Storie di solidarietà vera

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di Anna Calonico

“Nonostante fossero definiti interventi umanitari, venne bombardato un complesso metallurgico che dava lavoro a 36.000 operai”: siamo nel 1999, tra il 9 e il 12 aprile viene bombardata la Zastava, la più grande fabbrica della Serbia, a Kragujevac. In seguito a quei bombardamenti scellerati, volti alla distruzione di un popolo, un gruppo di persone arriva pian piano a fondare l’associazione “Non Bombe Ma Solo Caramelle”, nome che viene dal disegno di un bambino serbo (https://www.facebook.com/nonbombemasolocaramelle), che da allora si preoccupa di ricostruire la vita di chi in quella guerra ha perso tutto: molti i progetti a favore della rimessa a nuovo di scuole e centri pubblici, molti, soprattutto, gli aiuti alle famiglie, in forma di “adozioni a distanza” che consistono in donazioni all’Associazione la quale, tramite il sindacato Samostalni che la rappresenta in loco, li consegna direttamente nelle mani dei bambini durante una cerimonia pubblica.

Vado a trovare Gilberto Vlaic, il presidente di NBMSC, dopo aver letto il primo libro della sua Associazione (Non Bombe Ma Solo Caramelle, a cura di Mariella Grande, Kappa Vu, 2016, € 14, da richiedere direttamente all’Associazione): la lettura è a dir poco interessante, e le domande che vorrei fargli, le parole che mi hanno colpita e che vorrei ripetere davanti a lui sono davvero tante, ma mi soffermo sugli affidi a distanza che distribuiscono a Kragujevac:

La consegna degli affidi avviene in pubblico, come si può vedere nelle foto, e queste sono le ricevute che ogni affidato firma durante l’assemblea

Mi accorgo che accanto ai nominativi è scritto a volte 150 €, a volte 160: Ma i bambini non ricevono sempre lo stesso importo?

No, la quota annuale (310 €) viene suddivisa in due viaggi. Per esempio, vedi questo ragazzo, Aleksa? Qui c’è scritto che in ottobre 2016 ha ricevuto 160 €. Significa, se vuoi andiamo a vedere nel registro di marzo 2016, che la volta precedente ha ricevuto 150.

Ma i ragazzini sanno che riceveranno una quota?

Sì, sono avvertiti dal sindacato Samostalni che riceve in anticipo la lista degli affidi. Vengono avvisati uno per uno una quindicina di giorni prima, così vengono in assemblea e sanno quello che riceveranno, quindi i partecipanti all’assemblea sono tutti gli affidati. Il fatto è che l’assemblea degli affidi colpisce tantissimo la gente che partecipa ai nostri viaggi.

Infatti ho una domanda anche su questo…

Certo, perché hai letto la lettera di Francesca! Quella articolata in Gioia, Stupore…

Sì, ma parlava anche di Vergogna, e mi ha stupito

È una questione di cui parliamo da 17 anni, noi e loro in Serbia, e non riusciamo a trovare un’altra soluzione.

Per questo prima ti chiedevo se i ragazzini sanno che riceveranno un affido, pensavo che fossero tutti lì e che qualcuno venisse chiamato, qualcun altro invece no, perché se ci fossero degli esclusi potrebbe esserci dell’imbarazzo

No, no, lo sanno! Sono tutti lì e tutti quelli che sono lì vengono chiamati.

Ma è una sensazione soltanto nostra o anche da parte loro c’è dell’imbarazzo?

Sì e no, in parte. All’inizio sì, ma erano molto traumatizzati. Noi teniamo d’occhio la situazione di tutte le famiglie in cui abbiamo un affido. Per esempio, questo ragazzo ha 20 anni, ma (mi lascia il tempo di leggere: padre licenziato, ora lavoro temporaneo, madre disoccupata, due figli, lui secondo anno al Politecnico) come facciamo ad abbandonarlo? Gli diciamo soltanto che non ne ha più diritto? Le singole famiglie non sanno il lavoro che ci sta dietro, sanno che vengono affidati, perché vengono affidati, a volte trovano che è cambiato il nome dell’affidatario.

Vedo infatti che alcune persone a volte decidono di non mandare più i soldi dell’affido…

Sì, a volte succede, e per noi è un dramma, perché per noi le persone vengono prima di tutto. Dal punto di vista della nostra organizzazione i progetti nel sociale valgono di più, perché ricostruiamo strutture stabili che noi lasciamo in eredità, a loro e a quelli che vengono dopo. Ma il problema è che la gente deve mangiare adesso. Quindi noi cerchiamo di chiudere un affido soltanto quando i ragazzi hanno finito la scuola, anche l’università, il master, la specializzazione… a meno che non capiti qualcosa: un ragazzo che faceva la scuola alberghiera ha trovato lavoro come cuoco e abbiamo potuto chiudere l’affido. Poi guardiamo anche la situazione sanitaria della famiglia, perché il problema dei farmaci lì è gravissimo. Ci sono anche tante famiglie con ragazzi portatori di handicap, li conosciamo tutti perché non riusciamo a lasciarli, anche se è difficile che qualcuno chieda di avere un affido così problematico: lo ha chiesto la Misericordia di San Giorgio di Nogaro, che ha due ragazzi con problemi molto gravi. Insomma, si è cominciato nel 1999 a raccogliere soldi per questi affidi, li si mandava al sindacato di Kragujevac dicendo che c’erano tot soldi per tot affidi e lasciando che loro cercassero tra i lavoratori come distribuirli. Si pensava che la campagna affidi durasse poco, un anno o due, poi che si sarebbero ripresi, in realtà non è più successo e siamo andati avanti. Lì si sono strutturati con un ufficio che consta adesso di cinque persone (il segretario, Rajko, che è il segretario del sindacato, poi Rajka, che parla benissimo italiano… Quasi subito gli affidi sono scesi tantissimo, dai 1800 del 2001 adesso siamo a circa 500 (160 della nostra ONLUS, gli altri a carico di associazioni italiane simili alla nostra), ma la gente povera conosce benissimo quell’ufficio, è un punto di riferimento per chi vuole chiedere aiuto, perché non agiscono soltanto come sindacato ma anche come un centro di sostegno sociale. Poi ci siamo specializzati tutti: nel senso che cerchiamo casi specifici, e all’inizio non chiedevamo controlli delle situazioni familiari, anche perché erano tutte realtà drammatiche. Adesso chiediamo verifiche semestrali e in più ogni volta che abbiamo difficoltà a reperire i soldi per un determinato affido.

Ma c’è un criterio che stabilisce di scegliere un bambino piuttosto di un altro?

No, non si può dire che ci sia un criterio oggettivo perché dovremmo avere un resoconto dettagliato di tutta la popolazione della città, invece possiamo conoscere la situazione di chi gravita intorno al sindacato, lavoratori ancora in produzione e migliaia e migliaia di licenziati. Guardiamo spesso se ci sono affidi che si possono chiudere, questa è la lista di tutti i ragazzi in affido che hanno più di 20 anni: ma sono tutti universitari. E ci sono invece affidi che restano senza affidatario. Adesso abbiamo tre nuovi affidi e nelle lettere ai nostri sostenitori per chiedere il rinnovo chiedo sempre di mandare qualcosa in più, se si può. Alcuni dei nostri sottoscrittori sono benestanti, altri ci mandano quello che possono, come una signora di Venezia che ci manda 10 € al mese per una bambina di 8 anni, e noi siamo costretti ad integrare, ma non possiamo abbandonarla!

Chi aggiorna i report sulle situazioni familiari? Come si fa?

Li aggiornano sempre il segretario e Rajka, tramite intervista telefonica alla famiglia, tramite verifica della posizione abitativa al catasto per sapere se la casa è di proprietà o no: non ci fidiamo soltanto della parola delle persone, andiamo anche a controllare.

È successo spesso che le notizie trovate al catasto non corrispondessero con quanto vi era stato detto?

No, ma due, tre casi sono stati esclusi dalle nostre liste per imbroglio, ma forse nemmeno dipendeva da loro. Era più facile che succedesse all’inizio, e in ufficio sono molto attenti, sanno che se sforano anche di poco perdono di credibilità, e il loro ufficio sta in piedi perché ci siamo noi. Quando nel 2011 si è verificata la più grossa crisi del sindacato, dovuta al licenziamento di 4-5mila persone, Rajko stesso mi ha detto “Noi stiamo in piedi perché ci siete voi”.

Ho letto che ci sono molte famiglie con un solo genitore, che molto spesso c’è soltanto la madre… In questo libro non si vedono mai gli uomini!

Sì, ci sono tante famiglie monogenitoriali, ce n’erano di più in passato. Soprattutto all’inizio molti padri se ne andavano perché non riuscivano a reggere la situazione. Gli uomini hanno subito il trauma maggiore, perché il loro ruolo era quello di dover provvedere alla famiglia, si sono trovati all’improvviso espropriati del loro ruolo, senza lavoro, sconfitti dalla vita. Suicidio, depressione, alcolismo e fuga: quattro possibilità per un uomo, che una donna non può permettersi a meno che non decada il suo ruolo di madre, il che è impossibile perché è un dato biologico troppo forte.

Ma che fine facevano questi uomini?

Scomparivano in Europa.

Torniamo agli affidi (e lui ricomincia a sfogliare il rapporto delle situazioni familiari):

Ecco, per esempio: Marko adesso ha 15 anni, questa bambina invece la conosco da quando aveva 3 anni, è appena stata riassegnata perché aveva perso l’affidatario, ma la madre fa le pulizie, il padre è morto e ci sono due figli; lei va ancora a scuola. Questo lo conosco da tantissimi anni, ma è un bambino malato, quindi quando ha perso l’affidatario abbiamo dovuto riassegnarlo. Si è scelto di evitare di dare i soldi in mano del funzionario del sindacato per distribuirli nelle singole case perché i soldi sono talmente tanti che la fiducia non è mai abbastanza. Inoltre è necessario che i nostri affidati sappiano che non fanno parte di una campagna di beneficenza, per noi questo è fondamentale. Noi abbiamo una visione della solidarietà che è veramente solidarietà di classe. Che poi questo termine “classe” possa essere annacquato, perché non sono più lavoratori ma sono sempre un gruppo sociale: questo gli viene detto ad ogni assemblea, perché devono sentire di far parte di una famiglia molto più grande. Questi sono i motivi per cui le adozioni vengono date in pubblico. Io la prima volta sono rimasto sconvolto perché mi chiedevo “Come fanno a resistere due ore in questa sala, aspettando di venir chiamati?” Mi vergognavo io stesso ad essere lì come italiano che portava il regalino, però poi ho capito: quando vedono qualche italiano che va lì, soprattutto se è sempre la stessa persona, sono felici, sono veramente felici. Sono persone che hanno bisogno di avere un rapporto umano, di non sentirsi abbandonati, sconosciuti al mondo. È chiaro che la prima volta che un italiano che arriva lì si sente imbarazzatissimo, la reazione di Francesca io la capisco e ne ho parlato più volte con lei. Ho voluto pubblicare la sua lettera perché c’è una critica, ed è giusto che ci sia. Ho discusso con Francesca, ma nemmeno lei ha saputo darmi una risposta: come si possono gestire i soldi? Si danno ad uno che li distribuisce casa per casa? No, mancherebbero le ricevute firmate davanti a noi, e poi ci vediamo reciprocamente. Quello che devono superare è il fatto di essere schedati come poveri. Questa storia della consegna in pubblico in certi casi non fa bene al cuore, pensa al primo bambino che viene chiamato, dopo che c’è stato il discorso sindacale, il discorso nostro, silenzio totale e viene chiamato il suo nome. Però c’è qualcuno di noi che comincia a passare tra la gente con i cestini per distribuire le caramelle e dopo pochi minuti l’imbarazzo è svanito e la gente è contenta.

C’è una verifica anche su come vengono spesi i soldi da parte delle famiglie? Almeno se il bambino continua ad andare a scuola oppure no?

Sì, se i bambini non vanno più a scuola e sono in età scolare togliamo l’affido, ma è successo una sola volta. C’è stato però un caso molto complesso: siamo andati in una famiglia di sorpresa, perché c’era con noi un signore che aveva aperto un affido in quella casa, ne scrive Paolo nella sua testimonianza. Il sindacato conosceva l’estremo disagio della famiglia ma nessuno era ancora mai andato a vedere: dopo quella volta abbiamo cominciato anche a fare verifiche all’improvviso, mentre prima avvisavamo in anticipo le famiglie, che però avevano il tempo di prepararsi. Visitare centinaia di case non è una cosa da poco! Per questo ti dicevo che Rajko è cresciuto anche come funzionario, tu devi immaginare che questa esperienza è una crescita per ognuno di noi. Io quando sono andato lì la prima volta sapevo a malapena dov’era la Serbia, sapevo solo che la NATO l’aveva bombardata. Sono processi di crescita personale, è una storia che si espande in 20 anni, sono 20 anni di crescita.

Ma secondo te, quei bambini che vengono a ricevere le buste, cosa avrebbero da dire a noi che siamo qua?

Come risposta mi fa leggere un messaggio che gli ha scritto un ragazzo che ora è diventato assistente universitario: lo chiama (traduco velocemente dall’inglese) “miglior ambasciatore della buona gente in Italia”. Un altro ragazzo mi ha scritto “Se voi credete di aver fatto 100, in realtà avete fatto 1000 e non potrete mai capire cosa avete fatto per noi in realtà”. Cerco sempre di dire che bisogna fare senza pensare a quello che potrebbe tornare per se stessi, non bisogna fare queste cose per sentirsi gratificati, ma si ha un ritorno che è assolutamente superiore a quello che si fa perché nel corso degli anni ti rendi conto di cosa rappresenti tu per loro e di cosa rappresentano loro per te, e del fatto che veramente riesci a gestire qualcosa come il far andare a scuola un bambino. Veramente perché loro scrivono spesso, raccontano come vivono, che cosa fanno a scuola. Scrivono in serbo e Rajka traduce.

 

 

Didascalie immagini: Capannoni della Zastava Automobili dopo i bombardamenti NATO di aprile 1999