Storie dal Mondo Nuovo

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di Gianfranco Franchi

 

Adelphi ha investito su un giornalista italiano, classe 1982: così, nella notevole “Collana dei casi”, già popolata da diversi libri di William Langewiesche (quello del memorabile American Ground), Anna Politkovskaja, Guido Ceronetti e Iosif Brodskij, si legge adesso l’inatteso nome del trentacinquenne Daniele Rielli, bolzanino di nascita, mediterraneo di sangue e cultura, ex outsider verace, già collaboratore del Venerdì di Repubblica, di Internazionale e di diversi altri periodici, per anni attivo nel web nel blog “Quit the Doner”.

Storie dal mondo nuovo è una raccolta di dieci reportage, piuttosto diseguali per lunghezza e genesi: quattro già apparsi in forma ridotta altrove, quattro già pubblicati in versione integrale, due inediti; tutti i pezzi sono stati scritti tra l’ottobre del 2014 e il luglio del 2016. Il risultato stava bene, a livello editoriale, nella media editoria di qualità e di progetto di qualche anno fa: nel catalogo Minimum Fax o in un quello Isbn, o al limite in una Castelvecchi ancora plasmata dal suo contraddittorio fondatore e non dai suoi plurimi succedanei; Rielli sembra parlare a una generazione di trentenni o quarantenni, direi sofisticati (a rischio radical chic, più o meno consapevolmente), con un tono sbarazzino e mediamente irriverente, più raramente caustico; ha un approccio da brillante o bizzarro giornalista di costume, con una scrittura comunque abbastanza controllata. Sale decisamente di livello soltanto in due occasioni, vale a dire nel pezzo dedicato all’intervista all’ormai vecchio, leggendario Frank Serpico e nel superbo e onesto Io che ho attraversato l’Alto Adige, reportage di circa settanta pagine che va a costituire, nelle biblioteche degli appassionati di questioni sudtirolesi, il secondo passo immancabile dopo il vecchio Sangue e suolo del povero Sebastiano Vassalli [Einaudi, 1985]. Per il resto, il “mondo nuovo” rappresentato da Rielli restituisce, man mano, microcosmi o macrocosmi comunque poco raccontati: si va da sopralluoghi nella “Little Odessa” di South Brooklyn, comunità ultraconservatrice di russi male americanizzati, espressione di tre diverse ondate di emigrazione, prevalentemente ebraica; poi, si passa per appassionate letture dei contrasti e delle contraddizioni dell’Albania contemporanea, laddove i nostri compatrioti primeggiano per numero di imprese (400) e vanno salariando gli operai 200 euro al mese compresi gli oneri sociali, mentre gli albanesi si vanno legando a nuove potenze occidentali; a un certo punto, si sprofonda nel mondo graffitaro dei writer e si ammette che qualche regola c’è, nonostante la comprensibile diffidenza di noi profani (“rispetta i centri storici e i monumenti, e chi ha fatto questa cosa prima di te”), mentre si blatera su come vengono concertate le azioni nelle “yard”, volta per volta; non manca un matrimonio indiano a Fasano, con budget da capogiro ed elefantiache epifanie. Quando Rielli si dedica ad argomenti di pubblico dominio, o comunque a questioni meno complicate da immaginare (da come appaiono i politici e i giornalisti politici a ridosso delle elezioni presidenziali a quanto blaterano i fanfaroni delle startup nelle loro costosissime e plastiche “conventions”) allora perde in brillantezza; sembra un opaco imitatore di Flaiano, quando parla di questioni capitoline, soprattutto perché sbrodola nel parlato e in un romanesco d’accatto che fa venire qualche bolla (“il clima in Transatlantico è intriso di quella convivialità ostentatamente paracula caratteristica dei ritrovi di chi in fondo ha svoltato”: ma dai). Quanti trovassero congeniale scrittura e argomenti scelti da Rielli sappiano che soltanto tre anni fa, nel 2014, il giovane artista aveva pubblicato un’altra raccolta simile, Quitaly. L’Italia come non la raccontereste ai vostri figli per una piccola casa editrice, Indiana. Là si parla addirittura dei raduni di Herbalife, per dire.

 

Copertina:

 

Daniele Rielli

Storie dal mondo nuovo

Adelphi, Milano 2016

320 pp, euro 19,00