Un epistolario triestino

| | |

di Stefano Crisafulli

 

Un tavolino e un manichino con un lavoro sartoriale incompiuto, da una parte, un dipinto su un cavalletto e una poltrona verde dall’altra. Epistolario triestino, lo spettacolo prodotto dalla Contrada e andato in scena sabato 7 gennaio presso il Teatro dei Fabbri, esplicita già con la scenografia la sua struttura drammaturgica, basata sulle lettere inedite di Anita Pittoni e Linuccia Saba pubblicate a cura di Gabriella Norio nel volume Penso a te, che sei tutt’uno con la poesia di tuo padre (Bibliohaus 2020). Come negli split screen – schermi frazionati – dei film anni ’70, saranno protagoniste alternativamente Anita Pittoni, interpretata da Daniela Gattorno (che cura anche la regia), e Linuccia Saba, ovvero Marzia Postogna, mentre scrivono quelle lettere, nel farsi di un rapporto di amicizia che si rivelerà sempre più saldo, al di là delle asperità caratteriali di entrambe. Un Epistolario triestino, dunque, diretto con mano lieve dalla regista Gattorno e portato davanti al pubblico con l’intenzione primaria di far conoscere due personalità importanti del mondo letterario locale. In particolare Anita Pittoni: spesso poco citata, eppure fu grazie alla sua casa editrice ‘Lo Zibaldone’ che venne pubblicato lo scritto di Saba Quello che resta da fare ai poeti, in accordo con Linuccia. A collaborare, ma solo in voce, per mezzo di una registrazione, con le due interpreti, il poeta Claudio Grisancich, che ha letto alcune poesie, tra le quali El strighez di Anita Pittoni e Quasi una moralità di Saba.

Daniela Gattorno e Marzia Postogna entrano sul palco partendo dalla platea, come per condurre gli spettatori dentro le rispettive magioni, quella di Anita a Trieste e quella di Linuccia a Roma. In mezzo vi è la proiezione di un dipinto della figlia di Saba intitolato Via Margutta, che poi ritroveremo in scena posato sul cavalletto: si tratta proprio dell’opera originale. Le immagini hanno infatti la loro importanza per l’economia dello spettacolo: scorrono sullo schermo che fa da fondale alcune foto iconiche di Saba con la sua pipa, di Giotti e di Stuparich, ma anche altri dipinti, come il ponte di Rialto a Venezia del triestino Toffoli e il ritratto di Saba composto da Bolaffio.

Le musiche sono elementi di raccordo, a volte necessari per il gioco di figura/sfondo tra le due donne e per i momenti di totale assenza o compresenza sul palco. Per quanto riguarda l’epistolario in sé, le comunicazioni avvengono su più livelli: c’è la parte progettuale che risulta preponderante rispetto ai momenti più confidenziali, quando, ad esempio, Anita Pittoni rivela la sua preoccupazione per lo stato di salute di Giani Stuparich o quando Linuccia Saba confessa di sentirsi ‘dolorosamente legata’ a Trieste, una città che Anita giudica, con amarezza, ‘cattiva’ perché le rende la vita difficile. Straordinario il video conclusivo (e inedito) dello spettacolo: Anita Pittoni danza di fronte alla telecamera, lasciando scoperte le gambe, con la grazia e il coraggio di chi non si cura dei giudizi altrui e pone l’accento sulla libertà dell’arte. Epistolario triestino è dunque, parafrasando proprio una delle due protagoniste, una ‘finestra aperta sull’amicizia’ e, aggiungerei, sulla poesia, di cui abbiamo sempre più bisogno, in un’epoca storica che ci pone di fronte a una recrudescenza dell’odio.