Oscenità al Musée d’Orsay

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di Michele Diego

 

Tra i desideri di un giovane bulimico d’arte come me, c’è quello di poter visitare i musei e le esposizioni da solo, senza file alla biglietteria e senza accelerare o rallentare secondo i ritmi dettati dalle comitive. E invece, oggi che questa opportunità mi viene offerta, preferirei farne a meno. I musei di Parigi sono vuoti. Lo dicono tutti i dati. Riduzioni di più del 70% delle visite e 40 milioni di euro di perdite per il Louvre, stesse percentuali e 28 milioni di perdite stimate dalla coppia Museo d’Orsay/Museo de l’Orangerie, Centre Pompidou prevede di perdere 20 milioni e Catherine Pégard, presidentessa dell’ente che amministra la reggia di Versailles, ha parlato di un crollo dei visitatori con 45 milioni di perdite. E oltre ai dati ufficiali, lo dico anch’io, che, in una maratona attraverso i musei parigini, ho constatato con amarezza gli effetti del Coronavirus. Museo Rodin: talmente vuoto che un’assistente di sala ridendo mi dice che hanno aperto il museo espressamente per me; Museo Maillol: alla biglietteria mi guardano chiedendosi cosa possa volere da loro; Museo nazionale Picasso: non c’è nessuno, e per scoraggiare ulteriormente chiunque pensasse di venire, si è obbligati a districarsi attraverso un labirinto informatico in cui si deve fornire ogni tipo di dato personale per munirsi del biglietto online; Dalí Paris: avvistata un’unica coppia di turisti, sorpresi anche loro di vedere me.

Eppure, nonostante la carestia di visitatori, la sicurezza del museo d’Orsay ritiene una buona idea fermare una ragazza all’ingresso, colpevole di portare un abito scollato, giudicato inopportuno. La ragazza, studentessa di Letteratura, racconta l’accaduto su Twitter, in una lettera aperta rivolta al museo, ove si legge: «Arrivata all’entrata del museo non ho il tempo di tirare fuori il mio biglietto che la vista del mio seno e del mio vestito scollato sciocca un’agente incaricata al controllo delle prenotazioni. Inizia a dire: “Ah no, così non va, non è possibile, non si può lasciar passare una cosa così”. […] Domando cosa succede, non mi rispondono, fissano il mio seno, mi sento atrocemente imbarazzata». Poi spiega che finalmente hanno ammesso che è per la sua scollatura che non può entrare. Alle sue richieste di spiegazioni le rispondono il classico «le regole sono regole», aggiungendo anche «si metta una giacca così la lascio entrare, all’interno del museo se la tolga se vuole, la capisco, ma sono le regole». E ancora scrive: «mi vergogno, ho l’impressione che tutti mi guardino il seno, non sono altro che il mio seno, non sono che una donna sessualizzata, ma voglio entrare nel museo». Così indossa la giacca ed entra.

La lettera rimbalza su Twitter e viene condivisa da più di quarantamila persone. Il pensiero di tutti lo ha già anticipato lei nella lettera: possibile che il museo che espone L’origine del mondo di Courbet si scandalizzi di fronte a un décolleté? Possibile che un museo che legittima la nudità come espressione artistica si formalizzi per un abito scollato?

Il museo com’era prevedibile risponde scusandosi con la ragazza. Ma a quanto pare le scuse non sembrano sufficienti alle femministe del gruppo Femen. E così una ventina di loro entra nel museo qualche giorno dopo. Lì, ordinate e distanziate nella navata centrale, in mezzo alle sculture, restano nude dalla vita in, salvo che per la mascherina anti-Covid, elemento distintivo dei tempi che corrono. Sui loro corpi hanno scritto «Obscene because of you» e «Ceci n’est pas obscène», frase che intanto ripetono in coro.

«Chi si scandalizza è sempre banale» diceva Pasolini, e almeno a Parigi, almeno tra le opere di Matisse, Renoir, Degas, Bonnard, l’unica cosa davvero degna di censura è la banalità.

 

 

William-Adolphe Bougureau

Nascita di Venere

olio su tela, 1879

Musée d’Orsay, Parigi