Fotografare Napoli, Guido Giannini

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Commuove apprendere che il novantatreenne
Guido Giannini (Napoli, 1930)
vada ancora in giro a scattare foto nella
sua amatissima città, per coglierne, come
ha fatto per tutta la vita di fotografo, il
volto umano, la quotidianità, passioni e
paure, tenerezze e violenze, e – direi –
soprattutto la sua straordinaria, sempre
originale e inarrivabile creatività. Non
posso che riandare con la memoria al mio
primo articolo a lui dedicato e pubblicato
sull’allora glorioso Avanti! del lontanissimo
9 aprile 1987, in cui recensivo il
suo libro Sopravvivenza-Sopravvivenze,
edito da La Casa Usher di Firenze e presentato
da al suo coetaneo e conterraneo
fotografo, Luciano D’Alessandro, il quale
definiva Giannini come «Il fotografo
che lavorava con quella tensione politica
e sociale convinto com’era di dare il suo
contributo perché tutto accadesse e lo
faceva denunciando, svelando, facendo
sapere e vedere, sottolineando quelle situazioni
che rappresentavano le contraddizioni
della città nella quale si trovava
a vivere».
Fotografare Napoli, ed essere fotografi
a Napoli in quegli anni, ma ancora
oggi, ha sempre richiesto, specie da parte
degli operatori più impegnati e sensibili,
un’attenzione nel misurarsi con i fatti e
i problemi di questa città singolare, evitando
il più possibile stereotipi e luoghi
comuni tradizionalmente consolidati.
Sul fronte di questo impegno si è mosso
il lavoro fotografico di Giannini, che
nel 1961 pubblicava la sua prima foto su
Il Mondo di Pannunzio, entrando quindi
a far parte di quella schiera di fotogiornalisti
che crebbero e maturarono in una
delle “scuole” più stimolanti del nostro
dopoguerra. Giannini seppe misurarsi
(cosa che ha sempre continuato a fare)
Un fotografo novantenne che continua
ad esplorare armato di fotocamera la sua città
con un tema rischiosissimo, quello del
vivere alla giornata, dell’arrangiarsi; in
certi casi, purtroppo, del lasciarsi vivere.
L’uomo, dunque, è sempre stato al
centro delle immagini di Giannini; c’è
sempre stato da parte sua grande e amorevole
rispetto nei confronti dei suoi
soggetti, non c’è ricerca dell’immagine
che stupisce; il taglio è “tranquillo”, l’inquadratura
è tradizionale, il bianco/nero
nitido, senza infingimenti o ambiguità.
Come nel migliore fotogiornalismo e in
quel filone cosiddetto della “fotografia
umanistica” (al fianco di fotografi come
Atget, Doisneu o Kertesz), che è stato,
ed è ancora – il campo della sua sempre
entusiasta e appassionata ricerca. Come
ce ne dà testimonianza, questo suo portfolio
ROM (tanto esile, quanto elegante
e potente nella sua sintesi espressiva)
pubblicato da Langella Edizioni di Napoli,
presentato da Moni Ovadia, che
scrive, commentando le sue immagini,
come soltanto «gli artisti della fotografia
supereranno ogni trasformazione della
tecnologica per dare futuro al vero e
all’autentico».
Le poche immagini qui presentate
non sono che una minima, quanto pregnante
rappresentazione di un lungo
reportage, ripreso più volte negli anni e
iniziato casualmente nel 1979 nelle strade
del quartiere di Scampia (furono dei
bambini Rom che gli chiesero di essere
fotografati), di cui una significativa parte
venne esposta all’interno del Centro
Sociale occupato e autogestito “Officina
99” di Napoli. «Sono tuttora convinto –
scriveva allora il fotografo nella sua presentazione
– che l’arte sia uno strumento
fondamentale per combattere i luoghi comuni
e i radicati pregiudizi che purtroppo
sopravvivono contro il popolo Rom».
Come a dire, altro che l’arte per l’arte!…

Guido Giannini
ROM
Con 6 Immagini o fotografie
presentazione di Moni Ovadia
Lanzella, Napoli 2023
pp. 8, euro 25,00

Indissolubilmente legata alla città
di Napoli, l’opera fotografica di Guido
Giannini ebbe un primo riconoscimento
con la pubblicazione di una sua
immagine sulle pagine de Il Mondo di
Mario Pannunzio. Era il il 19 dicembre
del 1961 e il fotografo aveva allora 31
anni. Dopo la pubblicazione di alcune
altre immagini sulla prestigiosa rivista,
a partire dal 1962, Giannini si occupò
di altro e riprese l’attività di fotografo –
che perdura tuttora – soltanto nel 1976,
collaborando con Il Manifesto, La Repubblica,
Unità, Qui Touring ed altre
testate locali e nazionali. È stato redattore
fotografico del periodico NdR. Le
sue opere sono state esposte da Roma a
Milano e fino alla Cina.