Sorrisi, nostalgie e cazzotti di Ugo Pierri

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Antologica a Cormons del pittore “indediale” triestino

di Walter Chiereghin

 

Dal 5 aprile al 19 maggio è ospitata nelle sale del Museo Civico del Territorio “Alessandro Pesaola” di Cormons (Gorizia), per iniziativa di quel Comune e dell’editore Battello stampatore, un’importante antologica di Ugo Pierri, triestino, classe 1937, che si auto-definisce «pittore inediale, poeta espressionista-crepuscolare, scrittore di racconti tetrallegri». Già in questa sintetica e bizzarra proclamazione di sé sono rinvenibili alcuni tratti dell’indole e delle modalità espressive di un personaggio che ha deliberatamente scelto di vivere ai margini, lontano da ogni conventicola, benché dalla più elitaria ed esclusiva di esse – il circolo di artisti e intellettuali costituitosi attorno ad Anita Pittoni – prendesse le mosse nel 1964 la sua multiforme attività creativa.

Da allora, oltre cinquant’anni di creatività il più delle volte regalata agli altri, nel quotidiano impegno di distillare una frase o un’immagine da condividere, in un mai estenuato impegno a difesa di valori irrinunciabili, nella denuncia di piccole e grandi ipocrisie, dalla meschinità piccina delle nostre ricorrenti rese all’opportunità, su su fino ai grandi crimini dell’oppressione, della violenza, del razzismo, della guerra.

La mostra di Cormons si presenta al pianterreno per mezzo di una serie di dipinti di generose dimensioni che affrontano tutti un tema non usualmente frequentato da Pierri, quello del paesaggio, trattato per mezzo di vigorose linee delimitanti i contorni di tronchi e rami che scandiscono ritmicamente gli spazi di tale serie, appellata Il giardino dei matti, secondo una procedura di denominazione che anche altrove procede per cicli e non per i singoli lavori. Tale modalità è rivelatrice della complessità e dell’articolazione dei pensieri che sottostanno all’azione pittorica, tali da non potersi esaurire quasi mai nella realizzazione di un’unica opera, ma che invece proclamano sempre la necessità di espandersi in una pluralità di immagini diverse, nella quale risiede un variegato approfondimento del tema di volta in volta affrontato.

Analogamente, salendo al piano rialzato dove nell’ampio salone espositivo sono esibite, ordinate in gruppi che rimandano ai cicli dei quali s’è detto, molte decine di opere uniche su carta, di formato più contenuto, secondo modalità esecutive più ricorrenti nell’opera del pittore triestino, che in ciascuna di esse fornisce prova di una consumata perizia tanto nella nettezza sicura del disegno quanto nella felice inventiva coloristica, che talvolta blandisce talaltra aggredisce il visitatore, il quale in ogni modo non può rimanere indifferente rispetto ai contenuti delle messe in scena organizzate sulla carta dall’artista. Ci si può perdere in ambiti diversissimi tra loro, uniti soltanto da un’evidente coerenza degli stilemi esecutivi, che rendono ragione di un pensiero, una memoria, una sensazione che la mano sicura dell’artefice trasferisce sulla carta, a narrare tuttavia cose anche diversissime tra loro. Così, Pierri si fa cantastorie, talvolta beffardo e irridente, talvolta intenerito e in qualche altro caso – segnatamente quando si sofferma sulla crudeltà della guerra e dei fascismi – ferocemente iroso per indignazione. È un caleidoscopio colorato e intensissimo che narra di volta in volta storie desunte da suggestioni letterarie, come in Pinocchio o in Joyce, oppure attingendole da una sua dimensione onirica, come in Sirene, oppure da un incantamento per la magia di sollecitazioni quali i Tarocchi o i segni dello Zodiaco, o ancora nell’esplorazione di una fede problematicamente vissuta, come in Ekklesia, nel grido di denuncia antimilitarista di I like war, nel tormentato cedimento all’erotismo di Foemine o nella sensualità esplicita di Catulliana.

In ciascuno di questi ambiti, e degli altri in cui si è esercitata la sua inesausta creatività, Ugo Pierri sembra aver sempre presente un suo obiettivo di disvelare una verità ulteriore, spesso non immediatamente attingibile, che è frutto di una sua personale riflessione, il più delle volte fortemente irrorata da una sapida ironia, che qualche volta si stempera fino a dissolversi in intenerite contemplazioni (penso alla maternità dell’abbraccio della fata dai capelli turchini del Pinocchio), oppure più spesso si irrigidisce in asperrimo sarcasmo quando intende cozzare contro altezzosità ed altri vizi borghesi, ma soprattutto contro la brutalità di repressioni poliziesche (law and order), contro le nefandezze più raccapriccianti della storia (per non dimenticare), contro l’ottusità del militarismo e la tragedia delle guerre.

Come avveniva per i cantastorie, storicamente invisi al potere costituito e spesso da esso perseguiti, l’impegno civile nell’opera di Pierri ha contribuito, unitamente al suo carattere non privo di qualche ruvidezza, a renderlo sospetto e in qualche misura isolato, senza che peraltro questa condizione lo abbia indotto a smussare i suoi atteggiamenti né le modalità del suo agire, tantomeno in ambito creativo. Alla coerenza formale dei dipinti corrisponde dunque un’ancor più rigida coerenza etica di una personalità originale, anarcoide e indipendente: frequentarla, di persona, leggendone i testi, o immergendosi nei suoi dipinti, ci rende certi che questa società ha ancora, e oggi più che mai, una necessità stringente di spiriti libertari che spostino in avanti i nostri orizzonti, coi mezzi che un non comune talento mette loro a disposizione. Ce ne fossero un po’ di più, di Pierri…