Una per dito

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In versione bilingue una nuova raccolta di fiabe di Marko Kravos

di Laura Ricci

 

Cosa può spingere un poeta a scrivere letteratura per l’infanzia, anzi nello specifico fiabe, e non in modo accidentale ma, almeno a partire da un certo momento, sistematico? Me lo sono chiesta a proposito di Marko Kravos, poeta in lingua slovena ben noto nell’ambito letterario di Trieste, di cui rappresenta una delle voci più interessanti e autorevoli. Kravos scrive anche critica letteraria e saggistica ed è un raffinato traduttore in sloveno dall’italiano, dal serbo-croato e dallo spagnolo. Accanto alla sua corposa produzione poetica – sono ben ventisei le sue raccolte di poesia ed è tradotto in venticinque lingue – la letteratura per l’infanzia appare nel 1991, con la pubblicazione di Tre favole: una dolce, una soffice ed una quasi azzurra; segue un periodo intensamente dedicato alla poesia, in cui pubblica opere fondamentali quali Il richiamo del cuculo (Campanotto, Udine, 1994) e Le tracce di Giasone (Hefti, Milano, 2000), e poi ancora fiabe tra il 2001 e il 2003. E se la poesia continua a essere la costante e copiosa gemmazione che pone Kravos all’attenzione del panorama letterario nazionale e internazionale, fino ai più recenti Sale sulla lingua (ZTT-EST, 2013) e L’Oro in bocca (Beit, Trieste, 2017), anche il fiorire della letteratura per l’infanzia non abbandona la vena dello scrittore, che torna a proporre in questi ultimi giorni una nuova raccolta illustrata di fiabe.

È appena uscito infatti, per la casa editrice triestina Vita Activa, il volume bilingue Fiabe, una per dito / Pravljice, za vsak prstena, con la traduzione in italiano a cura di Darja Betocchi e le illustrazioni di Dunja Jogan. La nuova opera di Kravos, in perfetta linea con il multiculturalismo dell’autore e della casa editrice, è stata presentata a Trieste il 21 maggio, con un partecipato incontro alla Sezione ragazzi della Biblioteca Nazionale Slovena degli Studi presso il Narodni dom: a introdurre, con la presenza di Kravos, Betocchi e Jogan, la direttrice editoriale di Vita Activa, Gabriella Musetti.

Non mi stupisce che un poeta, e nel caso di Kravos un poeta estremamente dotto, scriva per i bambini, così come non mi stupisce che i bambini comprendano in modo inatteso e immediato i poeti dotti e la loro immaginifica parola: forse è l’assenza di sovrastrutture e di briglie banali e prudenti a spingere, gli uni come gli altri, nel mondo non per tutti accessibile della metafora. E quando si chiede a Kravos che cosa lo induca a scrivere fiabe è proprio al valore del mondo metaforico che il poeta rimanda, e al piacere di poterlo esprimere in canoni più liberi, e forse soprattutto più lieti e scherzosi, di quanto possa consentirgli la sua ricerca poetica. Marko Kravos è poeta scabro e essenziale, poeta delle molte possibilità della parola e, al tempo stesso, delle risonanze del silenzio, di quanto è tenuto a freno e taciuto nell’espressione non di un compiacimento personale, come in certa poesia (che forse non è poesia) accade, ma di un universale comune delle esperienze di vita, delle emozioni e dei sentimenti. Nel suo poetare, fatto di ispirazione e studium, c’è talvolta un ritorno a una misurata tradizione classica, che non vuole certo essere un sorvolare sulla tragicità della vita, ma semmai un frantumare l’immediatezza e l’inevitabilità del dolore per meglio rendere, senza urla e retorica, l’epico ricorrere del tormentoso fluire della condizione umana, in cui proprio per questo ogni attimo minimo, ogni singolo diletto, acquista una consistenza preziosa di contrappeso. Così, nella sua poesia, anche l’ironia, l’autoironia, lo scherzo, talvolta l’irrisione, si alternano alla pensosità, alla riflessione disincantata e alla malinconia. Nella vita meditativa e profonda di un poeta, che rischia di diventare angosciosa con l’accumularsi delle esperienze e degli anni, nel doloroso dilatarsi delle consapevolezze e della coscienza, la fiaba rappresenta la dimensione di una sosta di piacere, senza rinnegare l’esplorazione del profondo, ma trasformandola in una selva esuberante di simboli giocosi e di fantasiose presenze extraumane.

Ecco allora che nelle cinque fiabe che pullulano dal palmo della mano – una per dito, appunto – animali, insetti, piante, gnomi e addirittura creature imprecisate in cerca di identità agiscono e interloquiscono, ponendo in modo estroso e burlesco eterni, e dunque attuali, quesiti morali: dalla volpe che crede di essere furba e incontra un coniglio ancora più scaltro di lei, agli ortaggi che battibeccano e solidarizzano tra loro ghettizzando la debole patata; dall’indefinibile “Atto” (“Kruci” in sloveno), puro nome senza sostanza, moccioso oviforme a cui nulla e nessuno sta bene e che preferisce scomparire piuttosto che essere qualcosa o qualcuno, al zanzarone buongustaio che vuole succhiare solo puro sangue sloveno, e finisce per morirne lasciando ai nipotini l’insegnamento che è meglio non fare distinzioni e abbattere i confini. Non mancano neanche, nell’ultima fiaba che riprende in modo bizzarro e originale il tema della Bella e la Bestia, il Tapin giullare, la principessa Rosamunda e il mostro Belzebàu che altro non è che un principe in attesa di metamorfosi, il tutto espresso in un linguaggio scoppiettante, divertente e frizzante, con motti folgoranti e filastrocche che divertiranno molto giovani e meno giovani lettrici e lettori.

Fiabe che si possono leggere o narrare, per divertimento e al tempo stesso per pensare, o anche per meglio apprendere lo sloveno e l’italiano nell’indubbio valore del bilinguismo. Fiabe che si possono sfogliare e ammirare, nel bel volume cartonato a grande dimensione come quelli di una volta, arricchito dalle piacevoli illustrazioni di Dunja Jogan. Non era facile rendere accattivante il libro con illustrazioni in bianco e nero, ma Jogan è riuscita nell’impresa con grande fantasia e stile, e con un tratto che mette insieme in modo plastico e raffinato, fiabescamente, tutte le possibili sfumature del nero e dei grigi. Illustrazioni più grandi e piccoli inserti nel racconto testuale perché, come alla presentazione è stato spiegato, gli intarsi nel testo a fronte in sloveno, lingua più sintetica dell’italiano, oltre alla funzione artistica hanno quella di equilibrare nelle pagine la corrispondenza del significato tra le due lingue.

Nell’incontro di presentazione si è riflettuto anche sul senso e sulla finalità della non semplice arte del tradurre. Darja Betocchi, traduttrice di fiducia di Kravos, avverte in una nota al libro – e nella presentazione se ne è ampiamente parlato – che le discrepanze tra i testi in lingua originale slovena e la traduzione sono state auspicate e proposte dall’autore, e con lui concordate. Chi conosce le due lingue si renderà conto delle trasformazioni da una lingua all’altra, nelle filastrocche e nei giochi di parola, nelle allusioni e non solo. Kravos, del resto, conosce talmente bene l’italiano da poter interloquire in modo fattivo con chi traduce, ma con umiltà e fiducia, ben sapendo quanto l’autore debba al traduttore nel passaggio da una lingua all’altra in quella delicata operazione che deve essere fedele al significato ma, per la riuscita stilistica dell’opera, molto meno alla forma e, talvolta, ad alcune immagini poetiche. In definitiva bisogna negoziare i “tradimenti” linguistici per rendere, in un diverso specifico, la specificità del linguaggio originale: e in questo, come in altri libri, Darja Betocchi ha saputo operare egregiamente.

Le ultime, belle fiabe di Kravos entrano con la loro prima presentazione nell’estate. Il libro, disponibile alla libreria slovena di Piazza Oberdan e in altre librerie triestine, è per ora affidato alla scoperta personale di giovani e meno giovani lettori, ma l’auspicio è che, dopo le vacanze, possa diventare uno strumento di conoscenza e di stimolo alla lettura anche nelle biblioteche, nelle scuole e in altre realtà culturali, sia in Italia che in Slovenia.