Un’accozzaglia di insulti

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Mentre scrivo mancano poco meno di due settimane all’appuntamento con il referendum confermativo delle modifiche apportate al testo della Costituzione e il dibattito politico nel Paese, che ha sempre – o quasi – evitato un approfondito confronto sul merito delle proposte di revisione del testo costituzionale, si sta ulteriormente avvitando su se stesso, per l’affannata ricerca dell’estrema sintesi che possa dar luogo a uno slogan efficace, perentorio e credibile, che abbia ragione di ogni articolata argomentazione che gli si potrebbe contrapporre. Da una parte e dall’altra, beninteso.

È del tutto evidente che la ricerca della frase o addirittura della parola ad effetto lascia i nostri Demostene televisivi esposti al rischio di debordare nel cattivo gusto, se non proprio nella volgarità di un insulto gratuito agli avversari che la pensano diversamente. L’arroventarsi del clima in prossimità del termine della campagna elettorale è presumibilmente tale da indurre una previsione al rialzo del clima di rissosità; così è probabilmente sempre stato in ciascun confronto che sfoci poi in una consultazione, ma è ulteriormente accentuato dal dualismo tra sì e no, che esige dall’elettore una scelta netta ed escludente.

Quanto appare meno comprensibile riguarda l’efficacia di tali modalità propagandistiche, se cioè l’insulto più o meno esplicito (o anche più o meno spregiudicato) rivolto all’avversario faccia acquisire ulteriori consensi o se invece non ne faccia perdere, trasferendo alla parte avversa la preferenza dell’elettore o, più verosimilmente, inducendolo a incrementare l’area, di per sé ipertrofica, dell’astensione. Per fare un esempio, non è detto che se ci si fosse limitati a dire una verità evidente a tutti, e cioè che il fronte del no è composto da forze politiche e culturali eterogenee, inconciliabili tra loro, l’esposizione avrebbe avuto minore efficacia che definire “accozzaglia” quello stesso insieme di organizzazioni. Ma “accozzaglia”, certo, richiama delle controrepliche e quindi di per sé aumenta tramite la reiterazione l’esposizione mediatica del concetto.

Lo stesso, ovviamente vale per chi, dall’altro lato, definisce “serial killer” i sostenitori del sì alle proposte di modifica della Carta costituzionale.

A Trieste molti ricordano un comizio della recente campagna elettorale per le amministrative cui ha partecipato un noto frequentatore professionale dei talk-show televisivi, ricercato per il suo eloquio sempre costantemente sopra le righe, per l’aggressività sguaiata e volgare, per la violenza che viene messa in campo fin dalla scelta dei vocaboli e degli epiteti che riserva agli avversari di turno. Il personaggio, tra le risate scomposte dei candidati e dei militanti che lo circondavano, è arrivato a definire “coglioni” gli elettori che non si riconoscevano nei suoi patrocinati. È mai possibile che qualcun altro dei simpatizzanti del medesimo blocco elettorale dell’esagitato oratore non si sia irritato, o peggio non si sia sentito offeso per quella cieca violenza verbale apparentemente rivolta agli avversari politici ma, si spera, almeno in qualche caso, fonte di disagio per chi di tale violenza ha percepito su di sé gli schizzi di fango che costituivano i danni collaterali di quegli insulti proferiti dallo scalmanato comiziante?

Ad ogni modo, dobbiamo essere preparati a subire, nelle fasi finali della presente campagna referendaria, ulteriori eccessi verbali più confacenti a teppisti da stadio che a una composta tifoseria sportiva, con buona pace di coloro che ritengono subdolamente antidemocratico un confronto dialettico urlato e irrispettoso dell’interlocutore.

Serve a poco richiamare ai valori di una civile convivenza quanti esercitano le loro abilità dialettiche per bastonare – sia pure metaforicamente – chi si contrappone loro. Prediche inutili, direbbe Luigi Einaudi!

 

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