UN NUOVO LIBRO DI NELIDA MILANI

| | |

di Roberto Dedenaro

 

La bacchetta del direttore è il titolo del nuovo libro di Nelida Milani, edito da Oltre edizioni, una piccola e coraggiosa casa editrice che ha deciso di dedicare una collana agli autori della minoranza italiana dell’Istria. Un’iniziativa molto opportuna che dà voce a una serie di autori di indiscutibile valore come la stessa Milani, come Laura Marchig, di cui abbiamo parlato nello scorso numero de Il Ponte rosso, di Giacomo Scotti e di altri ancora che verranno. Nelida Milani, comunque, merita un’attenzione particolare: nessuno ha narrato con tanta ampiezza e profondità il dramma dell’Istria dei rimasti e di chi se n’è andato, della guerra e della pace difficile, come lei ha saputo fare. Conosciuta in Italia soprattutto per Una valigia di cartone e per Bora scritto a quattro mani con Anna Maria Mori, meriterebbe una maggiore attenzione dal mondo editoriale e da quello dei lettori: è una scrittrice raffinata a suo agio fondamentalmente con la difficile misura del racconto, genere poco frequentato in Italia e poco praticato anche dagli editori, che ha in altre letterature ben altra importanza, basti pensare al premio Nobel di Alice Munroe, che ha scritto, praticamente, solo racconti.

La bacchetta del direttore contiene tre racconti diversi per lunghezza, tono e tematica, ma tutti e tre legati dal raccontare un mondo, se non idillico, in qualche modo sereno, distrutto e travolto da una forza esterna, crudele e cieca, che inesorabilmente avvolge nella sua spira di violenza la comunità di umili che ne viene così segnata per sempre, spazzata via. Così è nell’iniziale, bellissimo, La neve, in cui tutto comincia nel momento in cui si mutano i nomi delle vie: “Noi stavamo al numero 4 di via Piave. Quando hanno cambiato i numeri e i nomi delle vie, ci siamo trovati a vivere in via Preradovic numero 29. Ma dentro casa nulla era cambiato.” La comunità di ragazzi che anima e vive fra quelle case non potrà sottrarsi alla dinamica della storia, chi parte e chi resta, chi continua a parlare la madre lingua, chi si adegua a quella dei nuovi arrivati, mentre la violenza si insinua nei loro rapporti, nei giochi infantili, pronta a lasciare il suo marchio indelebile. Scritto in prima persona La neve, un elemento così poco istriano, di primo acchito, è un racconto sull’andare e sul tornare, e sull’impossibilità di ricostruire fino in fondo una realtà sconvolta. È così anche nel racconto che dà il titolo alla raccolta, La bacchetta del direttore: qui il dialogo epistolare fra due esuli, l’una in Italia l’altro negli Stati Uniti, apre squarci sulla vita passata, rivela intimità e drammi del mondo scomparso, parla insomma di fantasmi. Lo fa in maniera così concreta e diretta, nella bella lingua della Milani, in cui affiorano termini dialettali e contaminazioni, da parere quasi che le ombre acquistino nuova vita. È solo un’illusione che dura poco, che il tempo si preoccuperà di dimostrare stanca e irreale, perché la guerra c’è stata davvero ed è anche tornata, tanto che non sappiamo bene di quale guerra si parli, se non forse della prossima, guerra che, come una forza centrifuga sradica e scaglia i sopravvissuti, lontano da case e da modi consueti, lontano dal fondo del loro essere, forse, verso un altro paese, un’altra regione, che è quella della vendetta. Solo dopo averla compiuta Jorg, il protagonista dell’ultimo racconto della raccolta, può tornare a casa: “Il tempo si è vendicato ed è tornato indietro, pensò, e fu invaso da una sensazione di non-ragione o di non–senso. La scacciò. Aveva voglia di tornare nella sua città e poi di inerpicarsi al suo paese per cercare tra i cespugli la chiave di casa.”

L’Istria, i suoi abitanti, quelli che sono rimasti e quelli che sono andati, nelle pagine della Milani, sono i protagonisti di un dramma che non è solo specifico e particolare, istriano in una parola, ma che è una parte del più vasto e generale palcoscenico della vita dell’uomo della sua fanciullezza violata, del suo cercare disperatamente un’identità e un senso, anche non stancandosi mai di raccontare.