Suggestioni letterarie sul palcoscenico

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Relazioni Perioclose a Monfalcone, Il nome della rosa al Rossetti,

di Paolo Quazzolo

 

Les liaisons dangereuses è considerato uno dei romanzi più celebri della letteratura francese del Settecento se non addirittura, secondo il parere di alcuni studiosi, una delle opere più significative dell’intera letteratura francofona. Composto nel 1782, è opera di Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos che, curiosamente, non era un letterato di professione. Vissuto per molti anni al fianco del duca d’Orleans di cui fu segretario, Laclos fu soprattutto un militare che, durante il governo napoleonico, rivestì alcuni importanti incarichi: dapprima quello di comandante della riserva di artiglieria dell’armata del Reno, e in seguito quello di comandante della riserva d’artiglieria in Italia, a Taranto dove, nel 1803, morì a seguito di febbri malariche.

Le relazioni pericolose è un romanzo epistolare, secondo una fortunata formula che, a partire soprattutto dal Settecento, si diffuse in tutta Europa: la vicenda, raccontata attraverso lo scambio epistolare di più protagonisti, narra della marchesa de Merteuil e del visconte di Valmont, dissoluti e libertini, i quali si divertono a rovinare la reputazione di giovani fanciulle e austere dame della buona società.

Oggetto di scandalo a tal punto da essere proibito, il romanzo costituisce un duro attacco ai costumi decadenti della società aristocratica di fine Settecento. I loschi intrighi dei due protagonisti hanno tuttavia sempre attirato la curiosità del pubblico, prova ne sia che, dagli inizi del Novecento, quando il romanzo riprese a circolare, ne sono state fatte innumerevoli traduzioni e ristampe, così come svariate trasposizioni: già nel 1959 si conta una prima versione cinematografica, sebbene quella più celebre risalga al 1988 con degli impareggiabili Glenn Close e John Malkovich. Questa fortunata versione poggia sulla pièce teatrale che Christopher Hampton realizzò per la Royal Shakespeare Company nel 1985.

Ora Le relazioni pericolose ritorna sui palcoscenici teatrali italiani in una nuova riduzione a opera di Elena Bucci e Marco Sgrosso: una sfida, dal momento che il modello cinematografico del 1988 è sicuramente molto ingombrante. Nonostante ciò, la Bucci (Premio 2017 Duse e Ubu quale migliore attrice) e Sgrosso riescono a creare, assieme alla collaborazione di Gaetano Colella, uno spettacolo intelligente, raffinato e visivamente impeccabile nella linearità dell’impianto scenico e nella suggestione creata dalle luci. Alla Bucci sono affidati i ruoli delle due principali rivali: la perfida marchesa e l’ingenua madame de Tourveil; a Sgrosso quello dell’insidioso Valmont; al poliedrico Colella gli innumerevoli altri ruoli – maschili e femminili – che si muovono sulla scena. Lo spettacolo, al Comunale di Monfalcone, è prodotto dal Centro Teatrale Bresciano e dalla Compagnia Le Belle Bandiere.

 

Un’altra partita pienamente vinta è stata quella de Il nome della rosa, spettacolo tratto dal celebre romanzo di Umberto Eco e proposto nel cartellone del Rossetti da una imponente coproduzione tra gli Stabili di Torino, Genova e del Veneto. Anche in questo caso la sfida non era semplice, sia perché alle spalle dello spettacolo vi è uno dei più importanti best seller della letteratura italiana, sia perché, anche in questo caso, è presente nella memoria di tutti il bel film interpretato nel 1986 da Sean Connery. L’intelligenza di Leo Moscato, adattatore e regista dello spettacolo, è stata quella di lavorare esclusivamente sul romanzo, ignorando le suggestioni della versione cinematografica. Margherita Palli ha creato uno spazio scenico estremamente duttile e funzionale che, grazie alle suggestive luci di Alessandro Verazzi, ha assolto brillantemente alle molteplici ambientazioni del racconto.

Molto ben strutturato drammaturgicamente, lo spettacolo scorre via rapido – nonostante la durata di poco meno di tre ore – grazie sia a un adattamento che cerca di mantenere, per quanto possibile, oltre alla storia poliziesca anche le colte suggestioni letterarie di Eco, sia grazie a un cast numeroso in cui tutti si esprimono al meglio, a partire da Luca Lazzareschi nel ruolo di Guglielmo da Baskerville, Luigi Diberti in quello di Adso da vecchio, Alfonso Postiglione nei panni di Salvatore e Bob Marchese in quelli di Jorge. Successo pieno in un Rossetti esaurito, una volta tanto per la prosa, in ogni ordine di posti.

 

Qualche parola merita anche il riallestimento di Das Kaffeehaus di Rainer Werner Fassbinder, in scena alla Sala Bartoli. Prodotto lo scorso anno dalla compagnia del Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, lo spettacolo è firmato da Veronica Cruciani, responsabile anche dell’adattamento. Come è noto, Das Kaffeehaus è una rilettura che Fassbinder fece, nel 1969, della celebre Bottega del caffè goldoniana. Una rilettura in cui a predominare sono soprattutto gli interessi economici, la corruzione e il sesso. Un’immagine decadente e inquietante del mondo settecentesco che riflette volutamente quello a noi contemporaneo. E proprio su questo gioco di riflessi ha lavorato la regia della Cruciani, creando uno spettacolo sopra le righe, dai ritmi travolgenti, in cui sesso e danaro sono gli elementi attorno ai quali ruota l’intero universo dei protagonisti: uomini esasperati, vittime senza appello dei loro vizi, costretti a dipendere drammaticamente gli uni dagli altri, sfruttando in modo becero le debolezze del prossimo.

Affiatatissima la compagnia dello Stabile, artefice di uno spettacolo perfettamente rodato e godibilissimo.