Una gabbia di matti

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In un curioso almanacco una folla di vite angolose, spericolate, in salita e discesa

di Gabriella Ziani

 

Quando neanche alla cena di gala organizzata per celebrare il monumentale Oxford English Dictionary in 12 volumi il collaboratore più assiduo ma più invisibile, autore in vent’anni di 10 mila lemmi con numerosi pseudonimi, si fece vedere, il direttore Sir James Murray decise di andarlo a stanare, ma all’indirizzo indicato si trovò davanti la porta di un manicomio criminale. Ohibò, si disse, questo direttore dev’essere uomo di grande scienza. Ma, sorpresa: il prolifico autore era in realtà un internato. Americano, già veterano della guerra civile, recluso da quando aveva ucciso un uomo in strada, si chiamava William Chester Minor (1834-1920) e sarebbe rimasto rinchiuso per 37 anni. La sua storia è diventata un film nel 2019, Il professore e il pazzo. Più oscura la vicenda della domestica francese Séraphine Louis (1864-1942) che di notte dipingeva fiori e foglie usando succhi vegetali, argilla e sangue, convinta di essere ispirata dall’Arcangelo Gabriele. Quando il collezionista Wilhelm Uhde la portò ad avere successo, la sua mente cominciò a essere abitata da psicotiche ossessioni, e finì la sua vita in manicomio.

Non tutti i “matti” hanno avuto questo destino di reclusione, in tempi in cui il manicomio era una prigione e Franco Basaglia non ne aveva ancora spaccato i lucchetti. La mitica Sissi imperatrice d’Austria, seppure anoressica, malinconica e ossessiva, ebbe tutto l’agio di dispiegare in viaggi e palazzi le proprie nevrotiche ribellioni, e il suo profilo triste si è replicato ai giorni nostri nell’iconica Lady Diana, precipitata nei noti inferni coniugali di casa Windsor e tornata in luce come “principessa di cuori”: entrambe due divine dell’immaginario sociale che con la sofferenza hanno plasmato una nuova e vincente immagine di sé, esaltata in memoriam purtroppo, entrambe vittime di tragica morte.

Che cosa accomuna queste così diverse storie e, in verità, altre centinaia, in un vortice biografico stupefacente e straniante? Il fatto di trovarsi radunate in un libro del tutto particolare, Almamatto. Un matto al giorno, 365 tipi strani (+ 1) che hanno cambiato il mondo, organizzato come un volume-calendario che parte dal 1.o gennaio e si conclude il 31 dicembre e in ogni pagina riassume la storia di un personaggio – nessuno vivente… – nella estrema variabilità dei singoli destini, tutti comunque segnati da tratti di comportamento o carattere eccentrici, sofferti, esagerati, antisociali, molto spesso drammatici, e comunque creativi in molti campi.

è il messaggio che brevemente antepone il curatore, lo psichiatra Giampietro Savuto, spiegando la genesi di un calendario che al posto del santo del giorno racconta “il matto del giorno”: «Ho incontrato – scrive – individui dalla sensibilità esasperata, emotivamente fragili, ma anche fantasiosi e creativi, sempre interessanti, alcuni addirittura geniali. La storia dell’uomo è costellata di individui del genere: bizzarri, anticonformisti, visionari, in molti casi con disturbi psichici gravi, ma altamente creativi in campo letterario, artistico, scientifico». Savuto è il fondatore e responsabile scientifico di Fondazione Lighea onlus, che a Milano dal 1985 si occupa del disagio psichico e della riabilitazione dei malati, gestendo tre comunità residenziali, appartamenti e un centro diurno, promuovendo nel contempo attività culturali volte a spogliare la malattia mentale del pregiudizio, del cosiddetto “stigma”, anche attraverso la pubblicazione della rivista FuoriTestata. I proventi di questo librone andranno a finanziare un nuovo centro per giovani da avviare al reinserimento sociale e lavorativo.

Tredici fra psichiatri, psicoterapeuti, giornalisti e specialisti di varia inclinazione culturale hanno collaborato all’impresa, che proprio a Trieste – capitale della “rivoluzione” psichiatrica – potrebbe avere un suo luogo privilegiato di diffusione. Perché alla fine l’assunto di questa sfilata quasi teatrale di personaggi sistemati ciascuno nel proprio giorno di nascita è a propria volta “creativamente” propositivo: dice che se non si è un po’ “matti” si combina poco d’interessante, e al contrario esserlo per diagnosi non significa essere incapaci o inferiori. Viene così anche sdoganato uno dei tanti limiti verbali del discutibile politically correct, per cui tra l’altro sarebbe vietato dire matto. E perché no? Quante volte abbiamo detto “ma sei matto?” a qualcuno che sognava progetti fuori norma. Quasi una prova del nove.

Eccoci dunque incuriositi e turbati dalla folla di vite angolose, spericolate, in salita e discesa. E ne usciamo anche immalinconiti, il travaglio esistenziale è molte volte pesantissimo, e la fama postuma e magari imperitura non giova più a chi ha peregrinato sul sale. Perché Chagall dipingeva omini vaganti nel cielo? Sapevamo che Tolkien, oltre a scrivere Il Signore degli Anelli aveva inventato un sacco di lingue strane che nessun altro capiva? E perché troviamo qui in sfilata il Beatle John Lennon, posto che la ragione non sta nell’essere stato barbaramente ucciso? E che cosa nascondevano l’elegante fascino e il successo di una regina della moda come Coco Chanel? E chi lo sapeva che l’attrice Hedy Lamarr scandalosa per le sue scene di nudo integrale a Hollywood aveva inventato – senza riuscire a brevettarlo – un Secret communication system che oggi è usato nella crittografia, nella telefonia cellulare e nei sistemi wireless? Conoscevamo forse il profilo di Filippo Bentivegna, che preso un brutto colpo in testa a Chicago tornò nella natìa Sciacca in Sicilia e cominciò a scolpire solo teste, oggi ospitate dal Museo dell’Art Brut di Losanna? Più note certamente altre teste favolose, quelle del pittore cinquecentesco Giuseppe Arcimboldo, che girò per le corti europee, prima da Massimiliano II a Vienna e poi dal “pazzo” Rodolfo II a Praga, dipingendo le celebri “teste composte”, grottesche sovrapposizioni di fiori, frutta e verdura. Possiamo approfondire Apollinaire (sospettato di aver rubato la Gioconda), Proust (scrisse rintanato sostituendo alla vita il ricordo della vita stessa), Kafka («misteriose metafore trasformano l’angoscia della sua vita in incubi surreali»), e il contorto e disordinato Joyce naturalmente, e Rimbaud (ribelle in perenne fuga), e avanti con il tragico Artaud, il malinconico Pascoli, l’angosciato Leopardi, le poetesse Emily Dickinson (reclusa in casa per tutta la vita) e Sylvia Plath (che si suicidò mettendo la testa nel forno). Ci troviamo a rileggere sotto nuova angolazione il matematico Alan Turing che rivelò i segreti crittografici della macchina nazista Enigma e fu antesignano ideatore dei computer, l’ossessione di Maria Curie scopritrice del radio e premiata con due Nobel, e un posto d’onore c’è per Albert Einstein. Ma condividiamo anche le depressioni del presidente americano Abraham Lincoln e soprattutto di sua moglie Mary sfiancata da troppi lutti, e andando errabondi nei secoli possiamo fermarci tanto su Mozart quanto su Schubert, incappando in Carmelo Bene, la cui teatralità non si trattenne da una orinata sul pubblico, e ricordare il tragico destino della cantante inglese Amy Winehouse che la musica non riuscì a salvare dagli abissi delle droghe, o rivivere le angosce dei pittori austriaci Egon Schiele, Gustav Klimt, Oskar Kokoschka e Richard Gerstl. E di van Gogh, Picasso, Cézanne, Magritte…

Ma le sorprese non mancano. Che cosa ci fa Dante Alighieri in questa variopinta compagnia? Semplice: tanto normale non era se con la Commedia si fece giudice e censore implacabile dell’umanità riservando a sé un ruolo salvifico, ed ecco la diagnosi: «Sublime esempio di delirio di onnipotenza». Da qui planiamo nella zona delle mistiche, notoriamente non proprio in equilibrio su questa terra: Santa Caterina che si misura col Papa e muore di anoressia, Santa Chiara che subisce il fascino di San Francesco, la carismatica Santa Teresa d’Avila il cui corpo “levita”, Bernadette de Soubirous che vede la Madonna a Lourdes, e così via, saltando di pagina in pagina tra Steve Jobs, il creatore della Apple, e imperatori romani fuori di testa come Caligola e Nerone… Inciampando per strada in altri insospettabili: Marta Marzotto, Luisa Spagnoli, Peggy Guggenheim, Dario Fo, Lucio Dalla e Guido Crepax. Mentre al giorno 11 di ogni mese è indagato un personaggio letterario, in testa Dottor Jekyll e Mr. Hyde, la più plastica rappresentazione di una personalità scissa tra Bene e Male, in compagnia dell’uomo-donna Orlando di Virginia Woolf (degnamente biografata, il suo male psichico è noto quanto lo sono il talento e il suicidio), e naturalmente dello sveviano Zeno, interprete del mal di vivere novecentesco.

Il fascino oscuro ma brillante di queste vite guardate con lente semi-psichiatrica è di natura perturbante, e se è vero che molte difficoltà psicologiche di vario grado hanno consentito ad alcuni di far emergere capacità intellettuali fuori dal comune, è molto vero anche il contrario: non basta essere melanconici, ossessivi, ribelli, infelici, visionari o rabbiosi per trasformare la propria identità in senso creativo. Una cosa importante, indicata già nell’introduzione e verificabile attraverso lo scorrere dei ritratti biografici, è che molti di questi eccentrici, geniali sofferenti portavano in sé una ferita di cui sentivano acutamente il dolore: orfani di madre, o di padre, o di entrambi i genitori, oppure abbandonati dall’uno o dall’altro, erano in continua e disperata ricerca d’amore, una ricerca senza fine e spesso senza esito essendo cresciuta in essi nell’età infantile una voragine che chiedeva di essere riempita a ogni istante, e il senso di mancanza poteva essere così rapinoso da falcidiarne l’anima.

Fra tanti e tanti, ce n’è uno che pensò bene di mettersi in salvo per l’oggi e per il domani, ideuzza grazie alla quale è oggi considerato il padre della fantascienza: H. G. Wells (1866-1946). Dice la sua scheda: «Immagina dimensioni alternative, viaggi nel tempo, spedizioni sulla Luna; e ancora, uomini invisibili, scienziati pazzi e senza scrupoli, alieni e mostri dalle teste giganti, marziani che invadono la Terra. Visioni distopiche di che cosa accadrebbe se tutti gli esseri umani si evolvessero in geni, creature dall’intelligenza superiore: una diffusione incontrollata della follia. H.G. sostiene che tutte le passioni siano una forma di pazzia, compresa la sua».

Autodiagnosi e chiamata in correo: se tutti sono pazzi, nessuno lo è. Con qualche eccezione, s’intende, che la cronaca c’impone. E di cui la storia ci ammonisce di non sottovalutare la demoniaca pericolosità. A proposito, si capisce bene che non va in vetrina (ci mancherebbe…) il delirio sterminatore di Hitler, ma non tutti i cattivi sono epurati, vedi la congrua presenza del barone francese Gilles de Rais, il Barbablù che terrorizzò la Francia del ‘400 ed è ricordato come il “presunto killer” (ma reo confesso e perciò impiccato) di forse 140 innocenti bambini.

 

 

 

 

Giampietro Savuto

(a cura di) e AA.VV.

Almamatto. Un matto al giorno

365 tipi strani (+ 1)

che hanno cambiato il mondo

Baldini-Castoldi – La nave di Teseo,

Milano 2021

  1. 406, euro 25,00