Tosca: una giramondo in concerto

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di Walter Chiereghin

 

Se tu mi chiedi in questa vita cosa ho fatto Io ti rispondo ho amato Ho amato tutto

 

Pietro Cantarelli, Ho amato tutto

 

 

Curiosa situazione, quella di uno che deve scrivere la recensione di un concerto, quando invece avrebbe voglia di scrivere una lettera d’amore. Una lettera per confessare a una donna, alla protagonista del concerto, incontrata quasi per caso e da poco tempo, del proprio innamoramento, per quanto senile, per quanto platonico, per quanto unilaterale, per quanto asimmetrico, per quanto votato all’insuccesso più totale. è ciò che sta succedendo all’improvvisato cronista di queste noterelle, del tutto inadeguate a riferire di un’emozione profonda e prolungata che la sera dello scorso 25 luglio lo ha percorso nell’assistere all’esibizione di Tosca, nome d’arte di Tiziana Tosca Donati, e del suo altrettanto spumeggiante gruppo di accompagnatori al Parco delle rose di Grado, nell’ambito del Festival Onde Mediterranee. Il concerto è intitolato “Direzione Morabeza” e la parola richiede una traduzione, dato che dubitiamo che tutti i lettori ne conoscano il significato. Si tratta infatti di un termine capoverdiano, che più o meno si può rendere con “nostalgia del presente prossimo”: il sentimento che si prova quando abbiamo l’avvertimento di vivere un momento importante e appagante, che già sappiamo in procinto di scivolare presto nel nostro passato. Per dirla con Goethe: «Fermati attimo, perché sei bello!», uno stato d’animo che molti degli spettatori avranno più o meno consapevolmente vissuto nell’assistere all’emozionante esibizione della cantante romana.

Uno spettacolo sobrio ed essenziale, senza alcuna esigenza di ricorrere a strabilianti effetti speciali, a luci e costumi di scena di stupefacente impatto, per concentrare ancora di più l’attenzione del pubblico sulla straordinaria qualità della musica e della prestazione canora, questa sì carica di effetti speciali, grazie ai ritmi, alle varianti, soprattutto all’accogliente calore di una voce veramente fuori dall’ordinario, capace di trascinare o di blandire, di rappresentare nel breve volgere di un verso, di quattro battute, una capriola emotiva della quale chi ascolta riesce ad assaporare ogni sfumatura. Si è trattato di una carrellata di brani in cui si manifesta un destreggiarsi musicale colto ed attento a rivisitare, al contempo, la musica popolare che è inesauribile fonte di ispirazione per questa interprete raffinata e coinvolgente, capace di rinvenire valore aggiunto anche nel cimentarsi in una straordinaria pluralità di registri linguistici diversi, grazie alla non comune capacità di confrontarsi con culture musicali apparentemente eterogenee, e tuttavia riconducibili a un’unificante passione per la musica, il canto, il ritmo, la poesia del suono.

Capita allora a chi ascolta di nuotare dentro esperienze musicali linguistiche e culturali diversissime, di ascoltare il ritmo travolgente di Rumania Rumania, scritta su un testo yiddisch negli anni Quaranta da Aaron Lebedeff, o la suadente dolcezza neoellenica di To Traino, di solito cantata da Vicky Leandros, e poi ancora i dialetti e persino lo zulu reinterpretando Miriam Makeba, e, come se tutto ciò non bastasse, francese, spagnolo, napoletano, romanesco… E naturalmente le differenze non sono meramente lessicali: in ciascuna canzone si percepisce un variare della sensibilità degli autori e della cultura, non solo musicale, che è sottesa alla creazione (e all’esecuzione) del brano, proposto come sfogliando un immaginario album con le foto dei viaggi di questa girovaga, poliglotta, curiosa e competente “turista” della musica. Tutto questo caleidoscopico aggirarsi all’interno di una musica globale non è il portato di un’onnivora bulimia, ma si percepisce, anche dal più distratto degli ascoltatori, essere sorretto da una sorta di impegno etico prima ancora che civile, dalla ricerca inesausta di contatto con l’altro da sé, del confronto, della disponibilità ad accogliere, ad abbracciare. E scusate se è poco coi tempi che corrono, da Lampedusa a Istanbul, a Minneapolis.

Naturalmente la serata di Grado ha offerto anche l’opportunità di riascoltare alcuni dei successi di Tosca, supportata dai più che validi suoi accompagnatori: Massimo De Lorenzi alla chitarra, Alessia Salvucci alle percussioni, Fabia Salvucci (sono sorelle) alla voce e anche lei alle percussioni, e la triestina Giovanna Famulari, presenza ormai irrinunciabile nei concerti e nelle apparizioni televisive della cantante, al violoncello, al pianoforte e a un’altra pluralità di curiosi strumenti. E dunque via ai brani più conosciuti, da Ho amato tutto, presentata nell’ultima edizione di Sanremo, a Il terzo fuochista, anch’essa presentata a Sanremo, ma ormai sono tredici anni, e poi, in romanesco, la dolcezza suadente di Na serenata a ponte, quasi premessa alla popolare Nina si voi dormite, per la cui interpretazione è difficile trovare una qualificazione diversa da “magistrale”, pure tenendo conto degli illustri antecedenti di Lando Fiorini, di Luigi Proietti, persino dell’indimenticabile Gabriella Ferri: un testo all’inizio cantato senza accompagnamento, senza nemmeno l’introduzione di qualche accordo di chitarra o violoncello, “a cappella”, mettendo in campo col solo strumento caldo della voce i primi versi di questo classico della canzone d’amore e determinando così un’immersione totale e subitanea di chi sta in platea nell’atmosfera di «’na nottata piena de dorcezze» in cui «pare che nun esisteno dolori». La magia di questo notturno si ripete poi nella poesia tutta meridionale di Sogna fiore mio, una ninna nanna nella quale il canto s’imbeve di una vasta maternità, evocata tanto dalla semplicità del testo quanto dal valore aggiunto di una voce che sembra riassumere in sé una storia infinita di tenerezza.

E ancora una rilettura di Piazza grande di Lucio Dalla, compiuta assieme a Fabia Salvucci, che è quasi riuscita a non far rimpiangere la presenza celestiale di Silvia Pérez Cruz, la catalana che ha duettato con Tosca su quelle note, arricchendole ulteriormente, soprattutto nel gioioso ritmo imposto alla conclusione della canzone.

Persino a conclusione della serata, dopo generosi bis, una poco ricorrente esecuzione dell’inno di Mameli, sfrondato per quanto possibile della retorica patriottarda anche musicale, la cheta interpretazione offerta da Tosca ha costituito un momento di riflessione sul valore civile del nostro essere comunità. Ce ne fosse bisogno, un’occasione ulteriore per riscontrare in lei la caratteristica di un re Mida della musica, capace di trasformare in oro tutto ciò che tocca con la voce.