STORIA E GLORIA DEL CIBO MADE IN ITALY

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Intervista a Marzo Magno

di Serenella Dorigo

 

Alessandro Marzo Magno, nato a Venezia un giorno di settembre, cresciuto professionalmente tra Trieste e Milano, dopo aver fatto il giornalista per oltre un quindicennio, si è dedicato alla divulgazione storica.

Apprezza il buon vino, la buona tavola, le buone letture. Gli altri, fra le varie attività, di lui apprezzano la sua cucina, soprattutto il risotto, così almeno si legge nel suo blog.

Laureato in Storia veneta all’Università di Venezia, è stato per nove anni caposervizio esteri del settimanale Diario, più volte presente nei Balcani durante il conflitto che ha dilaniato la ex Jugoslavia, negli anni che vanno dal 1991 al 2001.

Ora si dedica alla scrittura, a ritmi serrati, pubblicando libri di grande successo come L’invenzione dei soldi. Quando la finanza parlava italiano e L’alba dei libri. Come Venezia ha fatto leggere il mondo, entrambi pubblicati da Garzanti e tradotti in varie lingue.

Il suo ultimo libro è Il genio del gusto. Come il mangiare italiano ha conquistato il mondo, giunto alla sua seconda edizione (marzo 2015), ampliata di quattro nuovi capitoli, sempre edito da Garzanti. Si tratta di una storia dei più importanti e rappresentativi cibi e bevande della gastronomia italiana, dalla pasta alla pizza, dal caffè al gelato, dall’aceto balsamico al tiramisù.

Anche questo come tutti i suoi libri, si rivela di grande curiosità e interesse, per un argomento di cui, mai come in questo periodo storico, si è parlato e si continua a farlo, con abbondanza di format televisivi e libri per tutti i gusti.

2015: l’anno dell’Expo sull’alimentazione, quale migliore occasione per parlare della storia del cibo e delle peculiarità a esso legate.

In questo suo ultimo libro Il genio del gusto, lei parla del cibo e di tante specialità ad esso legate; lo fa con leggerezza, cura dei dettagli e dovizia di particolari. Inizia dal 997, l’anno della pizza, per passare al 1279, l’anno dei maccheroni, quindi al 1570, anno della mozzarella, al 1694, anno del gelato, dell’aceto balsamico, al più recente 1979, anno dello spritz o del tanto discusso tiramisù, e poi di tanto altro ancora. L’idea di questo libro è nata per completare un suo percorso personale, per cavalcare il momento o per qualche altra ragione?

Per quanto possa a prima vista sembrare che non c’entri nulla, questo libro è una sorta di seguito dei due precedenti, ovvero delle storie di ciò che l’Italia ha dato al resto del mondo. L’editoria, la finanza e il cibo: tre grandi successi globali del made in Italy. Con la differenza che mentre dell’universalità del cibo italiano ci rendiamo conto tutti, del fatto che l’editoria moderna e la banca siano nate in Italia, ne abbiamo senza dubbio minore coscienza. Se poi dicessi che l’aver fatto un libro sulla storia del cibo italiano è slegato dal momento e dall’Expo, direi una bugia.

In ogni capitolo c’è un lavoro di ricerca e di approfondimento; quale di queste scoperte ha lasciato sorpreso anche lei?

La profonda e assoluta commistione tra alcuni successi della gastronomia e l’industria italiana. Alcuni cibi non esisterebbero senza le macchine, senza l’industria. Vale per gli spaghetti (figli della trafilatrici industriali), per il panettone e il pandoro (evoluzione industriale dei precedenti dolci natalizi artigianali) e, ovviamente, per la Nutella. Ma la storia che più mi ha affascinato è stata quella del caffè. Il caffè espresso non esisterebbe senza la macchina e una delle macchine da bar è stata inventata riproducendo i meccanismi della locomotiva a vapore, la Moka express Bialetti è stata concepita ricopiando il sistema che la moglie di Alfonso Bialetti usava per fare il bucato. Questo è il genio italiano.

Quale delle specificità di cui parla nel libro le è piaciuta di più?

Mi ha affascinato scoprire che il concetto di tipico, a cui siamo tanto affezionati, in realtà non esiste. Quel che noi pensiamo che sia tipico, in realtà non lo è proprio per niente. Cosa c’è di più tipicamente italiano della pasta col pomodoro? Sarebbe meglio domandarsi cosa ci sia di italiano nella pasta col pomodoro, visto che la pasta secca arriva dal mondo arabo e il pomodoro dall’America. Ancora una volta, il genio italiano è consistito nel mettere insieme la pasta araba con il pomodoro americano e farne la bandiera della nostra gastronomia.

Arte culinaria e letteratura: un binomio succulento e stuzzicante…

Be’, l’arrivo del timballo di maccheroni sulla tavola del principe di Salina, descritto nel Gattopardo, è una delle più belle pagine della letteratura italiana. Così come la cucina del castello di Fratta, descritta da Ippolito Nievo in Le confessioni di un italiano (peccato che l’originale, nel castello di Colloredo di Monte Albano, sia stato distrutto dal terremoto del Friuli nel 1976), o il tenente che mangia i maccheroni in Addio alle armi di Ernest Hemingway.

E per un cultore del buon cibo e della buona tavola, quali sono i cibi irrinunciabili della gastronomia del nostro Paese?

Mi sembra un po’ come chiedere se si vuol più bene alla mamma o al papà! Potrei rispondere che delle quattro parole italiane più conosciute nel mondo quattro si riferiscono alla gastronomia: pasta, pizza, espresso, tiramisù (la quinta è ciao). Però d’altro lato noi siamo la nostra storia, quindi siamo legati ai luoghi dove siamo nati e cresciuti. E io potrei uccidere per un piatto di moleche fritte. Le moleche sono i granchi in muta, dal guscio morbido, che a Venezia si mangiano fritte, accompagnate da una fetta di polenta. E che sia polenta bianca!

Non so se ha letto Non c’è gusto, il caso editoriale del momento, del giornalista Gianni Mura, che nel libro racconta l’Italia dei sapori e spiega come evitare sorprese e fregature tra ristoranti e trattorie. Inoltre offre al lettore un’occasione per diventare “Giuda di se stesso… prima di sedersi a tavola… senza avere la pretesa di essere una guida o un decalogo”. Cosa le piacerebbe restasse al suo lettore de Il genio del gusto?

Il gusto per la smitizzazione. Il prendere tutto con il sorriso sulle labbra. In Italia ci sono varie confraternite di Soloni in palandrana che ti spiegano come dev’essere fatto questo o quello. Il pesto? Se ci metti il prezzemolo ti fuciliamo alla schiena, traditore! E poi leggi le vecchie ricette ottocentesche e scopri che il pesto era fatto anche con il prezzemolo.

Parlando di spreco alimentare, di cui Andrea Segrè, docente di Politica Agraria Internazionale e Comparata, è diventato un’autorità in materia, nel suo libro Primo non sprecare scrive: «Sprecare un bene significa, per chi compie quell’azione, che quel bene non ha più valore. E una società dove il cibo non ha un significato nutrizionale, economico, ambientale, sociale, culturale, storico, conviviale, emozionale è davvero arrivata al capolinea o, più propriamente, alla frutta.» Quindi non solo un discorso etico ma anche filosofico, come si colloca rispetto a questo? Abbiamo un rapporto perverso col cibo: mangiamo troppo, e male. Vogliamo che il cibo costi poco, non siamo disposti a spendere per avere alimenti di qualità e poi spendiamo senza batter ciglio un sacco di soldi per dimagrire. Basterebbe mangiare meno, basterebbe comprare i cibi freschi nei negozi anziché nei supermercati: carne, frutta e verdura di qualità. In questo modo si abbatterebbero almeno in parte anche gli sprechi, spesso legati al sistema della grande distribuzione organizzata.

Non voglio tediarla con citazioni di libri altrui e di dati, ma siamo curiosi di sapere cosa ne pensa della fame nel mondo. Per questo mi sostengo con il libro di imminente uscita La fame, dell’autore argentino Martìn Caparròs, reporter di viaggio e giornalista. Una sorta di romanzo, che racconta le storie di persone che patiscono la fame, ma accanto a questo ha voluto aggiungere dati e analisi correnti, per provare a cercare una spiegazione.

Nell’ultimo rapporto Fao si afferma che 795 milioni sono le persone denutrite, ed è la prima volta che si scende sotto la soglia degli 800 milioni, in 72 dei Paesi in via di sviluppo su 129, hanno raggiunto il primo degli obiettivi stabiliti dall’Onu nel 2000: dimezzare la fame.

Infatti, produciamo tutto il cibo di cui avremmo bisogno e anche di più. Il vecchio pianeta Terra, per il momento, è in grado di reggere l’impatto dei sette miliardi che siamo. Il punto è far arrivare il cibo che già c’è a chi non ne ha. Potremmo farcela agevolmente, se solo volessimo.

Il senso della mia battaglia è questo: con l’alimentazione sana dobbiamo e possiamo eliminare l’obesità infantile, e non solo, nell’arco di una generazione. E tante vite adulte, oggi falciate dal diabete, dagli ictus e dagli infarti, si possono salvare mangiando bene”. È con questo intento che Michelle Obama è partita per la sua missione alla volta dell’Italia, per visitare l’Expo?

Sì, dobbiamo fare di più, molto di più per far mangiare meglio i nostri bambini. Di recente sono entrato in contatto con una società – si chiama Albert – che fa controllo qualità e capitolati d’appalto per le mense scolastiche in centro Italia. Ebbene questi signori sono riusciti nell’impresa di sostituire i bastoncini di pesce surgelato con pesce azzurro fresco nelle mense di 42 comuni marchigiani e di far mangiare prodotti dop e igp ai bambini delle mense di Roma. Oggi i bambini romani mangiano carne di animali a lenta crescita (e quindi non possono essere gonfiati di estrogeni) e chiedono ai loro genitori di mangiarla anche a casa, quindi non solo fanno mangiar bene i bambini, ma si fa educazione alimentare verso le loro famiglie. Quindi per tornare a Obama, in questo caso Barack: «Yes, we can!».

Ha visitato l’Expo? Cosa le è sembrato?

Ci sono andato e mi è piaciuto. Certo, è una grande fiera, un luna-park. Ma tanti anni fa, nel 1986, ero stato all’Expo a Vancouver, in Canada, ed era esattamente questo. Quindi non mi aspettavo nulla di diverso. Alcuni padiglioni sono fantastici, per esempio consiglierei a tutti di visitare quello della Germania, altri sembra che abbiano confuso l’Expo con una fiera di promozione turistica, tipo Ungheria o Slovenia, altri ancora sono assurdi, come il padiglione del Turkmenistan, dove sembra di fare un viaggio nel tempo all’epoca dell’Urss. Ma ci sta, alla fine va bene così.

Quali progetti futuri, se può dircelo, nel suo percorso di scrittura?

Continuo con le eccellenze italiane: toccherà a moda, costume, cosmetica. Altri settori in cui il genio italiano ha dato lezioni al resto del mondo.

 

 

 

Alessandro Marzo Magno, Il genio del gusto. Come il mangiare italiano ha conquistato il mondo, marzoGarzanti  pp. 352, € 19.50