Una topografia letteraria

| | |

Punti di vista, notizie ed esplorazioni di Gianni Cimador nella Trieste di poeti e scrittori

di Walter Chiereghin

 

La letteratura, ma anche e soprattutto lo studio della letteratura, richiedono a chi li accosta un ordine minimo di classificazione per far fronte alla polifonia che ci perviene da ogni biblioteca, pubblica o domestica, nella quale sono allineati volumi pensati e scritti in lingue diverse, secondo successioni temporali che è opportuno tener presenti se non si vuole rimanere intrappolati in una babele di testi che ci pervengono da epoche remote o contemporanee, da luoghi lontani tra loro o dall’altra parte della strada, da autori, lingue, culture, sensibilità. visioni ideologiche e culturali profondamente differenziate. Descrivere una realtà così composita e sterminata nelle dimensioni richiede dunque una serie di delimitazioni del campo cui si intende attingere o che si intende rappresentare, per cui produciamo per esempio non manuali di letteratura, ma manuali di letteratura italiana o russa, o francese. e poi di letteratura italiana delle origini o contemporanea, magari restringendo il campo a un solo genere, o trovando ancora altre più specifiche collocazioni per l’oggetto della nostra attenzione.

Un editore di Palermo, “Il Palindromo”, sulla base di questa esigenza di delimitazione del campo d’indagine, propone da qualche tempo una collana di “guide letterarie” in cui ogni singolo volume si propone di raccontare le scritture che hanno visto la luce in una specifica città, partendo dall’individuazione di itinerari tematici che si snodano per le sue vie, sulle tracce di quelli che nelle opere degli scrittori o dei poeti trattati propongono: innanzitutto visioni aperte sul paesaggio urbano in cui narrazioni o poesie sono ambientate. Sono nate così le guide delle “città di carta”, che «sono uno spazio immateriale e fluido che fa da confine concreto all’universo infinito della letteratura». Usciti finora i libri dedicati a Palermo, Catania, Roma, Milano, Torino, Genova. E poi, fatalmente, è toccato anche a Trieste, affidata alle capaci mani di Gianni Cimador, studioso e saggista ben noto a quanti seguono le cronache letterarie anche dalle pagine di questa rivista.

Improntato a un’esigenza, imposta dall’editore, di presentare al lettore un quadro completo ed esauriente di tono divulgativo ma non per questo meno rigoroso di una trattazione accademica, il lavoro di Cimador ha il pregio non comunissimo di farsi leggere con interesse e partecipazione, “come un romanzo”, come si dice con una formula un po’ abusata. Si tratta di una lunga passeggiata per le vie di Trieste, cercando le tracce, talvolta manifeste, più spesso labili o quasi del tutto cancellate, della presenza di autori che ne hanno lasciato una testimonianza scritta. Tessere di un grande mosaico che ci aiuta a decifrare il fascino, spesso ambivalente, che la città di pietra esercita su chi la abita o anche su chi occasionalmente la percorre, sia o meno sospinto alla lettura di quella città di carta che ci viene presentata come un passe-partout atto ad aprire le molteplici porte sulla comprensione del luogo che ci circonda. Ma il libro può anche esser letto dall’altra parte, partendo cioè dalla città di pietra per arrivare a quella di carta: «Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro» (perdonerete la citazione dantesca, ma siamo nell’anno giusto): è cioè il pretesto per tentare la narrazione di una storia del fare letteratura a Trieste sotto le mentite spoglie di una guida turistica della città, completa persino di una pianta topografica ripiegata in una tasca inserita nella terza di copertina.

Narrare una storia della letteratura a Trieste tra le ultime fasi dell’Ottocento e il nostro presente, all’ombra di una visione, suggerita da Pancrazi novant’anni or sono, animata dalla sussistenza di una specificità locale della letteratura triestina di lingua italiana, con il corollario dell’esigenza di accennare almeno a una pluralità – cui fa riferimento anche Elvio Guagnini nella sua postfazione – che ha visto nella città giuliana la copresenza di almeno altre due letterature nazionali, slovena e tedesca, nate entrambe come quella “nostra” al di fuori dei confini nazionali. L’impresa si presenta non facile e tuttavia affascinante. Il libro di Cimador riesce a coglierne tutti gli elementi di peculiarità di una situazione geopolitica che non può non avere determinato negli autori un rapportarsi criticamente a un territorio così composito, matrice di una schiera sorprendente – per quantità e qualità – di scrittori, alcuni dei quali autentiche pietre miliari delle rispettive letterature nazionali, le cui opere largamente eccedono i perimetri linguistici nei quali nascono. Penso a Svevo, a Saba, a Magris, a Tomizza, a Joyce, a Bartol, a Pahor, a Rebula, a Kosovel, per dire solo dei maggiori.

Si tratta dunque di una storia plurale e spesso conflittuale, che affonda le sue radici nell’ultimo periodo della dominazione austriaca, in cui sotto molteplici aspetti la città si conformava al modello viennese e molto opportuna risulta una citazione di Stefan Zweig, tratta dal suo Mondo di ieri, intrisa di nostalgia per l’Austria felix mentre si addensavano nubi minacciose sul suo tramonto. Né quello con la capitale dell’Impero è l’unico dei gemellaggi ideali che potrebbero istituirsi tra la città adriatica ed altre lontane capitali europee: basti pensare al primo soggiorno triestino del giovane James Joyce, dopo la breve parentesi a Pola, tra il 1905 e il 1915. Lo scrittore. esule volontario con Nora dalla sua Dublino, trova agevolmente a Trieste una sua città d’elezione, che esplora sistematicamente, avidamente curioso della vita che vi si svolge, dei luoghi di culto di differenti confessioni, delle osterie e dei caffè, dei bordelli e delle case borghesi, delle pasticcerie e degli stessi appartamenti in cui vive con la famiglia (nove traslochi in dieci anni) in una perenne condizione di precarietà economica, tra eccessi etilici e scorribande erotiche postribolari. «Se quindi Dublino risulta un contesto insopportabile per il dominio inglese e per la presenza pervasiva di una chiesa cattolica che controlla ogni aspetto dell’esistenza, Trieste è invece la città ideale per la maturazione letteraria di un artista che vuole conoscere il mondo e non sopporta limitazioni alle sue libertà e ai suoi desideri».

Come per i cento altri autori presi in esame da Cimador, anche per Joyce la narrazione si espande a toccare molti aspetti della biografia e della bibliografia dell’irlandese, ponendole in relazione con i luoghi e le vestigia del suo passaggio nella città giuliana, fornendo dunque al lettore indirizzi e denominazioni di bettole, di casini, di caffè, di pasticcerie, ma anche brevi illuminanti citazioni dai suoi libri e testimonianze, fino a esibire alla fine un esauriente ritratto tanto dell’artista quanto della sua opera, oltre a rendere edotto il lettore di un’adesione di entrambi – autore ed opera – alle “pietre”, alla realtà materiale, topografica e storica, che completano un quadro altrimenti astratto e incompleto.

Dobbiamo qui limitarci, con questo accenno appena abbozzato, a parlare del solo caso di Joyce, mentre tanto ci sarebbe da dire degli altri, che la felice vena narrativa e la sicura competenza in materia dello studioso sottopone alla nostra attenzione di lettori, senza note a piè di pagina, senza ostentazioni di un’invasiva erudizione, secondo un modello che, via via che ci si addentra nella lettura, acquista sempre più vivezza e profondità. Trieste dovrebbe esserne grata a Gianni Cimador.

 

 

Gianni Cimador

Trieste di carta

Guida letteraria della città

Il Palindromo, Palermo 2020

  1. 280, euro 18,00