Un secolo e mezzo dopo

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A 150 dalla fondazione della Galleria d’arte moderna del Museo Revoltella, una celebrazione poco “liturgica”

di Walter Chiereghin

 

Nel numero 86, uscito il mese scorso, Il Ponte rosso ha salutato la felice iniziativa di una mostra e della pubblicazione di un accurato catalogo delle sculture del Museo Revoltella. Ci proponiamo con questo articolo di completare la celebrazione del 150° anniversario della Galleria d’arte moderna, la prima istituita in Italia – anche se all’epoca Trieste era ancora parte dell’Impero asburgico – sottoponendo ai lettori alcune riflessioni circa la situazione attuale della benemerita istituzione, mettendo a fuoco alcune criticità nella sua gestione. Una celebrazione davvero poco “liturgica”, ma che riteniamo esprima l’appassionata testimonianza di un vivo interesse per uno dei più rilevanti beni culturali del territorio in cui viviamo.

 

La definizione di Museo

 

Il 24 agosto 2022, a Praga, nell’ambito dell’Assemblea Generale straordinaria di ICOM, (organizzazione internazionale dei musei istituita dall’UNESCO nel 1946) è stata approvata la nuova definizione di museo, frutto di un lungo processo partecipativo che ha coinvolto 126 Comitati nel mondo. Questa la nuova formulazione: «Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze».

Corrispondono oggi i musei triestini a questa definizione? In parte, ovviamente, sì, ma se andiamo a considerare alcuni dei singoli attributi di questo dettato della prestigiosa organizzazione internazionale, almeno per quanto attiene ai Civici Musei, qualche dubbio può insorgere. Parliamo del Museo Revoltella, ma le considerazioni possono valere anche per ciascuno degli altri.

 

Il museo colleziona

 

Si consideri, ad esempio, per quanto attiene all’impegno di “collezionare” sancito nella dichiarazione di Praga, quali risorse sono destinate, attualmente, all’acquisizione di nuove opere per arricchire le collezioni. Alcune delle opere più importanti visibili al Revoltella derivano da acquisti realizzati in occasione della Biennale di Venezia in epoche ormai lontane nel tempo: tra gli altri, le sculture La derelitta nel 1895, Sogno di primavera di Pietro Canonica nel 1899, Bambino con l’anatra di Giacomo Manzù nel 1948, Sfera n. 3 di Arnaldo Pomodoro nel 1965, e poi i dipinti Beethoven di Lionello Balestrieri nel 1901, La signora del cane di Giuseppe De Nittis nel 1914, Donna al mare di Carlo Carrà e Il pastore di Mario Sironi nel 1932, Donna nuda nello studio di Renato Guttuso nel 1960. Altre, tra cui il celebre Meriggio di Casorati, nel 1924, sono state acquistate da gallerie o da collezionisti, o dagli stessi autori, ma da quanto tempo il Museo non acquista autonomamente un dipinto, contando esclusivamente su lasciti e donazioni di benemeriti privati per accrescere le proprie collezioni?

Per concludere su questo argomento dell’incremento delle collezioni, vorrei ricordare la recente assegnazione di fondi per complessivi 3.727.673 euro a trentanove musei italiani, secondo una selezione operata a cura della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura per l’acquisto di nuove opere. Che nemmeno un centesimo sia stato assegnato a nessuno dei Musei Civici triestini non significa forse nulla, ma quanto dovrebbe far riflettere è che nessuno di essi ha partecipato al bando del Ministero per concorrere all’assegnazione dei finanziamenti, rinunciando a priori alla possibilità di risultare tra i progetti di acquisizione risultati vincenti.

 

L’assenza di un direttore

 

Quanto all’esigenza sottolineata dalla definizione dell’ICOM, di operare e comunicare “eticamente e professionalmente”è possibile farlo in assenza di un direttore che sia competente sull’ambito culturale in cui opera il museo, per esempio uno storico dell’arte, nella fattispecie? O anche di una persona esperta di museologia? Senza nulla togliere alle competenze e all’operosità di quanti vi lavorano, dobbiamo rilevare che la mancata nomina di un direttore certo non favorisce le attività di ricerca e rende problematico il perseguire con coerenza progetti culturali e scientifici, impoverendo così il museo di una delle sue principali funzioni, quella anzi indicata per prima (“effettua ricerche”) nella nuova definizione dell’ICOM.

Il Regolamento del Civico Museo Revoltella e della Galleria d’arte moderna, approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 882 del 4 dicembre 1979, attualmente in vigore per quanto in più punti largamente disatteso, prevede all’art. 13 un articolato elenco delle mansioni del direttore, che peraltro risulta da tempo inesistente.

Nel luglio di quest’anno un appello, sottoscritto da centinaia di intellettuali e cittadini ha esortato il sindaco a «rivedere la recente decisione di abolire il ruolo di direttore di Musei e Biblioteche di Trieste», ricevendo in risposta un netto rifiuto, sintetizzato dall’indicazione programmatica della Giunta, secondo la quale essa intende operare con «meno “generali” e più “colonnelli”». Traducendo dal sintetico ma efficace linguaggio militare, l’intenzione è quella di risparmiare abolendo la figura dei direttori ed affidando le relative competenze, per quanto riguarda i musei, ai conservatori, coordinati da un dirigente dell’amministrazione comunale che non vanta una preparazione in ambito specifico e che già si occupa di promozione turistica, di eventi culturali e sportivi.

Per inciso, l’aver confermato nuovamente l’assenza di un dirigente anche per il Servizio Biblioteche del Comune è in linea con quanto a suo tempo già stabilito, quando venne rimosso il direttore della Biblioteca Civica in concomitanza con la chiusura di Palazzo Biserini avvenuta il 12 maggio del 2008, all’epoca della seconda Giunta Dipiazza. La determinazione apparve anche allora poco provvidenziale, se non altro perché avveniva in uno snodo problematico della storia della Biblioteca, allorché circa quattrocentomila volumi e documenti rimasero confinati, come si è visto per oltre quattordici anni (finora), in locali incustoditi, in un edificio chiuso al pubblico e separato persino dal personale che doveva accedervi da una sede diversa.

La gestione dei servizi di carattere culturale è inoltre complicata dalla tripartizione delle competenze di ambito culturale, assegnate a tre assessorati diversi: i musei al Turismo e Cultura, le biblioteche alle Politiche dell’Educazione e alla Famiglia e i teatri all’assessorato alle Politiche Economiche. Si tratta di una soluzione basata su un organigramma decisamente originale, per non dire bizzarro, comunque diverso, ad esempio, rispetto a quelli di Milano, Verona, Udine, Torino, Bologna, Palermo, Parma, Forlì e, immaginiamo, di molte altre città, nelle quali almeno biblioteche e musei afferiscono a una medesima struttura.

 

L’offerta formativa

 

Secondo la definizione dell’ICOM, il museo è chiamato a fornire «esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze», quindi ad assumere un ruolo significativo in ambito educativo e formativo, cosa che si realizza attualmente mediante una dozzina di proposte di visite guidate, in parte gratuite, in parte a pagamento, rivolte essenzialmente alle scuole primarie e secondarie. Però dal settembre 2016, con l’allontanamento dello storico dell’arte che teneva affollatissimi corsi della sua materia, inviato “provvisoriamente” alla Risiera e tuttora responsabile di quel monumento nazionale, i corsi del Revoltella, rivolti ad un pubblico di adulti, non si sono più tenuti.

Ancora più clamorosa la soppressione della Scuola libera di figura, istituzione formativa attraverso la quale si sono formate generazioni di artisti, prevista dal disatteso Regolamento sopra citato,  condotta per anni dall’artista Edoardo Sambo e poi da Nino Perizi, alla fine affidata per un breve periodo a Vittorio Porro, e inspiegabilmente dismessa nel 1993.

 

Il Curatorio “sospeso”

 

Secondo la definizione di cui stiamo verificando la corrispondenza con la situazione attuale del Revoltella, i musei «operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità». Tale partecipazione della comunità triestina era prevista fin dal testamento con cui il barone Revoltella lasciava alla città una cospicua parte dei suoi beni, chiedendo per il museo che doveva portare il suo nome l’istituzione di un organo di governo chiamato Curatorio, che naturalmente è previsto dal disatteso Regolamento del 1979 teoricamente in vigore. Si compone di dodici membri, due di diritto, l’assessore competente e il direttore del Museo (come detto inesistente), sette nominati dal Consiglio comunale (eletti con voto limitato, «in modo da garantire la rappresentanza delle minoranze consiliari»), uno designato dalle organizzazioni sindacali di categoria, uno dall’Università degli Studi ed uno designato dal Consiglio Provinciale Scolastico.

I componenti designati dal Consiglio comunale sono stati nominati con delibera immediatamente esecutiva (sic!) in data 20 giugno 2022, ma finorae siamo a Nataleil Curatorio non è stato mai convocato, nonostante sia fissata ogni due mesi la convocazione della seduta ordinaria e nonostante che avrebbe dovuto, tra le altre cose, «predisporre entro il 20 novembre il piano annuale di attività, pubblicarlo e trasmetterlo al Consiglio Comunale corredato del piano finanziario di previsione annuale».

Più che essere ascrivibile a sciatteria e a una svagata gestione della cosa pubblica, le inadempienze rispetto al Regolamento del 1979 sembrano figlie di una precisa volontà di determinare le linee programmatiche, le scelte gestionali e la stipulazione di contratti con privati in maniera del tutto autonoma da parte del potere politico, riducendo al minimo l’apporto a tali materie del personale dipendente, degli organi di controllo – in primo luogo del Consiglio comunale – e, tanto più, del Curatorio, cui viene sottratta integralmente nei fatti la possibilità di esercitare le sue funzioni e di intervenire criticamente nelle scelte operate in maniera autocratica dalla Giunta e dall’assessore competente. Quando, in un giorno forse ormai non lontano, si riunirà finalmente il Curatorio, i membri troveranno sul tavolo scelte già fatte, contratti stipulati per mostre preconfezionate proposte da aziende private che godono della stima dell’assessore competente e che quindi, senza il conforto di una gara pubblica, si vedono assegnare spazi prestigiosi, supporti di vario genere riguardanti prestazioni assicurate dal Comune e, naturalmente, adeguati compensi.

Chi ricorda, ad esempio, l’iniziativa di Arthemisia Arte e Cultura s.r.l., un progetto espositivo intitolato “Incanto” curato dalla Cracking Art s.r.l., che l’estate dello scorso anno ha presentato al Salone degli Incanti e in alcuni spazi del centro cittadino 152 simpatici animali in plastica vivacemente colorati, sarà contento di sapere che l’esposizione è costata soltanto Euro 215.330,00, Iva inclusa, più Euro 52.000,00 (valore indicativo) per il servizio di sorveglianza e assistenza al pubblico, e quindi complessivamente circa Euro 267.330,00. Ossia soltanto Euro 1.758,75 per ciascun animale in plastica esposto. Fosse agibile, forse almeno qualcuno nel Curatorio potrebbe esprimere qualche riserva su iniziative di quel genere, con quei fornitori e con quei costi.

 

Ricordare il 150° anniversario del nostro Museo come abbiamo fatto per mezzo di queste note, segnalando alcune vistose storture nella sua gestione, e le clamorose inadempienze rispetto al Regolamento che lo stesso Comune si è dato, ci sembra la maniera più degna e costruttiva per ricordare la magnanimità con cui nel 1868 un signore donava nel testamento la più parte del suo ingente patrimonio alla città che lo aveva visto prosperare e, rivolgendosi nell’atto che stava stilando al Municipio, lo esortava a dedicare «le sue premurose sollecitudini ad un istituto che tornerà a ornamento e decoro di questa città». Lo vorremmo, fortemente, anche noi, cercando di vincere per una volta il pessimismo che la ragione ci impone.

 

Tito Agujari

Ritratto di

Pasquale Revoltella

olio su tela, 1862

Museo Revoltella, Trieste