Slataper dopo un secolo

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Il volume Voglio morire alla sommità della mia vita. Cento anni dalla morte di Scipio Slataper raccoglie i contributi che hanno sostanziato le iniziative per il centenario della morte dello scrittore del Mio Carso. Composto di tre parti, il libro unisce diverse prospettive di lettura e di studio: quella più accademica delle relazioni degli studiosi del doppio appuntamento convegnistico di Gorizia (3 dicembre 2015, Polo universitario di Santa Chiara) e Trieste (4 dicembre, 2015, Aula Magna della Scuola Superiore per interpreti, presso il Narodni dom), la misura saggistica del numero unico della rivista Il Ponte rosso dedicato a Slataper, le iniziative di studio promosse dal Polo liceale goriziano – Liceo Linguistico e delle Scienze umane “S. Slataper”.

Una prima considerazione riguarda l’equilibrio generale con cui si è voluta sondare l’articolazione complessa della personalità di Slataper, che esemplifica il tipo di intellettuale “poligrafo”, per dirla con una definizione di Piero Gobetti, che fu caratteristico della generazione vociana. Agli aspetti dello Slataper più noto – la personalità letteraria dello scrittore del Mio Carso, di un epistolario tra i più significativi della sua generazione storica, del saggista su Ibsen – si affiancano studi sul suo percorso di riflessione politico-civile, tra critica dell’irredentismo e scelta interventista. Sul tema, in particolare Luca G. Manenti con (Fenomenologia dell’irredentismo. Scipio Slataper pensatore politico) e Fulvio Senardi (Slataper, dall’irredentismo culturale all’imperialismo adriatico) hanno offerto occasioni di densa riflessione.

In entrambi i casi si interviene con precisa attenzione sull’immagine, di conio stupariciano, di una supposta continuità della pur breve parabola del pensiero politico di Slataper, argomentandone invece fasi e momenti di svolta, lontani tuttavia dal configurarsi come semplici contraddizioni o repentini voltafaccia. Piuttosto, sulla linea generale suggerita a suo tempo da Mario Isnenghi di uno Slataper progressivamente incline ad abbracciare un’ottica da real-politik, Manenti rileva come il precipitare dell’Europa verso la guerra convinca Slataper a ridurre drasticamente la sua precedente originale riflessione su un’idea triestina di nazionalità come laboratorio europeo di convivenza multinazionale, che in primis era di ordine culturale e critica verso diverse tradizioni dell’ideologia irredentista, e a concentrarsi invece sulla ragioni dell’idea di Stato-nazione. Nel percorso dallo Slataper vociano che afferma la Nazione non necessariamente doversi contenere entro i confini politici dello Stato, ai “cannoni di agosto” che lo portano a una netta scelta di campo interventista giocata anche su forti rivendicazioni territoriali italiane e di sicurezza statale dei confini (pensiamo a quelle su parte della Dalmazia), Manenti non omette, tuttavia (vi aveva già ragionato Enzo Collotti in un lontano saggio del 1958 sulla rivista “Occidente”), di ricordare i cenni significativi al dopoguerra che Slataper fissa chiaramente nell’insieme di diritti e tutele (linguistici, culturali, economici) alle nazioni slave che un futuro stato italiano vincitore del conflitto dovrà garantire. Che è il ritorno nello Slataper interventista degli ultimi mesi di vita del segno liberal-progressista del suo pensiero in un auspicio ultimo di civile convivenza italo-slava, un auspicio ormai in difetto di realismo storico nel configurare una sua possibile convivenza con i “sacri egoismi” statali, motori politici e militari della guerra italiana che si andava preparando durante il periodo della neutralità.

Notevole, poi, in Manenti, esperto di storia della massoneria e dell’intreccio primovocentesco tra massoneria e irredentismo (a Trieste e in Italia), anche il riconoscimento nello Slataper vociano e critico dell’irredentismo degli anni ’10-’12 di un’ottima conoscenza dell’azione massonica circa la questione nazionale.

Fulvio Senardi completa l’interpretazione della parabola politica di Slataper con considerazioni volte a sondarne le motivazioni interventiste in chiave di opposizione al doppio rischio di egemonia germanica e di espansionismo nazionalista slavo nel litorale adriatico e su Trieste, configurando in Slataper una mescolanza di ragioni in parte liberal-democratiche e in parte confluenti nel calderone nazionalista che ne rendono la scelta dell’intervento – in ciò d’accordo con Manenti – molto singolare e difficilmente ascrivibile a categorie storiche consolidate, e che lo allontanano sì dalle più ideali motivazioni neorisorgimentali “democratiche” ma non lo assimilano a quelle nazionaliste del “radiosomaggismo” romanamente imperialista e retorico o a quelle nettamente antislave di un Timeus.

Sul piano più squisitamente letterario l’orientamento degli studi presenti nel volume si coagula intorno al tema dei rapporti fra Slataper e figure importanti della coeva cultura giuliano-triestina, che inevitabilmente aprono prospettive culturali europee. Così, al parallelo tra Slataper e Michelstaeder sul tema filosofico dell’attraversamento novecentesco della “rettorica“ della «qualunque vita» (Ilvano Caliaro, “Persuasioni” a confronto. Michelstaedter e Slataper) si affianca la ricostruzione del rapporto di Biagio Marin con la figura di Slataper, rapporto dal percorso storico non sempre lineare (“Vedevo solo in lui Sigfrido, il puro folle”. Scipio Slataper nei diari di Biagio Marin, di Gianni Cimador), e la accurata, documentata storia di un capitolo importante dell’amicizia tra Slataper e Marcello Loewy, quello del lavoro di traduzione della Giuditta di Friedrich Hebbel, con documenti inediti, proposta da Lorenzo Tommasini, che, inoltre, ritorna, in altro saggio, sulle suggestioni hebbeliane in Slataper a proposito di un aspetto ancora poco noto della sua scrittura letteraria («Sono nato per raccontar fiabe. Gli scritti per “i bimbi” tra rinnovamento intellettuale e influenze hebbeliane.) Da Hebbel si passa così allo Slataper primo saggista organico del teatro di Ibsen nella cultura italiana (Alfredo Luzi, Slataper lettore di Ibsen) e alla proposta molto interessante di lettura comparata di Slataper e Hamsun (Note sul naturismo slataperiano: Il Mio Carso e Pan di Hamsun) che si deve all’indagine attenta e convincente di Roberto Norbedo.

A completare la parte saggistica, una serie di ulteriori contributi: di Cristina Benussi, sullo Slataper intellettuale vociano e sulla sua funzione di capofila del notevole contributo triestino al periodo di più autentica energia innovatrice della rivista fiorentina; di Walter Chiereghin, sullo “scandalo” delle Lettere triestine; di Fulvio Senardi, su una prima ricezione critica della figura di Slataper nel contesto della cultura giuliano-triestina; di Luca Zorzenon, sull’idea di forma e di formazione in Slataper, tema decisivo in tanti giovani intellettuali del primo ‘900 (si pensi anche solo al Lukács de L’anima e le forme), che si allarga anche alla questione della scuola in polemica con l’attualismo pedagogico gentiliano. Che senso ha… intitola Aurelio Slataper il suo contributo di Presidente onorario del Centro Studi che porta il nome del nonno, ed è una riflessione, scevra da qualsiasi cenno celebrativo nel senso retorico del termine, che incoraggia, piuttosto, la serietà degli studi su Slataper oltre prospettive note e tradizioni consolidate, e nella direzione di una organicità complessa e articolata, storico-politica e letterario-culturale, della multiforme personalità slataperiana.

Con la ricostruzione storica dell’ex Istituto magistrale goriziano dedicato a Slataper ad opera di Antonia Blasina Miseri, la sezione Vorrei dirvi…: Slataper a scuola, raccoglie, infine, iniziative, lezioni e percorsi di studio, coordinati da Luca Zorzenon e co-prodotti da docenti liceali (Giulia Ceppi, Alessandra Giordano, Marco Luciano, Carmen Mazzone, Fabrizio Sanzin, Rosa Tucci) che, nell’ambito del Polo liceale goriziano – Liceo Linguistico e delle Scienze umane Scipio Slataper, con la collaborazione del Liceo Classico Dante Alighieri e Scientifico Duca degli Abruzzi – hanno affiancato la parte convegnistica e saggistica. Dopo l’introduzione che ci descrive l’apporto multiespressivo (musica, recitazione teatrale, fotografia e video) offerto dagli studenti e il contributo di attenzione che vi ha rivolto lo storico Lucio Fabi, leggiamo così le relazioni studentesche sulle lezioni tenute a scuola da studiosi del valore di Romano Luperini (Gli intellettuali e la Grande Guerra: l’esempio di Slataper), di Mario Isnenghi (Giovinezza: da Vamba a Omodeo, autonarrazioni e racconti), ancora di Fulvio Senardi (I giuliani della «Voce» tra irredentismo e nazionalismo) e le scritture studentesche dei “Percorsi di studio” pluridisciplinari attivati in alcune classi del Liceo Slataper: «La vita della roccia. Dalla letteratura alle scienze della terra: conoscere il Carso leggendo Slataper»; «Da Firenze a Trieste: la “voce” delle Lettere triestine»; «Il loro Carso. Tra scrittura e immagine: Slataper, Kosovel, Spacal e altri… »

Al Vorrei dirvi… di Slataper, allora poco più che ventenne, cent’anni dopo hanno risposto, così, anche le voci di giovani studentesse e studenti del secolo XXI.

 

 

Copertina:

 

Lorenzo Tommasini

Luca Zorzenon

(a cura di)

Voglio morire alla sommità della mia vita.

Cento anni dalla morte di Scipio Slataper

Edizioni del Centro Studi Scipio Slataper,

Trieste, 2016, pp. 255, euro 20,00