Un viaggio nel passato firmato Ernaux

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“Copiavamo le poesie di Prévert, i testi delle canzoni di Brassens. Gli adulti sospettavano che fossimo demoralizzati dagli scrittori moderni, dicevano che non avevamo più rispetto per niente”

di Anna Calonico

 

L’anno scorso, ad un anno di distanza dall’uscita in Italia di Il posto, L’Orma editore ha pubblicato, sempre nella traduzione di Lorenzo Flabbi, Gli anni, un altro lavoro di Annie Ernaux che le è valso nel 2016 il Premio Strega europeo. Il titolo mi incuriosisce: può parlare di nostalgia, se si tratta degli anni passati, o di speranza, se si tratta invece degli anni ancora a venire, ancora pieni di aspettative. Aprendo su una pagina a caso si legge:

esistere è bersi senza sete

cosa stavi facendo l’11 settembre 2001?

In illo tempore la domenica a messa

vecchia cariatide, fare il diavolo a quattro, da sganasciarsi!, cretinetti che non sei altro!, le espressioni cadute in disuso, risentite per caso, all’improvviso diventate preziose come oggetti perduti e poi ritrovati, di cui ci si chiede come abbiano fatto a conservarsi

le parole legate per sempre ad una persona specifica come si trattasse di un morto personale, pronunciate una volta da un compagno di viaggio mentre si passava in macchina per la statale 14, e da allora non si può più attraversare quel tratto preciso senza che ritornino in mente, come i getti d’acqua interrati del Palazzo d’Estate di Pietro il Grande che sgorgano quando ci si mette il piede sopra (pp. 14-15)

Le frasi/immagini sono buttate lì sulla pagina senza punteggiatura, senza collegamenti tra l’una e l’altra. Alcune sono strane, quasi incomprensibili, altre catturano l’attenzione e i sentimenti, così si torna all’inizio per cominciare quella che promette essere una lettura curiosa e appassionante: la citazione iniziale di Ortega y Gasset già ci assicura che il libro è un tentativo difficile di entrare nella memoria collettiva, di scampare all’oblio: Abbiamo solo la nostra storia ed essa non ci appartiene.

La narrazione prende spunto da un libro di fotografie: qualcuno (l’autrice protagonista, che tenta la via dell’impersonalità parlando in terza persona, come si trattasse di un personaggio, o in prima persona plurale, come a coinvolgere l’umanità intera) lo sta sfogliando, osservando prima una bambina, poi via via una ragazzina, una fanciulla, una donna… in questo flusso di ricordi non c’è nessuna madeline inzuppata nel thè, la scrittrice parte dalle sue fotografie, guarda in faccia il passato e dalla sua storia personale estrae numerosi frammenti di storia nazionale e mondiale. Molti riferimenti di un periodo che va, quindi, dagli anni 40, quando la Ernaux è nata, fino ad oggi risultano incomprensibili al lettore italiano proprio perché tipicamente francesi, molti altri sono capibili fino al punto che sembrano scritti da noi stessi perché, ergendosi ad esempio, la Ernaux parla di un’intera generazione sopravvissuta al dopoguerra, passata per il femminismo e gli anni 60 (Altri modi di parlare, pensare, scrivere, lavorare, esistere: credevamo di non avere niente da perdere a provare tutto. Il 1968 era il primo anno del mondo. p.118), giunta alla disillusione del tempo delle cose e del consumismo (Eravamo sopraffatti dal tempo delle cose. Si era rotto l’equilibrio mantenuto a lungo tra la loro attesa e la loro comparsa, tra la privazione e il possesso. La novità non suscitava più dibattiti né entusiasmo, non ossessionava più l’immaginario. Era integrata nel quadro consueto dell’esistenza. p. 242).

All’inizio, i fotogrammi sembrano parlare della mia adolescenza, facendomi dimenticare che l’autrice è stata adolescente ben prima di me. Non solo: in un altro tempo e in un altro paese, con una storia diversa, una vita diversa. Eppure, quanto si somigliano i pensieri! E li riconosco come gli stessi che si possono ritrovare in altri adolescenti, reali o fittizi: nei libri e nei film: Ci segnavamo frasi di grandi scrittori sulla vita, scoprivamo la gioia di pensare a noi stessi tramite formule scintillanti […]eravamo invasi dalla nausea, da una sensazione di assurdità. Sul foglio di un quadernone appiccicavamo le foto di Brigitte Bardot, nel legno del banco di scuola incidevamo le iniziali di James Dean. Copiavamo le poesie di Prévert, i testi delle canzoni di Brassens. Gli adulti sospettavano che fossimo demoralizzati dagli scrittori moderni, dicevano che non avevamo più rispetto per niente. Nell’immediato, il desiderio più pressante era quello di possedere un giradischi e almeno qualche vinile, oggetti cari di cui si poteva godere in compagnia o in solitudine, all’infinito, fino a non poterne più. (p. 65) Vien da pensare che gli adolescenti siano tutti uguali: magari cambiano i volti famosi, gli autori, i musicisti e gli oggetti (molti divi sono seguiti a BB e a James Dean, il giradischi è divenuto un ben più piccolo mp3), ma il bisogno di sognare e di identificarsi è sempre lo stesso, adesso come allora.

Credo sia questo “sentire comune” che ha dato tanto successo in Francia alla Ernaux, l’occasione di rievocare eventi piccoli e grandi vissuti in prima persona o sentiti in televisione e diventati oggetto di discussione in famiglia o con gli amici. E il lettore italiano, o di qualsiasi paese, si ritrova invece nelle sensazioni, che possono sembrare personali:

Lo sguardo della gatta bianca e nera nel momento in cui si addormenta per l’iniezione

l’uomo che stava ogni pomeriggio in pigiama e pantofole nell’atrio della casa di riposo di Pontoise, che piangeva chiedendo ai visitatori di chiamare suo figlio allungando un pezzo di carta sporco su cui era scritto un numero

la donna della foto del massacro di Hocine, Algeria, che somigliava a una pietà

il sole accecante sui muri di San Michele visto all’ombra delle Fondamenta Nuove. (p.266)

Il lettore può ritrovarsi in ognuna di queste immagini, anche se non gli appartengono: chi non possiede una fotografia che lo ritrae con un cane o un gatto che poi è morto e, guardandola, ne ricorda la storia? Chi non trattiene davanti agli occhi una scena penosa che lo ha colpito, fosse nella vita reale o in quella mediatica? Chi non ricorda un giorno di sole passato in gita in un’altra città? I pezzetti di cuore che la Ernaux elenca nelle sue pagine assomigliano così tanto a numerosi pezzetti di noi stessi che sembra sia riuscita nel suo intento: Salvare qualcosa del tempo in cui non saremo mai più. (p.266)

 

Annie Ernaux

Gli anni

traduzione di Lorenzo Flabbi

L’Orma editore, Roma 2016

  1. 266, euro 16,00