Un pensiero su èStoria 2018

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di Marco Menato

È quasi impossibile e per certi versi inutile, per il festival èStoria, atteso appuntamento a Gorizia ormai da quattordici anni, darne una compiuta recensione. La sola consultazione del calendario, un volumetto di 97 pagine, offre già di per sé la ricchezza e la qualità dei contributi che si sono rincorsi, in dieci sedi, dal 17 al 20 maggio, frutto dell’opera di oltre trecento relatori. Questi numeri misurano il grande impegno di una ristrettissima squadra, capitanata da Adriano Ossola, che certo ha lavorato sodo, dall’idea progettuale alla realizzazione fino nei minimi particolari. E nel corso degli anni l’abilità a destreggiarsi tra relatori, orari e sedi, si è specializzata e raffinata: quasi un caso di studio, dato che quando una manifestazione dura pochi giorni (èStoria brucia tutte le energie accumulate in un anno in tre giorni), anche una minima manchevolezza salta all’occhio e può mettere in serio pericolo tutta la delicata macchina organizzativa, e invece anche quest’anno, nonostante un pomeriggio freddo e piovoso, le giornate sono passate veloci e piene di appuntamenti da non perdere!

Oltre alle presentazioni, come del resto è tradizione, è stato allestito un piccolo mercato del libro nuovo ed usato e in più alcuni appuntamenti artistici facevano da corona alle discussioni (come quello dedicato agli exlibris della Prima Guerra Mondiale, ospitato dalla Bsi).

Quest’anno il festival ha approfondito il tema, centrale nella cultura odierna, delle Migrazioni, declinate sotto molti punti di vista, dalla demografia alla storia antica all’alimentazione, sia di quelle maggiori di cui sono ricche le cronache sia di quelle minori, oggi magari dimenticate o ritenute ininfluenti.

L’occasione è ghiotta per fare alcune osservazioni, tutte positive s’intende: è infatti più facile criticare che fare! Da lodare la collaborazione spassionata e di ottimo livello degli studenti delle superiori e dell’università (divisi in due bande: i rossi e i verdi): non c’è forse modo migliore per comprendere le dinamiche interne di una manifestazione così importante che reggerne i cordoni dall’inizio alla fine, oltre ogni limite d’orario e di pazienza. Sarebbe bello sapere quanti ragazzi in questi anni hanno poi intrapreso certi studi proprio a seguito di quanto hanno visto e sentito. Approfittando della presenza a Gorizia di uno dei maggiori corsi di laurea in scienze internazionali e diplomatiche, forse si potrebbe specializzare il festival verso un quadro internazionale e storico-diplomatico: in fin dei conti si continua a dire che Gorizia è al centro di più culture europee (e così si coprirebbe quella pervicace assenza di informazioni internazionali così tipica del giornalismo e della cultura italiana, mentre le conversazioni con un taglio internazionale, ricordo quelle di Loretta Napoleoni, erano affollatissime). La distribuzione degli incontri su un ampio numero di sedi (certamente vicine, ma questo psicologicamente non basta) se ha da un lato favorito la partecipazione, dall’altro ha polverizzato le presenze o ha costretto a rapide incursioni. Ogni evento infatti nasce con uno stigma particolare. èStoria è nata con tre grandi tende poste al centro del Giardino pubblico, del resto mai visto così piacevolmente affollato. E perché non utilizzare il Giardino in tutta la sua estensione (a meno che non ci siano motivi di sicurezza)? Ogni altro appuntamento sembra un ripiego e non è vissuto, da relatori e da ascoltatori, allo stesso modo. Quindi le sedi secondarie potrebbero fungere da pre-festival, nel senso di presentare i temi che verranno poi maggiormente spiegati e approfonditi nei tre giorni finali: in questo modo un’intera settimana sarebbe dedicata alla storia. Mentre gli altri festival (per esempio a Trento, a Udine, a Pordenone) occupano tutta la città (ma sono città che hanno una conformazione urbanistica molto differente da Gorizia), bisogna avere la fermezza di ammettere che èStoria funziona se davvero tutto si concentra in un unico luogo, che poi è anche il modo migliore per riscoprire questo luogo un po’ dimenticato, il Giardino pubblico. Alla prossima èStoria!