Splendide icone russe a Palmanova

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Arte sacra dal XVII secolo ai giorni nostri

di Enzo Santese

 

La collaborazione tra il Comune di Palmanova e la Fondazione Aquileia ha consentito un evento tale da richiamare l’attenzione sula città stellata, dichiarata da poco patrimonio dell’umanità dall’Unesco, la mostra “L’icona russa e la nuova arte” (a cura di Julija Buzykina e Oksana Smirnova), in uno spazio, la Polveriera Napoleonica, sito museale di notevole interesse. Le 38 opere, già in mostra a Palazzo Braschi di Roma, per i 25 anni delle relazioni diplomatiche tra la Federazione Russa e l’Ordine di Malta, attraversano l’intervallo temporale tra i secoli XVII e XVIII e lasciano emergere ascendenze con lo stile barocco europeo. È una finestra aperta su aspetti fondanti della civiltà russa, fortemente nutrita di religiosità ortodossa, che ha abbondanti motivi di incidenza con la contemporaneità; infatti numerosi artisti si sono formati a quella temperie e si sono ispirati a quelle modalità costruttive dell’immagine.

La rassegna, che rimarrà aperta fino al 25 febbraio, è realizzata grazie a dipinti del Museo dell’Icona e di quello Centrale di Arte e Cultura Russa Antica ed ha la particolarità di collegare epoche diverse proponendo le immagini religiose e alcune opere contemporanee che creano un sollecitante rapporto dialettico. Le icone non sono soltanto l’evidenza di una devozione che nel presente ha solidi motivi di aggancio, ma anche la traccia culturale lungo cui molti artisti contemporanei si sono mossi arrivando a risultati che, pur inseriti nell’attualità del terzo millennio, hanno una linfa culturale di impronta religiosa ortodossa che li attraversa e li vivifica. I soggetti privilegiati dalla “scrittura” iconica sono, oltre alla Resurrezione di Cristo e a momenti della vita di Maria, i più noti episodi evangelici, le immagini di feste cristiane e le scene di eremiti fondatori di monasteri nel silenzio di una natura incontaminata dai rumori e dalle luci della città, immersi in una temperie che presto ha favorito la trasformazione in centri non solo spirituali, ma anche culturali di prim’ordine. L’evento di Palmanova è anche un’occasione di studio delle influenze reciproche, su cui occidente e oriente – e in special modo la Russia e il nostro Paese – hanno costruito la loro riconoscibile cifra d’identità; in epoca medioevale, famosi maestri europei sono chiamati a lavorare a Mosca o S. Pietroburgo e, dopo la prima metà dell’VIII secolo con il diffondersi progressivo della furia iconoclasta, molte persone si “rifugiano” in vari centri del nostro paese (Milano, Firenze, Roma) portando i sensi più autentici della tradizione cristiano-orientale delle icone.

Molti pittori russi di questo genere nella seconda metà del 1600 e in tutto il 1700 guardano ai suggerimenti per un nuovo impianto compositivo alle scene bibliche di Nicolas Visscher (Amsterdam, 1586 – 1652). Disegnatore di grande abilità tecnica, sa dare anima alle sue incisioni con un tratto duttile e deciso; le sue scene religiose d’intonazione biblica sono immerse in paesaggi di intensa naturalità con gusto per l’esaltazione del dettaglio e vena miniaturistica. La Trasfigurazione, del decennio 1680, ne è un esempio significativo: percorre infatti quei moduli compositivi sulla base di un impianto cromatico acceso dai verdi e dalle tonalità rosate. L’opera presenta motivi di novità rispetto alle omologhe rappresentazioni sacre: prima della crocifissione, Gesù sale sul monte Tabor insieme agli apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo e di fronte a loro si trasfigura. Allora Cristo in mezzo ai due profeti del Vecchio Testamento ascolta dalle loro parole le sue future sofferenze. Il dipinto distingue nettamente la zona celeste chiara e luminosa, da quella terrestre collinosa, ricoperta da sporadica vegetazione, e lascia trapelare il senso del movimento, sconosciuto rispetto alla frontalità statica della composizione iconica. Tra le opere in mostra molte sono quelle di assoluto livello artistico, con il pregio di evidenziare peculiarità sostanziali del genere espressivo; per esempio Cristo Pantocratore in trono, dell’inizio del XVIII secolo, proveniente dalla regione del Volga, è un paradigma iconologico che attraversa tutta la storia dell’arte russa presentando particolari che sono ricorrenti in molte opere sacre: il volto, le mani e i piedi bruniti, dove la logica del chiaro e dello scuro declina verso la seconda polarità; le vesti decorate e plissettate in una ricca gamma di pieghe, generatrici di un movimento che “dialoga” con la fissità araldica della figura centrale. Il Cristo Pantocratore poi, della seconda metà del XVII secolo, è indicativa di tante situazioni compositive concepite per la collocazione al soffitto della cupola, in una quadrato in cui si inscrive un tondo con il volto frontale del Salvatore, nella sua classica fisionomia allungata che accentua il tono ieratico, dalla imponenza spirituale in mezzo a una disseminazione di elementi geometrico-floreali.

Un ruolo importante hanno le iconostasi, ossia le immagini sacre utilizzate come strutture divisorie, poste fra il presbiterio e le navate delle chiese; la loro finalità di scandire gli spazi interni si amplia in una dilatazione di marcate qualità estetiche, come dimostra S. Giovanni Battista Precursore, icona risalente al periodo a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo; il profeta, ricoperto di poveri panni d’asceta, è ritratto mentre esibisce una pergamena srotolata che replica l’invito del Battista nel Vangelo: “Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo pentitevi perché il Regno dei cieli è vicino.” La tempera utilizzata per la veste mostra una grande ricchezza di segni ammatassati a pettine, che danno l’idea di una lucentezza, quella della santità espressa dalle tracce di appena percettibili linee argentate, che equilibrano la semplicità della veste color ocra.

Il Miracolo di San Giorgio e il drago con scene di vita, della fine XVII e inizio XVIII secolo, si segnala per la particolarità dei volti che per la maggior parte derivano dalla stessa matrice fisionomica; il paesaggio è semplificato dentro un impianto cromatico di intonazione popolare in base al rosso dominante con diverse sue tonalità; abbozzi di architettura vengono risolti con una maggior cura al dettaglio e la tematica del lancio di frecce della balestra mostra la derivazione dall’iconografia occidentale.

Tra le opere allineate nel percorso espositivo c’è l’Ingresso di Gesù a Gerusalemme dell’inizio del secolo XVIII, dove il tempio della città santa assomiglia più a una chiesa russa a cupola che non alla Basilica del Santo Sepolcro, una rappresentazione un po’ arbitraria a somiglianza della realtà vicina agli autori. E poi il cavallo su cui incede Gesù sembra creato da una mano infantile che semplifica le linee e lo fa viaggiare illogicamente nello spazio. Ma anche l’elementare resa dei drappeggi e le presenze ritagliate da un contorno immediato e primitivo collocano l’opera in una dimensione provinciale, per mano di artigiani inclini a realizzare velocemente il dipinto per la finalità richiesta, rappresentare cioè una festa liturgica nell’iconostasi di una chiesa.

Di qualità e provenienza diversa è una tempera di piccole dimensioni (cm 61 x 52): la Resurrezione di Cristo con feste, nata forse nell’ambito stesso della corte di San Pietroburgo negli anni 1750-1760, quindi con un carattere decisamente aristocratico. Qui l’immagine centrale e le undici più piccole che la circondano, evidenziano la contiguità con l’iconografia occidentale e in special modo con il gusto rococò, per i motivi floreali e per le erbe allungate che decorano le cornici, per i fondi bianchi e per le tonalità cromatiche azzurre e rosa che esaltano la luminosità delle scene. Tra le icone che si segnalano per la vivacità della narrazione e per la distanza dall’idea di immobilità di altre figure è La SS.ma Trinità (o l’ospitalità di Abramo), della seconda metà del XVIII secolo: qui sicuramente c’è l’influenza delle incisioni bibliche del Visscher, testimoniata dal gesticolare degli angeli che si rivolgono ad Abramo.

Nel mezzo della rassegna, sulle due parti di un unico pannello sono poste altrettante opere che apparentemente nulla hanno a che fare con le icone. Una è di Vladimir Tatlin (Charkiv, 1885 – Mosca 1953), intellettuale eclettico che viaggiò moltissimo. La vena sperimentale lo portò ad adottare per le sue tensioni astratte i rilievi materici, chiamati “Controrilievi”, alla base del costruttivismo, poggiante sull’attenzione specifica al medium e alle tecniche industriali del tempo. Il retroterra culturale è peraltro alimentato dai riflessi dell’icona russa, rimasta come risonanza nella filigrana della sua poetica. Infatti Composizione con superfici trasparenti, esposta a Palmanova, mostra la stretta connessione fra la materia, il legno, il riflesso della poetica dei “controrilievi” e la conoscenza profonda dei procedimenti creativi nell’iconografia.

L’altra opera contemporanea è di Dmitry Gutov (nato a Mosca nel 1960) che produce un effetto straniante con la sua scultura parietale che mutua la nervatura grafica dell’icona Madre di Dio Grande Panagia, risalente alla prima parte del III secolo. I volumi allusi dalle bande metalliche, saldate in una figura benedicente, consentono all’osservatore di avere percezioni dell’opera sempre diverse con minimi spostamenti intorno alla stessa; così in una posizione frontale il lavoro si prospetta come una presenza tracciata per linee che ne contornano la “fisicità”, man mano che ci si sposta verso i lati l’opera si astrattizza con una dinamica di segni marcati che si intrecciano con forza espressionista.

La rassegna di Palmanova si colloca tra quegli eventi culturali che, oltre a dare rilievo ai luoghi e ai contenitori in cui sono inseriti, creano l’occasione per un serio ulteriore approfondimento delle ragioni di dialogo tra est e ovest d’Europa; nella Polveriera Napoleonica si protende fino al 25 febbraio questo “momento” di convergenza culturale nell’ambito dell’arte sacra, auspici le icone, testimoni di un modo di sentire il fatto religioso e di esprimerlo con una dotazione artistica molto ricca e, per certi aspetti, seduttiva a prescindere dalla ragione confessionale o di devozione.