anni del politico britannico più noto al mondo. Ma l’artista di fonte alla duplice possibilità di interpretare alla sua maniera il carattere dell’uomo oppure di rappresentarlo fedelmente, sceglie la prima soluzione, così la moglie lady Clementine Churchill fa distruggere l’opera nonostante la sua indubbia forza evocativa.

Oltre alle sette opere “rimaterializzate”, particolare per il suo valore “documentale” è il lavoro dell’artista finlandese Antero Kahila che tra il 2003 e il 2008 ha svolto una personale ricerca sulla pennellata di Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, fino a ridare corpo al San Matteo e l’Angelo, composto nel 1602 per la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi a Roma. Nella rassegna di Illegio l’opera è accompagnata da due grandi riproduzioni della Vocazione e del Martirio di Caravaggio, che evidenziano la fedeltà filologica del “ricostruttore” e mettono in scena l’originario progetto dell’artista in risposta alle richieste della committenza.

Le vetrate della facciata principale della cattedrale di Chartres, che non sono mai andate perdute, ma non possono essere apprezzate dall’occhio dell’osservatore per l’altezza a cui si trovano – riprodotte da Sandro Tomanin nel laboratorio di San Bellino di Rovigo – consentono ora di gustare da una prospettiva favorevole il miracolo di luce e cromie di cui sono capaci.

L’assunto che intitola l’evento trova una piena rispondenza in due sculture lignee originali di Domenico da Tolmezzo che tra il 1492 e il ’98 ha raffigurato San Vito e San Maurizio per l’ancona di San Floriano di Illegio; rubate nel 1968, sono state ritrovate nel mercato antiquario di Bonn nel 2018 e adesso ritornate nella loro sede; “Nulla è perduto”, appunto!

La rassegna di Illegio contiene in sé l’invito a considerare bene prezioso anche ciò che serve a replicare, secondo una linea di assoluta aderenza fino alle fibre costitutive di un’opera scomparsa, creando negli appassionati d’arte un po’ più dell’illusione del suo “recupero” letterale.