Una fotogiornalista di razza

| | |

Grande antologica di Margareth Bourke-White al Palazzo Reale di Milano

di Michele De Luca

 

Nel 1936 l’imprenditore newyorkese Henry Luce lancia nel panorama editoriale americano un nuovo genere di rivista d’attualità, fondata su un utilizzo della fotografia che non assolve semplicemente il compito di illustrare il testo scritto, ma acquisisce rispetto ad esso un peso paritario se non addirittura preponderante. Il 23 novembre è la data scelta per l’uscita del primo numero di Life, che si presenta in 380.000 copie nelle edicole di tutti gli States con una copertina raffigurante la imponente diga di Fort Peck nel Montana. L’autrice della fotografia è Margaret Bourke-White (New York 1904 – Stamford, Connecticut, 1971). Il suo stile magniloquente e celebrativo dell’era moderna corrispondeva perfettamente all’idea che Luce voleva lanciare inoltre in Fortune, l’altra sua rivista d’affari, tanto che aveva cominciato a collaborarvi dal 1929 raggiungendo ben presto al suo interno il ruolo di condirettrice.

In quel periodo si dedicò con grande passione prevalentemente all’universo industriale, di cui sono testimonianza celebri scatti nei quale si impose per uno stile assai originale e estremamente moderno per quegli anni, A rivederle oggi, quelle rigorose quanto raffinate immagini, si vedono operai che maneggiano enormi chiavi inglesi, macchinari con paurose ruote dentate (ricordate Tempi moderni di Charlie Chaplin?), gigantesche condutture per deviare il fiume Missouri, nelle quali gli operai impegnati alla loro realizzazione sembrano ridotte a piccole e operose formiche; tutto narrato con un impeccabile bianco e nero, dai forti contrasti, trovando, incredibilmente, con grande sensibilità “grafica”, una “poesia” anche  nelle geometrie e nell’interagire dei piani di fabbriche e capannoni. Ciò pagando un debito, come è stato ampiamente sottolineato, per il suo stile, al cinema espressionista russo e tedesco, alle inquadrature di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn o di Fritz Lang.

Fu proprio dalle pagine di grande formato e magnificamente stampate di questa rivista che Margaret cominciò un appassionante avvicinamento alla figura umana che la condusse a quello che doveva essere il vero obiettivo del suo lavoro fotografico, e cioè il documentario sociale. Il punto di partenza di questo percorso sono i viaggi che compì in Russia, dove sullo sfondo a lei congeniale delle fabbriche tracciò il ritratto assolutamente inedito di un intero paese colto nella transizione da un’economia agricola ad una società industriale. Con la sua collaborazione a Life, per oltre venti anni, la fotografa si trovò ad essere interamente immersa nella pratica di un fotogiornalismo di cui contribuì a fissare i canoni “classici” che furono adottati dai più grandi fotogiornalisti a lei contemporanei, e che la portò ad essere testimone di un’epoca travagliata e tragica, anche come prima donna  fotografa delle Forze Armate americane in zone di guerra: dai campi di sterminio in Germania, alla resistenza pacifica di Gandhi e alla guerra di Corea. Dopo aver documentato gli anni della Grande Depressione americana insieme a Erskine Calwell, crudo narratore del proletariato americano, nel libro You have seen their faces (Hai visto i loro volti). Ecco qui le immagini dei disoccupati in fila per ricevere un pasto gratis sotto un enorme cartellone che inneggia al modello di vita americano con l’immagine della famigliola felice in automobile, ma di contro le realizzazioni del New Deal di Roosevelt. La foto simbolo di questa riscossa è stata quella che ritraeva la diga di Fort Peck, nel Montana, appena finita di costruire per rilanciare l’economia di una delle zone più povere degli Stati Uniti. Una foto che divenne, come si è ricordato, la sua prima copertina per Life.

Dopo una carriera strepitosa, sorretta da una grande passione civile, da una tenacia instancabile e da una intraprendenza che ha affrontato mille pericoli (in una foto la vediamo con la sua grossa fotocamera sulla cima del grattacielo Chrysler a New York, che solo a vederla fa venire le vertigini), solo una terribile malattia riuscì a fermare questa grande fotografa e grande donna che per giorni era stata isolata nell’Artico dopo un atterraggio di fortuna o che, in piena guerra, passò una notte e un giorno su una scialuppa di salvataggio dopo che la nave che la stava portando in Nord Africa era stata silurata e affondata. Nel ’53 le fu diagnosticato il morbo di Parkinson, ma lei non si rassegnò e continuò imperterrita a lavorare, fino al ’59, quando fu costretta a smettere definitivamente.

Una grande retrospettiva al Palazzo Reale di Milano, curata da Alessandra Mauro, presenta, oltre a una serie di documenti e immagini personali, video e testi autobiografici, una nutrita e completa selezione degli scatti più famosi della grande fotografa del Novecento, in un percorso che permette di ripercorrere, attraverso le sue immagini asciutte, dense di partecipazione umana e di alta poesia, la storia e gli eventi salienti del secolo scorso; in cui «trovare qualcosa di nuovo – ha detto Bourke-White – qualcosa che nessuno avrebbe potuto immaginare prima, qualcosa che solo tu puoi trovare perché, oltre ad essere fotografo, sei un essere umano un po’ speciale, capace di guardare in profondità dove altri tirerebbero dritto».

L’esposizione, come sottolineano gli organizzatori della mostra, rientra ne “I talenti delle donne”, un palinsesto promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano dedicato all’universo delle donne: una importante iniziative che  intende far conoscere al grande pubblico quanto, nel passato e nel presente – spesso in condizioni non favorevoli – le donne siano state e siano artefici di espressività artistiche originali e, insieme, di istanze sociali di mutamento. Si vuole rendere visibili i contributi che le donne nel corso del tempo hanno offerto e offrono in tutte le aree della vita collettiva, a partire da quella culturale ma anche in ambito scientifico e imprenditoriale, al progresso dell’umanità. L’obiettivo è non solo produrre nuovi livelli di consapevolezza sul ruolo delle figure femminili nella vita sociale ma anche aiutare concretamente a perseguire quel principio di equità e di pari opportunità che, dalla nostra Costituzione, deve potersi trasferire nelle rappresentazioni e culture quotidiane.

 

 

 

Margaret Bourke-White

Gandhi

Pune, 1947

© Images by

Margaret Bourke-White