Una vita accanto a Montale

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Gina Tiossi accudì il poeta fino alla fine dei suoi giorni, curandone poi anche la sepoltura

di Nicola Coccia

 

La tomba di Eugenio Montale – descritta da Alberto Brambilla nel numero di luglio del Ponte rosso – è salva. Per un errore degli uffici cimiteriali ha rischiato di essere rimossa e anche i resti del poeta hanno rischiato di finire nell’ossario comunale. La sepoltura era nell’elenco delle esumazioni per scadenza della concessione. Appena è stata pubblicata la notizia si è fatto avanti il sindaco di Monterosso pronto ad accogliere le spoglie del Premio Nobel. Il poeta era nato a Genova, ma la famiglia aveva una casa a Monterosso, uno dei paesi delle Cinque Terre. E lì, in una cappella, sono sepolti alcuni suoi parenti. Gli uffici cimiteriali hanno rifatto i calcoli e riparato all’errore. La tomba di Montale resterà nel piccolo cimitero di San Felice a Ema, nel comune di Firenze, fino al 2062, cioè 99 anni esatti dalla morte di Drusilla Tanzi, moglie di Montale, scomparsa nel 1963, e sepolta insieme a lui.

Ogni settimana, per più di trent’anni, una donna ha portato fiori su questa tomba. Arrivava col bus. In mano aveva sempre fiori freschi. Non parlava mai con nessuno. Attraversava il primo piazzale. Scendeva una rampa di scale e voltava a destra. Ed era di fronte alla lapide di Eugenio Montale e della moglie Drusilla, «Caro piccolo insetto — scrisse il poeta — che chiamavo Mosca non so perché». Sulla tomba non ci sono foto. Non ci sono iscrizioni o poesie. Non ci sono riferimenti al Nobel assegnatogli nel 1975 o alla nomina a senatore a vita. Sul marmo bianco solo i nomi e le date della morte.

La donna cambiava l’acqua nel vaso. Gettava i fiori vecchi e sistemava quelli freschi. Incrociava le dita delle mani. Chiudeva gli occhi e restava immobile davanti alla sepoltura. Poi risaliva la rampa di scale. Attraversava il primo piazzale. E andava ad aspettare il primo autobus per tornare in centro, a Firenze. E lì ne prendeva un altro per arrivare a casa, in via Quintino Sella, a Bellariva, in un condominio popolare. L’abbiamo rintracciata nell’autunno del 2003, dopo varie ricerche. Non ci ha mai aperto la porta di casa. Ha sempre però risposto al telefono, ma non ha mai raccontato nulla di Montale, né della moglie. «Per questo ci sono i nipoti», ripeteva. Questa donna si chiamava Gina Tiossi. Era vicina agli ottant’anni. Era nata a Cavriglia, nell’aretino. Venne chiamata a Firenze per accudire la moglie di Montale. Drusilla si era fratturata una gamba e non si poteva muovere. Gina, che allora aveva 17 anni, doveva restare con lei solo qualche giorno. C’è rimasta 38 anni. Ha visto morire la Mosca ed era accanto al poeta anche quando morì, la sera del 12 settembre 1981, un sabato, nella clinica «Pio X», a Milano.

La tomba nel cimitero di San Felice a Ema l’aveva scelta lo stesso Montale. Gli piaceva il posto di quel piccolo camposanto raccolto, di fronte a villa Suor Maria Celeste, figlia prediletta di Galileo, e alle colline che salgono dolcemente verso Pozzolatico e l’Impruneta. Per caso il poeta si è ritrovato al centro di un circolo di letterati e artisti. Là è sepolto Plinio Nomellini, uno dei grandi pittori divisionisti e là c’è Beppe Bongi, anche lui pittore, col quale aveva ideato un volumetto, intitolato Amo l’estate. I due amici, per quella occasione, si erano scambiati i mestieri. Bongi raccontava la bella stagione in versi e Montale la illustrava con gli acquerelli. Alle sue spalle si trova la tomba dello scultore Fausto Melotti, rimasto legato a Firenze per avervi fatto il liceo e modellato porcellane per la Richard Ginori insieme a Giò Ponti. E poi ancora Piero Santi, scrittore, critico d’arte e fondatore dell’Indiano la vivacissima galleria di Ottone Rosai; e Romano Bilenchi, scrittore e giornalista, assunto alla Nazione nel 1933 da quell’Egisto Favi che Ciano definì «una carogna per aver querelato Mussolini».

Montale conosceva bene quella zona. Spesso si fermava da Bibe, vicino al Galluzzo, una vecchia osteria sulla Greve gestita da Paradiso Scarselli e aperta da un suo parente che aveva combattuto in Russia con Napoleone. Qui si cucinavano ranocchi fritti e pollo alla diavola. E qui Montale scrisse Bibe al Ponte all’Asse, ora raccolta nel volume Le occasioni. La poesia dice: Bibe, ospite lieve, la bruna tua reginetta di Saba/ mesce sorrisi e Rufina di Quattordici gradi/ Si vede in basso rilucere la terra fra gli aceri radi/ e un bimbo curva la canna sul gomito della Greve.

Era il 1937. E la bruna tua reginetta era la figlia di Paradiso, Liliana, che allora aveva 14 anni. Quando le abbiamo parlato, era una vispa signora di 80 anni che non aveva abbandonato la cucina. «Avevo cominciato a servire ai tavoli e di Montale ho un ricordo ancora vivo per averlo rivisto, qui a pranzo da noi, poco prima della consegna del Nobel. Era affezionato al Bibe che aveva conosciuto quasi quarant’anni prima: una stanza quattro metri per cinque con il focolare dove si preparava il pane cotto a legna».

Eugenio Montale, ragioniere, pittore, ex aspirante baritono, capitò a Firenze nel 1927. A 31 anni aveva finalmente il suo primo lavoro. Venne assunto come redattore dalla casa editrice Bemporad per 600 lire al mese. Trovò una sistemazione in via Benedetto Varchi in casa del critico d’arte Matteo Marangoni e della moglie Drusilla Tanzi che nel 1939 diventerà la sua compagna e che sposerà nel 1962. Due anni dopo venne nominato direttore del Gabinetto Vieusseux. Nel 1937 rifiutò la tessera del partito fascista e venne licenziato. Rimase a Firenze nella casa del viale Duca di Genova 38, oggi viale Amendola, fra la chiesa di Santa Maria degli Angeli e l’Aci. Dalle finestre dell’ultimo piano vedeva il Cristallo, teatro di avanspettacolo, abbattuto per costruire l’Archivio di Stato, e il cinema all’aperto “Alambra”, dove oggi sorge La Nazione. Frequentò le “Giubbe Rosse”. Incontrò Vittorini, Gadda, Bo, Rosai, Quasimodo, Luzi, Piovene. Visse di collaborazioni con Campo di Marte di Vasco Pratolini e Alfonso Gatto e con Letteratura di Bonsanti. Nel maggio del 1938 raccontò il significato sinistro della visita di Hitler a Firenze con Mussolini: Sul corso è passato a volo un messo infernale / tra un alalà di scherani…

Nella sua abitazione c’era sempre un letto disponibile per un amico che ne aveva bisogno. E da lui trovò ospitalità anche Carlo Levi quando a Firenze era ricercato come antifascista e ebreo. Drusilla Tanzi era la zia di Paola Olivetti, compagna di Levi per dodici anni. Di quel nascondiglio l’antifascista torinese ricordava molti dettagli e perfino la data. «Montale (e la Mosca) mi ospitò nel settembre 1943 quando cominciavano “i dì della sventura” (come ospitò poi, e alloggiò nel letto dove erano rimaste le mie lenzuola molti antifascisti partigiani e membri del C.L.N. come Giovanni Rossi e Bruno Sanguinetti)». E Montale ricambiò queste visite andando a trovare Carlo Levi nell’appartamento di Anna Maria Ichino, in piazza Pitti. Era quello il rifugio dove Levi scriveva Cristo si è fermato a Eboli, trasformato nella sede clandestina della sezione stampa del Comitato Toscano di Liberazione. Montale continuò ad andarci anche dopo l’insurrezione di Firenze, quando in quella casa arrivarono i Saba: Umberto e le due Line, portati proprio da Levi. Una spiata aveva costretto Umberto Saba a lasciare Trieste e a rifugiarsi a Firenze, la città che conosceva meglio per esserci stato tante volte, anche in viaggio di nozze. Il rapporto con Firenze era contrastato. Lo ha spiegato lo stesso Saba nell’Autobiografia: «A Giovanni Papini, alla famiglia/ che fu poi della “Voce”, io appena o mai/ non piacqui».

Ma a Firenze c’erano anche molti amici: «Per abbracciare il poeta Montale/ – generosa è la sua tristezza – sono/ nella città che mi fu cara. è come/ se ogni pietra che il piede batte fosse/ il mio cuore, il mio male/ di un tempo. Ma non ho rimpianti».

A Firenze i Saba cambiarono rifugio undici volte. In una intervista a Enzo Fabiani nel 1975 Linuccia Saba raccontò: «Vedevamo coloro che avevano il coraggio di venire a trovarci. Chi si è dimostrato veramente amico è stato Montale. Veniva tutti i giorni da noi, ad eccezione di un giorno in cui andava a trovare Carlo Levi in piazza Pitti. Quando poi dovevamo lasciare una casa perché diventava insicura e non avevamo altro rifugio, allora Montale ci faceva dormire a casa sua».

Nel 1948 Montale si trasferì a Milano per lavorare al Corriere della Sera. Firenze gli rimase sempre nel cuore. «Ho vissuto trentun anni in Liguria, vicino al mare. Ma i vent’anni che ho passato a Firenze – ha scritto Montale – sono stati i più importanti della mia vita. Lì ho scoperto che non c’è soltanto il mare, ma anche la terraferma, la terraferma della cultura, delle idee, dell’umanesimo».

A Milano si trasferì anche Gina Tiossi, mantenendo così la promessa fatta a Drusilla di non abbandonare il marito. E lei lo ha accudito con umile affetto permettendogli di lavorare in pace fino alla fine. Ma più che una domestica era la sua assistente. Era accanto a lui, a Stoccolma, nel dicembre 1975, quando gli venne consegnato il Premio Nobel. Era accanto a lui, al Forte dei Marmi, quando nell’agosto del 1981 si sentì male. Ed era accanto a lui quando morì, pochi giorni dopo, a Milano.

A Gina Tiossi, che non ha mai rilasciato un’intervista, che non ha mai partecipato a un convegno per raccontare aneddoti di casa Montale, a lei che lo ha sempre protetto e che con la sua presenza ha riempito il vuoto lasciato da Drusilla, il Premio Nobel ha dedicato alcune poesie.

Una comincia così: « La Gina ha acceso un candelotto per i suoi morti./ L’ha acceso in cucina, i morti sono tanti e non vicini./Bisogna risalire a quando era bambina/ e il caffelatte era un pugno di castagne secche…».

E un’altra: «Gina all’alba mi dice/ il merlo è sulla frasca/ e dondola/ felice».

L’angelo silenzioso, che ha custodito tutti segreti di casa Montale, è morta a 91 anni, nel giugno 2014. Dieci anni prima, nel novembre 2004, Gina Tiossi, con ammirevole sensibilità e generosità, aveva donato al Centro Manoscritti dell’università di Pavia carte e libri di Eugenio Montale. Ci sono manoscritti e dattiloscritti, lettere, disegni, fotografie e oggetti come la macchina da scrivere del poeta e l’upupa impagliata, una collezione di opere originali di Montale con molte dediche affettuose. Nella biblioteca del poeta, oltre ai 400 volumi tradotti anche in arabo, greco, ebraico, cinese, macedone, sanscrito e hindi, c’è pure l’edizione del 1927 di Senilità con la dedica autografa di Italo Svevo.

 

 

Eugenio Montale con Gina Tiossi