Dante, un’amicizia e il nazismo

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L’idea di Auerbach, della figura come presenza in ogni istante del tempo di tutto il tempo, richiama fortemente idee sempre presenti nelle ricerche di Walter Benjamin

di Francesco Carbone

 

Tra i tanti problemi che crea l’intenzione di dedicarci alla lettura della Commedia, c’è il fatto essenziale che Dante ha un’idea del tempo che certo non è più la nostra. Ormai ci siamo placidamente adeguati al pensiero che esista solo il presente, che per noi si dilegua in fretta, non lasciando alcun ricordo, sostituito da un altro istante come lui leggero, immemore e felicemente stupido. Svanito il passato, si potrebbe scoprire con stupore che se n’è andato con lui anche il futuro, al quale nessuno pensa credendo – chissà perché – che non potrà che essere la ripetizione all’infinito del momento spensierato che stiamo vivendo: il covid non ha cambiato nulla. Ovviamente, questa smemoratezza della storia lascerà il campo alle ricostruzioni del passato che fanno comodo a chi ha il potere.

Quelli che provano a ragionarci parlano da anni della nostra società come di un mondo post-storico. Allo stesso tempo, potrebbe dire che legge ancora certe cose (Ecclesiaste, 1, 9-10), «nihil novo sub sole». Il sempre più profetico Leopardi, nel Dialogo della Moda e della Morte (1824), già contemplava un mondo in cui si era «levata via quest’usanza di cercare l’immortalità, ed anche di concederla in caso che pure alcuno la meritasse», e in cui ogni istante spariva nel nulla «come un pesciolino che sia trangugiato in un boccone con tutta la testa e le lische».

Soprattutto, in un periodo che per noi dovrebbe essere ancora recentissimo, quello del Terzo Reich di Hitler (1933-1945), il tentativo di ridurre il passato alla gloria feroce del potere presente era stato perseguito con strumenti e sistematicità possibili solo nella nostra età della tecnica. E qui arriva Dante, come esito di una certa idea dei nazisti di voler riscrivere l’intera storia del cristianesimo, operazione che trovò in Germania scarsissimi oppositori. Su questo si legga l’interessantissimo Erich Auerbach e Walter Benjamin tra Figura e Jetztzeit di Leonardo Arigone (Mimesis 2019).

 

Provo a riassumere: per i nazisti, lo scandalo da esorcizzare era il Cristo ebreo: ebreo profetizzato dai profeti ebrei che leggiamo nell’Antico Testamento. Già nel 1933, non solo l’ideologo Alfred Rosenberg, ma il sinodo della Chiesa evangelica della Sassonia aveva respinto l’Antico Testamento come radice della religione cristiana e malediceva gli ebrei eredi degli assassini del Cristo; la Chiesa evangelico-luterana affermò a sua volta che il cristianesimo non solo non era il compimento dell’ebraismo ma il suo opposto. Nella messa cattolica già dal VI secolo si pregava pro perfidis Judaeis, espressione abolita solo da papa Giovanni XXIII nel 1959. Sempre nel 1933, la Chiesa cattolica aveva stipulato con Hitler un concordato (Reichskonkordat): autori per la Chiesa Eugenio Paceli (dal 1939 papa Pio XII) e per il Reich il vice cancelliere Franz von Papen.

Estirpare il passato ebraico dal cristianesimo: basta prendere in mano una Bibbia per rendersi conto della radicalità del progetto. L’edizione CEI che adesso ho davanti ha un po’ più di 1900 pagine: l’Antico Testamento ne prende quasi 1600. Soprattutto, nel Nuovo Testamento, i richiami che il Cristo stesso fa alle profezie ebree dell’Antico sono continui: è lui quel Messia e che adempie quelle profezie. – Mai come con Hitler si era messo in atto un tentativo così radicale di far riscrivere dal presente tutta la storia dell’Occidente. In quel contesto, nel 1938 apparve su «Archivum Romanicum» il saggio Figura di Erich Auerbach (noi lo leggiamo in Studi su Dante, Feltrinelli 2020). Quanti l’avranno letto e capito? Siamo all’apogeo del nazifascismo. Figura è uno dei capolavori di uno dei massimi storici della letteratura del XX secolo e un saggio indispensabile per chi legge almeno con un po’ di attenzione Dante.

 

Sempre grazie al saggio di Leonardo Arigone facciamo un passo indietro, per raccontare un’amicizia essenziale, quella tra Erich Auerbach e Walter Benjamin. Sui rapporti tra Auerbach e Benjamin, è utilissimo anche di Marco Maggi Walter Benjamin e Dante (Donzelli 2017).

Auebach e Benjamin nacquero lo stesso anno, nel 1892 a Berlino nel quartiere di Charlottenburg, entrambi da famiglie ebree benestanti. Divennero amici. Si ritrovarono all’università di Heidelberg. Si lessero a vicenda già da quegli anni. Auerbach fu tra i pochi che aiutò Benjamin anche nei momenti più difficili (cfr. F. Desideri e M. Baldi, Benjamin, Carocci 2010). Molti libri di Benjamin erano presenti nella biblioteca di Auerbach. Tra questi, lettura sconvolgente fu Uomini tedeschi (Adelphi 1979), uscito nel 1936. Uomini tedeschi è un’antologia di lettere di tedeschi sia celebri (Hölderlin, Brentano, Goethe, ecc.) che oscuri: scelte da Benjamin per testimoniare una Germania che mai avrebbe potuto diventare nazista. Fu pubblicato nel 1936 sotto lo pseudonimo di Detlef Holz, da una piccola casa editrice svizzera.

Fuggito dalla Germania, dal 1936, Auerbach insegnava all’università di Istanbul; lì scrisse uno dei capolavori della critica letteraria del XX secolo: Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale (1946). Gran parte delle lettere tra i due amici sono andate perdute. In una, del 1937, Auerbach scriveva: «l’attuale condizione mondiale non è altro che un’astuzia della provvidenza per condurci su una strada sanguinosa e straziante, verso l’Internazionale della trivialità e a una cultura dell’esperanto». Benjamin si suicidò nel 1940, bloccato sul confine tra la Francia occupata dai nazisti e la Spagna: forse aveva con sé una copia dei meravigliosi Passages. Negli Stati Uniti lo aspettavano Horkheimer e Adorno (cfr. C. Saletti, Fine terra. Benjamin a Portbou, Ombre Corte 2010) che però – con immensa rabbia di Hannah Arendt – non aiutarono economicamente Benjamin per quel viaggio (Cfr. Hanna Arendt – Walter Benjamin, L’angelo della storia, Giuntina 2006).

 

Auerbach e Benjamin sono legati da un’idea della storia – e quindi della letteratura – agli antipodi rispetto alla terra bruciata che del passato volevano fare i nazisti: tutto nella storia si lega e s’intreccia, tutto del futuro è annunciato nel passato, che è sempre profetico. Il tempo ha un senso inscritto nei fatti stessi che via via accadono; l’umanità ha un destino in ogni istante presente come evento e come annuncio. Questa concezione del tempo è la grande rivoluzione dell’ebraismo e del cristianesimo, che vedono la vita degli uomini iscritta in un percorso storico che non si finirà mai di decifrare proprio perché portatore di un senso provvidenziale. Il tempo storico dei cristiani – caduta, esilio, redenzione: e dunque progresso – ha preso in Occidente il posto del tempo ciclico, cosmico e a-storico dei greci. Appena con l’annuncio della «morte di Dio» di Nietzsche, questa immensa costruzione entrerà in crisi irreversibilmente, per arrivare al nostro mondo a-storico e smemorato.

L’opposizione all’idea nazista di un passato da recidere per un nuovo inizio millenario ha nel saggio Figura di Auerbach una testimonianza tra le più affascinanti. In Figura Auerbach ripercorre tutta la storia della parola. È un percorso in cui sono fondamentali, tra i Padri della Chiesa, Tertulliano e Agostino. Tutto quanto è raccontato nella Bibbia è per loro veramente accaduto, è storia: Adamo, Abramo, Mosè, Cristo sono stati uomini reali che allo stesso tempo sono stati figure del futuro. Non sono allegorie. In quanto figure, sono stati veri letteralmente e simbolicamente allo stesso tempo. Sono stati profezie viventi.

 

Per Auerbach, l’opera che porta alla massima espressione questa concezione armoniosa e completa del tempo è stata la Commedia di Dante. Dante è stato il genio della concezione figurale del tempo. Nel poema ogni personaggio è figura che riassume tutto quanto è accaduto e annuncia il futuro. Lo stesso viaggio di Dante è figura. Dante nella selva è Dante Alighieri di Firenze e allo stesso tempo è figura dell’umanità perduta nel peccato che, con l’aiuto della Grazia, potrà trovare la salvezza; in quell’uomo perduto tornano i destini analoghi che da Adamo sono i destini degli uomini che si salvano. In ogni personaggio della Commedia Dante compie «il balzo di tigre nel passato» (W. Benjamin, Sul concetto di storia, Einaudi 1997) che gli permette di ridarci la sua realtà intera: i dannati nell’Inferno sono lì compiuti, e sono centri, punti definitivi di realizzazione di un male da sempre annunciato: l’amore e la morte per Francesca, la bestemmia di Capaneo, l’ultimo viaggio di Ulisse, Ugolino nella torre della fame…  Dall’altro lato, Beatrice nella sua vita reale è stata per Dante il ridarsi del miracolo della manifestazione di Dio tra gli uomini e la promessa profetica del ritorno trionfale della Grazia per i buoni sulla Terra; il Catone sorprendente guardiano del Purgatorio, proprio perché suicida, è stato l’uomo reale che col suo destino ha adempiuto il destino figurale a cui è tenuto ogni uomo: il sacrificio di sé per affermarsi come uomo libero. Soprattutto, la resurrezione di Cristo è per Dante un fatto assolutamente storico (cfr. Paradiso, canto XXIV), avvenuto in un momento determinato, anticipato figuralmente da moltissimi momenti dell’Antico Testamento, e figura del futuro di ogni uomo, perché tutti risorgeranno e con il corpo si presenteranno al giudizio del Signore.

Così Auerbach ci mostra che la Commedia va sempre contemplata nel suo insieme, nella sua struttura: impossibile, se non al prezzo di tradirla, sezionarla per estrapolarne brani sublimi e indipendenti: mettendo la poesia da una parte e la non poesia dall’altra (come faceva l’allora molto letto Benedetto Croce).

L’idea di Auerbach, della figura come presenza in ogni istante del tempo di tutto il tempo, richiama fortemente idee sempre presenti nelle ricerche di Walter Benjamin, le sue stesse «convinzioni basilari» (G. Scholem, Walter Benjamin e il suo angelo, Adelphi 1968). In particolare, nelle estreme tesi Sul concetto di storia, Benjamin scriveva che nessun passato muore, ma si mantiene vivo in sé come un seme pronto a germinare: come un genio che torna nella lampada, ma pronto a deflagrare, come evento nuovo e violento, «piccola porta da cui può entrare il Messia».  L’esempio che leggiamo in Benjamin è il ritorno della repubblica romana come modello della rivoluzione francese. Proprio come per Dante la Roma imperiale era stata figura profetica dell’Impero Cristiano.

 

Quale cultura occorra avere per opporre all’oblio la storia che non si può frammentare, lo scriveva proprio Auerbach, facendoci vergognare – poveri come siamo – di noi stessi: «Chi è pratico “soltanto” di sei o sette secoli non è in grado di esprimere il proprio parere perché gli manca la prospettiva della tradizione. Per questo naturalmente è necessario poter leggere agevolmente testi in più di una dozzina di lingue e forme linguistiche più antiche, aver sempre presenti alla memoria le opere dei grandi, cioè Omero, Virgilio, Dante, Shakespeare, Calderón, Goethe, ma anche di Valéry o T.S. Eliot, e poter chiamare in causa, quando è necessario, con competenza e discernimento, Platone, Aristotele, Agostino, Tommaso, o gli Schlegel, Adam Müller, Bergson, Scheler, Jung, Alfred Weber, Arnold Toynbee, eccetera eccetera. Solo allora può avere un senso la ricerca specialistica, nella quale però non si deve assolutamente trascurare di considerare con la massima precisione il fenomeno singolo, poiché “il buon Dio si nasconde nel particolare”» (recensione di Ernst Robert Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, 1948, ora in San Francesco, Dante, Vico, Editori Riuniti1987).

 

 

Leonardo Arigone

Erich Auerbach e Walter Benjamin

tra Figura e Jetztzeit

Mimesis 2020

  1. 138, euro 12,00