Su Virgilio Giotti, ancora

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di Fulvio Senardi

 

Solo parole di lode per il volume del Centro Studi Scipio Slataper dedicato a Virgilio Giotti, uno dei giganti della letteratura giuliana (I “Colori” di Virgilio Giotti. Sei letture, a cura di Lorenzo Tommasini, Trieste, 2021, pp. 248). In primo luogo perché richiama l’attenzione su un poeta – allargo il campo di una osservazione di Stefano Carrai nel volume citato – che meriterebbe una vasta notorietà nazionale. Cosa di cui non gode (forse quando gli italiani andranno a scuola dai 3 ai 18 anni, ovvero nel IV millennio?).

Fra i rantoli dell’Università triestina e i vaneggiamenti dei politici locali che si occupano di cultura (e sognano palate di euro-turistici, impossibili da ricavare da un poeta, fosse pure premio Nobel), sono per fortuna delle Associazioni triestine a battere un colpo (penso anche alla “mia”, l’Istituto giuliano di storia cultura e documentazione), raschiando qua e là qualche misero finanziamento per tenere accesi i riflettori sui grandi scrittori della “città della Barcolana” (questo si legge sul cartello che annuncia agli automobilisti il loro arrivo in città). Secondo punto: aver scelto per questo libro degli studiosi titolati, ovvero chi si è già occupato con rilevanti risultati di letteratura giuliana e magari, in alcuni casi, dello stesso Giotti. Ne faccio i nomi, in ordine di presenza: Stefano Carrai, Anna Modena, Elena Rampazzo, Paolo Senna, Lorenzo Tommasini, Luca Zorzenon. La felicità della scelta si vede dalla qualità dei risultati.

Chi, sull’orizzonte di questo libro, leggesse le liriche di Giotti (introvabili in libreria, essendo da tempo esaurita l’edizione einaudiana del 1997, rivolgersi quindi al mercato dell’usato) saprebbe veramente giungere al nucleo di un poeta straordinario, di emozionalità sommessa ma coinvolgente, di equilibrio formale straordinario senza mai dare nel parnassianesimo, di cultura letteraria stratificata ma priva di ostentazione perché totalmente riassorbita nella propria scrittura, “popolare” ma mai popolaresco, perché – cito Mengaldo – elabora un’espressività dialettale caratterizzata da un “trattamento intellettualistico” e “non-vernacolare”. Approfondire la lettura critica del volume, dedicando l’attenzione che merita a ciascuno dei sei saggi, è ovviamente operazione che spetta a pubblicazioni specializzate.

Qui, sul “Ponte Rosso”, mi limiterò a proporre alcuni osservazioni di carattere generale. Sottolineando, per prima cosa, come un approccio critico che potremmo definire “professionale” non significhi scivolare in una criptica gergalità per addetti ai lavori. Perfino gli Assessori alla cultura delle ultime consigliature triestine potrebbero leggere questo volume con la speranza di capirci qualcosa, il che è tutto dire. Secondo merito: un’attenzione minuziosa alle fasi di composizione e alle date di pubblicazione. Ogni silloge poetica, e non parliamo solo di Giotti, raggiunge la sua forma definitiva (che a volte è tale solo per la morte del poeta) per aggiunte, sottrazioni, ritocchi. Un’inesausta opera di ruminazione. Gli anni passano, i versi si accumulano e l’autore capisce faticosamente la verità che giace al fondo (e che il dolore riscopre amica); verità di se stesso e della sua parola. Terzo punto: la poesia è forma; nel caso di Giotti, endecasillabo e settenario, modulati però con un gioco elegantissimo di smorzature e accentuazioni, mettendo in atto (e senza parere) tutte le astuzie di ritmo e spezzatura che l’ars poetica prevede.

L’effetto di naturalezza è garantito, ma è una “naturalezza” faticosamente conquistata e che nasconde totalmente l’artificio. Ebbene, i sei studiosi che prendono la parola dimostrano una particolare attenzione per questo aspetto. Non è ozioso virtuosismo metricistico, ma il modo più diretto e più fruttuoso per strappare a Giotti il suo segreto.

 

 

I Colori di Virgilio Giotti

Sei letture

a cura di Lorenzo Tommasini

Centro Studi Scipio Slataper, 2021

  1. 247, senza indicazione di prezzo