Un Hitchcock delle origini

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Quando Hitchcock non era ancora diventato il re della suspense che tutti conosciamo, nell’era del cinema muto, già si percepiva la sua impronta. Come nel film The Manxman (in italiano L’isola del peccato, tanto per accentuare il pathos…) del 1929, melodramma hitchcockiano in bianco e nero proiettato sabato 8 ottobre come evento di chiusura della 41esima edizione delle Giornate del cinema muto di Pordenone. In un Teatro Verdi pieno in ogni ordine di posti, è andato in scena, dunque, l’ultimo film muto del regista inglese, tratto da un romanzo di Sir Hall Caine e restituito al suo splendore anche grazie alla musica dal vivo perfettamente eseguita dall’Orchestra San Marco diretta da Ben Palmer, su partitura di Stephen Horne.

E pensare che The Manxman, titolo che significa semplicemente ‘gli uomini dell’isola di Man’, è stato poi rinnegato dal suo autore, in quanto non ebbe mano libera nell’adattamento del romanzo di Caine. Troppe le ingerenze del romanziere, che non voleva modifiche alla struttura della storia, tanto da far dire a Hitchcock, nel celebre libro intervista di Truffaut, che questo ‘non è un film di Hitchcock’. Eppure ci sono, in nuce, una serie di elementi che portano a giudicare l’opera con meno severità: innanzi tutto la presenza di Kate, una donna bionda (topos hitchcockiano frequente), interpretata con mille sfumature da Anny Ondra, che si divide a metà tra due uomini di ceti sociali diversi, un pescatore, Pete (Carl Brisson) e un avvocato, Phil (Malcom Keen) tra loro amici; poi l’opprimente senso di colpa di due dei protagonisti. Quando Pete viene rifiutato come pretendente dal padre di Kate perché squattrinato, decide di cercar fortuna altrove, dopo aver strappato a Kate la promessa di attenderlo e a Phil quella di vegliare su di lei. Peccato che Phil sia anch’egli innamorato di Kate e a un certo punto verrà ricambiato. La notizia della morte di Pete, che poi si rivelerà falsa, scioglie le briglie ai due amanti, nonostante Phil metta la sua ambizione al di sopra di tutto e la sua famiglia non sia d’accordo con la relazione. Il ritorno di Pete, che nel frattempo si è arricchito, sembra rimettere le cose al loro posto: Kate e Pete si sposano, ma ormai nulla è come prima e l’annuncio di un figlio in arrivo complicherà ancor di più il quadro, perché il figlio non è di Pete, ma di Phil. La mano di Hitchcock si vede anche nel suo modo di girare il film: oltre agli intensi primi piani dei volti dei protagonisti, necessari per far emergere le emozioni nel cinema muto, vi sono gli elementi naturali che giocano il ruolo di correlativi oggettivi e richiamano i film che verranno. Ad esempio i faraglioni dell’isola di Man, che incombono sulla spiaggia, luogo dell’incontro dei due amanti, portano dritti al monte Rushmore di Intrigo internazionale, o il mare, teatro del tentato suicidio di Kate, che ricorda un episodio simile in Vertigo. Il salvataggio della donna da parte di un agente sarà il preludio ad un finale tutt’altro che pacificatore: Phil, divenuto giudice, confesserà davanti a tutti la verità e la coppia dovrà lasciare l’isola per sempre, assieme al figlio e tra gli insulti degli astanti. Ma anche tra gli applausi, quelli sì, sonori, del pubblico.