TRA MADRE E BAMBINO

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la notte si avvicinaAndando al fondo della parola, al fondo anche del ritmo e della musica, al fondo della nostra individuale memoria troveremo con ogni probabilità un canto soave di donna, una nenia poco più che mormorata, quella che ci faceva transitare con dolcezza dalla veglia al sonno, portandosi via ogni paura, ogni smarrimento di fronte al buio della notte che ci appariva ostile, se non altro perché implicava esclusione e solitudine.

Su questa scena primaria, nel luogo dove il suono di sillabe variamente scandite previene il significato, si è riaffacciata Marina Silvestri, andando a cercare colà i versi di una sua silloge, ventidue brevi e intense poesie, numerate dall’uno allo zero (o al ventidue, come le carte dei Tarocchi), a sottolineare la circolarità del percorso.

I versi della Silvestri includono al loro interno quelli di antiche filastrocche e di un po’più recenti canzonette o canzoni d’autore, mischiando assieme una memoria ereditata e una personale, quelle che avevano riempito di suoni l’adolescenza e la giovinezza dell’autrice e di quasi tutta intera la sua generazione: una voce, dunque, che canta a se stessa, anche quando si rivolge al bambino per acquietarlo. Quest’ultimo, peraltro, è apparentemente indifferente rispetto al contenuto di quanto viene cantato per lui: quanto gli viene proposto è suono, puro flatus vocis, depurato di ogni valenza semantica, ridotto soltanto a un richiamo che fissa un’identità e una comune appartenenza a un “gruppo di due” protettivo ed escludente.

Un gruppo, nella visione della Silvestri, declinato unicamente al femminile (Il tuo uomo di là in un’altra stanza / tempo che non gli appartiene / e lo sa… ), che agisce all’interno di uno spazio stralunato e surreale (i colori dell’oscurità che danzano / davanti ai tuoi occhi spalancati), come stralunato e surreale risulta pure lo srotolarsi del tempo (Il tempo come inverso / o relativo/ è successo all’improvviso lo scambio dei ruoli) ma che è tale da consentire un’inversione di polarità.

L’io narrante – in seconda persona singolare – coglie se stesso su un discrimine temporale pencolante tra passato e destino, tra quanto la maternità porta in dote al sopravvenuto infante e quanto egli in potenza tiene celato di sé, di quello che sarà e farà, in uno snodo del tempo del quale si percepisce solo intuitivamente e di striscio la magia di un allineamento di pianeti, di un collimare impreveduto e rivelatore dei percorsi umani dell’adulto per quanto è stato nella sua vita anteriormente a questo istante e del bambino per quanto gli sarà dato di vivere.

Così può capitare che questa scenetta a tre (c’è sempre lui di là, in un’altra stanza) offra l’imprevedibile bilancio di una generazione intera, dei suoi miti, delle sue speranze:

 

La tua generazione ha sognato

di-conquistare-la rossa-primavera…

incedi con passo sciolto

non-vedete-che-il-cielo-ogni-giorno-diventa-più-blu…

sei tu ora ad avere gli occhi spalancati

a guardarti dentro

un-bel-giorno-cambierà

 

e può allora capitare che si ripensi alle “nostre” nenie, cantate per noi, tanto tempo prima, da un vecchio coro partigiano, dai Rokes o da Luigi Tenco.

 

Marina Silvestri

La notte si avvicina

con saggi critici di Carlo Muscatelli ed Alessandro Di Grazia, Ibiskos Editrice Risolo, pagg. 48, euro 12

IL PONTEROSSO N° 0, aprile 2015