Un leader sloveno

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Pubblicate in traduzione italiana le memorie di Zorko Jelinčič, che ispirò in seno al TIGR la resistenza ai fascismi

di Andrea Bellavite

 

È stata pubblicata da LEG la prima traduzione italiana, curata da Ivana Sarazin, del libro di Zorko Jelinčič Sotto un cielo di piombo. Memorie di un capo del TIGR. Il testo raccoglie i ricordi scritti tra il 1964 e il 1965, ultimo anno di vita dell’autore, relativi al suo impegno per la libertà del popolo sloveno, nei drammatici anni tra l’inizio della prima e la fine della seconda guerra mondiale. Il volume si apre con l’introduzione di Paolo Rumiz e le due coinvolgenti prefazioni scritte dal figlio Dušan Jelinčič, in occasione della prima edizione in lingua slovena del 1994 e della seconda del 2004. Segue un ottimo e sintetico quadro generale, tracciato da Milica Kacin Wohinz, indispensabile approccio storico-scientifico che consente di coniugare l’esperienza personale e la storia universale. Alla fine è riportata una toccante breve testimonianza di Rada Jelinčič, figlia di Fanica Obid, la prima compagna di vita del protagonista.

In realtà il sottotitolo, memorie di un capo del TIGR, è riferito al momento culminante della lotta di rivendicazione dei diritti del popolo, ma i ricordi si spingono molto più in là. Se infatti tutto ruota intorno al clima impegnato e militante dei partecipanti al gruppo che si riconosceva nell’acronimo Trst Istra Gorica Reka (TIGR), la vicenda esistenziale trova però una sua meglio contestualizzata collocazione nel più vasto clima di alternanza di illusioni e delusioni che ha caratterizzato tali territori tra il 1914 e il 1945.

Senza entrare in troppi particolari, dal punto di vista dei contenuti, si possono indicare almeno tre livelli di approfondimento.

Il primo è senz’altro quello relativo alla storia del popolo sloveno e in parte anche croato, tra le due guerre del XX secolo. Lo spunto iniziale consente la meditazione sugli ultimi anni dell’Impero Austro-Ungarico, cancellando di fatto una certa mitologia riguardante la presunta apertura e valorizzazione dei gruppi numericamente minoritari e segnalando il forte e legittimo desiderio di autonomia. L’attesa di un nuovo ordine, affrancato dalle pretese imperiali, si scontra dopo il Trattato di Rapallo con l’assurda assegnazione all’Italia dei territori della Primorska e di parte dell’Istria, abitati pressoché esclusivamente da sloveni e croati. È veramente terribile il racconto della crescente pressione degli occupatori nei confronti degli abitanti, progressivamente privati dei più elementari diritti, dal parlare la propria lingua al mantenere i cognomi, dalla perdita delle scuole fino a un continuo stillicidio di violenze anche fisiche culminanti nei veri e propri assassinii conseguenti ai famigerati processi di Trieste.

Il secondo livello è quello relativo ai movimenti di liberazione e alla costituzione del TIGR. Molto interessante è il racconto dei dibattiti che si svolgono nelle più remote località delle valli dell’Isonzo e del Vipacco, come pure nei centri universitari di Lubiana e di Padova. La resistenza all’oppressione degli italiani nella Primorska e nell’Istria, è già evidente nell’immediato primo dopoguerra ma manifesta in tutta la sua gravità con l’avvento del fascismo, unisce forze ideologiche molto diverse fra loro, quelle che preconizzano l’avvento del comunismo con quelle che pongono in primo piano il diritto all’autodeterminazione dei popoli, quelle che propongono una traduzione sociale dei principi del cattolicesimo e quelle che prospettano un liberalismo democratico mai di fatto pienamente realizzato. Jelinčič conduce per mano negli scantinati e nelle soffitte goriziani oppure nei casolari abbarbicati sulle montagne per farci compartecipi dei confronti ideologici e di scelte militanti, spesso anche drammatiche. Il movimento appare essenzialmente rivoluzionario in quanto incentrato sull’obiettivo di creare un nuovo sistema ideologico e politico, ma essenzialmente e per quanto possibile nonviolento. Le azioni di guerriglia urbana e di contrasto alla violenza fascista sono descritte con delicatezza, sottolineando una forte passione per la vita umana e l’autentico dispiacere per la sofferenza derivata, quasi sempre conseguenza di errori di valutazioni o eventi imprevedibili, come nell’importante caso dell’attentato al giornale fascista Il Popolo di Trieste, concluso con la morte di un redattore rientrato per caso nella sede. Da quell’avvenimento deriveranno conseguenze tragiche, per i “martiri di Basovizza” la fucilazione e per moltissimi antifascisti – compreso lo stesso Jelinčič – un triste e lungo pellegrinaggio tra le più tetre prigioni dell’Italia del ventennio, da Capodistria a Regina Coeli, da San Gimignano a Civitavecchia per giungere, negli anni della seconda guerra precedenti la caduta del fascismo, all’internamento a Isernia.

Il terzo livello di lettura è quello legato alla dimensione sentimentale ed emotiva. Zorko Jelinčič si svela e attraverso la storia di quel difficile periodo racconta anche sé stesso. È un uomo che crede nell’amore, è commovente e avvincente il ritratto della prima compagna di lotta e di vita, Fanica Obid, morta di parto mettendo alla luce la seconda figlia Jasna. In epoca certamente non incline al riconoscimento dei diritti delle donne, Fanica appare instancabile attivista politica, capace di mettere le sue doti di intelligenza e creatività al servizio dell’emancipazione popolare e femminile, pagando anche lei tale impegno con il carcere e l’internamento. Zorko è un cultore dell’amicizia, il suo animo si rallegra negli incontri clandestini con i compagni di ribellione, sia nelle riunioni che nel lunghissimo periodo della carcerazione. Vive con autentica angoscia i frammenti di notizie che riceve in prigione, relativi alla situazione degli amici arrestati o condannati. Soffre la lontananza dalla propria terra e manifesta un’autentica esplosione di gioia quando può ritornare, dopo il 1943, nella sua Slovenia per partecipare alla lotta di liberazione nazionale. La sua narrazione si conclude con la fine della seconda guerra mondiale, ma dagli scritti di Dušan e Rada si evince la stessa, sofferta passione per la vita, portata nel proprio cuore anche negli ultimi anni, vissuti per lo più a Trieste e segnati dalla debolezza fisica, derivata da troppi anni di stenti e di umiliazioni.

A questo punto non c’è che da prendere in mano il libro e scoprire in esso tanti altri tesori, dalla sofferta passione per la montagna all’amore per la natura, dall’interesse per la letteratura all’ammirazione per l’arte, da un anelito insopprimibile alla costruzione della pace all’impegno militante, fino al racconto delle fatiscenti condizioni delle carceri italiane durante il fascismo.

 

 

Zorko Jelinčič

Sotto un cielo di piombo.

Memorie di un capo del TIGR

Traduzione dallo sloveno

di Ivana Sarazin

LEG. Gorizia 2021

  1. 237, euro 20,00