Storie delle città

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Intervista con Paolo Scandaletti, direttore della collana proposta da Edizioni Biblioteca dell’Immagine di Pordenone

Si dice che i ragazzi non siano interessati: è vero, ma solo in parte. Quando gli dai sostanza, altroché se sono interessati.

di Marina Silvestri

 

Voglia di identità e di libri che diano visioni di insieme, documentate e non ideologicamente forzate. Il successo editoriale della collana Storie delle Città, diretta da Paolo Scandaletti, Edizioni Biblioteca dell’Immagine di Pordenone, testimonia l’attenzione del pubblico per le vicende storiche ed umane delle realtà in cui ciascuno è nato. Il primo volume Storia dell’Istria e della Dalmazia, uscito a giugno del 2013 è arrivato alla sesta edizione ed è in questi giorni venduto assieme ai quotidiani del gruppo Repubblica in Veneto. Nel frattempo ne sono usciti altri su Siena, Torino, Firenze, Brescia; quello su Trieste scritto da Nicolò Giraldi, su Padova da Toni Grossi e Francesco Jori, su Fiume da Giovanni Stelli, su Venezia e su Grado e Aquileia, firmati dallo stesso Scandaletti. ’Dalle origini ai nostri giorni’ viene specificato nel frontespizio dei volumi. Libri esaustivi per l’ampiezza temporale dei dati riportati e gli ambiti: dai fatti storici e culturali alle vicende umane dei singoli. L’intenzione è quella di raccontare le storie delle Città, con particolare attenzione alla loro “anima”, e al loro “odore” e “colore”, annota l’editore Giovanni Santarossa, a complemento delle osservazioni di Scandaletti il quale presenta il lavoro come un testo di “Storia istituzionale e politica, delle migrazioni e delle battaglia, l’economia e i commerci; ma anche la cultura e l’arte, la musica e il bel vivere, i palazzi e i musei. Racconti focalizzati sugli attori di quelle storie, facendoli rivivere con pregi e difetti; uomini sul proscenio e donne in seconda fila (spesso soltanto apparente), usi costumi e cibi, burocrazia associazionismo e solidarietà, prepotenze e terrorismi”. Ce ne parla Paolo Scandaletti, direttore della collana autore di biografie di personaggi del passato e del presente come Ottavio Missoni, Galileo Galilei, Chiara d’Assisi, Gaspara Stampa, in cui dalle vicende umane si risale al contesto sociale e storico dei periodi.

 

C’è una grandissima quantità di dati, informazioni, resoconti di fatti esemplari. Come sono strutturati i libri della collana?

Lo scopo è di offrire una storia compiuta delle città. Non si trovavano sul mercato editoriale storie così complete e siccome mancavano l’abbiamo proposto e il successo dimostra che la scelta è stata felice. Per il successo di un libro bisogna trovare una nicchia. La storia di Brescia ha venduto 850 copie solo nella libreria Feltrinelli di Brescia. Vuol dire che la domanda di conoscenza della propria città da parte dei bresciani era elevata perché altrimenti un risultato così non si ottiene. Il libro su Fiume ha attirato l’attenzione del direttore del Dipartimento di Storia dell’Università di Perugia, il prof. Mario Tosti, che ha organizzato un dibattito con l’autore, Gianni Stelli, e con me. Ciò vuol dire che ci vogliono autori capaci e conosciuti in grado di svolgere il compito, cioè entrare nello spirito e nel format della collana e svolgerlo nel modo più opportuno. La mia Storia di Venezia ha fatto da modulo alla collana. La scelta strategica è raccontare le città dall’inizio a oggi. Il libro parte dalle origini e racconta oltre al potere politico e alle conquiste, il vissuto della gente. L’arte, la musica, la cultura, il modo di far l’amore. Una modalità di raccontare la storia in tutte le sue sfaccettature. In primo luogo le scelte emblematiche che hanno un significato anche rispetto alle conoscenze di oggi.

Nel suo libro sull’Istria e la Dalmazia dà molta importanza al ruolo avuto dai Romani e da Venezia. Vengono sottolineati alcuni passaggi storici determinanti?

Assolutamente. È importante sottolineare che già 200 anni prima di Cristo nascono Altino e Aquileia, e da queste tutte le vie verso l’interno che da qui si irraggiano. Così come è importante sottolineare la politica di Venezia. Venezia non ha mai mirato a conquistare i territori dell’interno dell’Istria e della Dalmazia, aveva bisogno unicamente di basi portuali che però non servivano a fare affari alle spalle dei porti, ma unicamente a piccoli rifornimenti. Erano basi per andare verso il Medio Oriente perché erano a Costantinopoli gli interessi della Serenissima.

Si forma così l’identità adriatica?

Gli Arabi, nelle carte geografiche dal VII al IX secolo, quando conquistano il Mediterraneo, indicano il mare Adriatico come il Golfo di Venezia perché le due sponde erano veneziane. Allora per esercitare il mestiere di medico bisognava essersi laureati in medicina all’università di Padova e così per tutte le professioni liberali. Fra l’Albania e la costa pugliese il tratto di mare è strettissimo. L’identità si forma da una osmosi fra le due sponde dell’Adriatico, prima grazie all’impronta dei Romani, poi di Venezia.

La scelta delle fonti: lei ha consultato una letteratura molto vasta. Nella bibliografia sono nominati storici conosciuti come Pupo, Salimbeni, Spazzali, e poi Galasso, Oliva, Pansa, Petacco, scrittori come Biagio Marin, Tomizza, Sgorlon, Nelida Milani, Anna Maria Mori, ma anche testi meno conosciuti?

Ho dato molta importanza alla memorialistica: ad esempio il libro di Rumici, Esuli a Grado, o quello di padre Rocchi, L’esodo dei 350mila giuliani, fiumani e dalmati. Rocchi è vissuto fra gli esuli ed è una testimonianza strepitosa. Entrambi pubblicati dall’ANVGD. Mi hanno aiutato tre persone uno è Ottavio Missoni di cui ho scritto l’autobiografia mentre stavo lavorando a questo libro e mi ha dato molte informazioni; l’altro è stato il senatore Lucio Toth, presidente dell’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia che per questa collana ha scritto la Storia di Zara ed ha vissuto dentro questi argomenti per almeno sessant’anni, un altro ancora è Franco Luxardo ora presidente dei Dalmati italiani nel Mondo-Libero comune di Zara in esilio, che conosco dall’Università di Padova.

La scelta delle immagini, slegate dal testo, ha una sua ragione?

Quella di riproporre un archivio importante. Quello che l’editore ha comperato dall’editore Treves di Milano, un archivio costruito fra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento con libretti e guide delle città d’Italia. Le immagini in bianco e nero del volume su Istria e Dalmazia sono tratte da tavole che illustrano un viaggio fatto da Carlo Yriarte nel 1876 pubblicate da Treves nel 1883.

Di Scandaletti la collana ospita oltre alla Storia dell’Istria e della Dalmazia, e alla Storia di Venezia, la Storia di Grado e Aquileia, tutti libri che hanno come filo conduttore la civiltà veneto-adriatica che per diverse ragioni, politiche in primo luogo, era stata trattata in forma minore se non dimenticata dal secondo dopoguerra fino a pochi anni fa. Questo focalizzare lo studio sulle città venete da parte sua da cosa deriva?

L’Italia ha evitato di occuparsi di questi argomenti e l’opinione pubblica ha pressoché ignorato l’esodo, dei Giuliani e Dalmati e quindi la storia andava rifatta e raccontata per colmare un vuoto storico.

L’attenzione del mondo della cultura alla vostra proposta è il segno che la cultura del Paese sta ritrovando la consapevolezza di ciò che sono state per la civiltà italiana l’Istria e la Dalmazia, fino a pochi anni fa argomenti difficili da trattare?

Quando è uscito il libro sono stato invitato ad un convegno dei Dalmati ad Abano e di questo libro hanno fatto un monumento. Dicevano: finalmente racconta la nostra storia, mette le carte in tavola, le pagine di storia che erano sparite, qui le ritroviamo.

I riscontri anche da parte del pubblico sono quindi molti ?

La storia di Bologna si sapeva, quella del treno che non è stato fermato nemmeno per dare da bere ai bambini, o quella degli esuli che andavano verso il Piemonte, altre sono del tutto ignorate. Come la presenza di 7mila esuli a Tortona. Qui alla presentazione ho ricordato la storia di un uomo morto di crepacuore per le condizioni in cui era costretto a vivere, in un ambiente dove gli spazi erano divisi da coperte appese alle corde, per permette a ciascuna famiglia in po’ di intimità. Il sala c’era la figlia, si è alzata e mi è venuta incontro. Quando lei vive momenti di questo genere, tocca con mano che il libro ha raggiunto l’obiettivo che si prefiggeva. Dà i brividi pensare che tanti fatti sono stati ignorati per ragioni politiche. Sono storie normali. Abbiamo fatto un dibattito al liceo Dante di Roma, organizzato dai rappresentanti degli studenti, non c’era nessun insegnante. Volevano capire, essere informati. Trecento ragazzi seduti per terra in palestra. Avevano compreso che era una storia scritta senza letture politiche che cercava di raccontare il vissuto della gente. Ero felice. Si dice che i ragazzi non siano interessati: è vero, ma solo in parte. Quando gli dai sostanza, altroché se sono interessati. Non ci stanno quando la politica cerca di conquistare la loro simpatia, perché su questo sono ipersensibili, sono molto attenti invece quando gli offri un’occasione autentica di comprendere la storia.