I DIECI PECCATI DI GIUSEPPE O. LONGO
Un nuovo libro di racconti

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Esistono scrittori che, dopo aver fatto il botto (editorialmente parlando), magari con il primo, fortunatissimo libro d’esordio, si appisolano sugli allori e vivacchiano con il secondo, il terzo, il quarto e quindi à suivre. Ma tant’è: sono il nome, la reputazione, il botto iniziale a garantire comunque della bontà di un prodotto che, spessissimo, va in realtà declinando via via, fino a esiti sgangherati e imbarazzanti. È il caso di… ma no, meglio non far nomi, anche perché i nomi sarebbero tanti, e tante le querele.

Esistono, poi, scrittori che, fatto il botto (con la contestuale conquista di un editore di Serie A e conseguente gran battage di recensioni e presentazioni), non si appisolano affatto e continuano a proporre cose intelligenti e dignitosissime, perfino di caratura superiore a quella che aveva propiziato il botto fatidico e fatale. Sennonché, per motivi talora spiegabili ma più spesso inesplicabili e misteriosi, i loro libri post-botto non “tirano” più, languono sui banconi o in qualche angolo di vetrina, non procurano recensioni e passaggi in tv (figurarsi!), provocando nello sventurato scrittore di turno – che non se ne fa una ragione – dapprima perplessità e sconcerto, poi crisi di identità e di vocazione, talvolta perfino drammi esistenziali e silenziose, progressive uscite di scena o penose ricerche di editori purchessiano, non più di Serie A e nemmeno di B.

Altri, i più forti e coraggiosi tra questi protagonisti-vittime di arcane eclissi editoriali, decidono al contrario di resistere resistere resistere. Certi del valore delle proprie opere, non demordono né gettano la spugna: scelgono di accontentarsi, ma senza rinunciare al proprio orgoglio, di scovare l’editore “minore” e magari di nicchia, capace però di apprezzarli come meritano. I loro libri non avranno più l’onore di vetrine scintillanti e neppure di recensioni illustri sulla grande stampa nazionale (ammesso che ancora esista) ma viaggeranno lentamente per il piccolo mondo di chi alla letteratura ancora crede e che, quella buona, sa ancora riconoscere al fiuto e al tatto. Si affideranno al passaparola, alle spintarelle di qualche superstite libraio assennato (titolare di piccole librerie in via di estinzione), magari sperando – perché no? – nel colpo di fortuna che tramuti la loro operina stampata da un editore pressoché sconosciuto in un “caso” e la risollevi dall’immeritata polvere. Un altro botto, pensano costoro, è pur sempre possibile, benché altamente improbabile.

Tra questi forti e coraggiosi, che non si rassegnano a lasciar languire in un cassetto i propri scritti solo perché l’editore di Serie A o B se ne fa un baffo, va inserito d’autorità uno degli scrittori più raffinati e interessanti del panorama letterario nazionale (sì, dell’intero panorama nazionale): quel Giuseppe O. Longo, forlivese di nascita e triestin-goriziano d’adozione, che dopo una già più-che-promettente gavetta, nel 1994 si vide pubblicare da Einaudi, nientemeno, un eccellente romanzo, L’acrobata, tra l’altro insignito poi in Francia del Premio “Laure Bataillon” come miglior testo tradotto oltralpe.

Da Einaudi Longo non ha più ricevuto segnali d’interesse. Perché? Vallo a sapere. Ma, da autentico eroe della resistenza, non ha deposto la penna causa crollo dell’autostima, tutt’altro. Oggi come oggi la sua bibliografia vanta, oltre all’Acrobata, altri due romanzi e dieci raccolte di racconti, per non dire della sua, pure cospicua, produzione teatral-drammaturgica. Occorre aggiungere che, nel frattempo, ha proseguito pure nella sua stimatissima carriera di uomo di scienza e docente universitario, tanto da meritarsi il titolo di Professore Emerito di Teoria dell’informazione e da pubblicare importanti testi attinenti a temi oggi essenziali quali le prospettive culturali dei progressi dell’intelligenza artificiale, della robotica (Homo Technologicus, Il simbionte, Prove di umanità futura) e della bioetica (Homo immortalis: una vita (quasi) infinita).

Che per Longo la scrittura sia dunque un’inalienabile necessità è più che evidente. Quel che però sempre sorprende (specie chi ha seguito, quasi passo dopo passo, il suo curriculum autoriale) è la sfaccettatissima varietà di timbri e registri, che trapassano con esiti espressivi ugualmente avvincenti dai grandi temi esistenziali al noir e al grottesco, dalla fantascienza all’horror. E dalle trame vaste e complesse alle dimensioni talora miniaturizzate di certi racconti, peraltro folgoranti.

Qualcuno obietterà: è ben questa la ragione per cui quest’ottimo autore ha avuto e ha difficoltà a risalire in quella Serie A che di sicuro gli competerebbe. Troppa dispersività, troppa dissipatezza, troppo intellettualismo, poca indulgenza alle esigenze commerciali, e così via. Longo a sua volta contro-obietta: lo so, non sono testi da ombrellone di spiaggia…

Ma quanti autori ben più criptici ed erratici sono rimasti ben inseriti in quell’empireo editoriale che per Longo è durato l’espace d’un matin? Beninteso: lui, a sua volta, s’è fatto un baffo di chi l’ha snobbato, e lungamente, ad esempio, ha trovato nell’editore Moby Dick un porto sicuro e accogliente. Ora un librino appena uscito ce lo fa ritrovare in un ulteriore buon rifugio editoriale: L’Antidecalogo. Dieci racconti. Una bella veste grafica per un editore milanese, Jouvence, piccino ma cui si augura lunga e fortunata vita.

Un librino, certo. Ma che conferma in pieno tutte le chances di Longo, quelle che ne fanno uno scrittore (appunto) necessario, a se stesso e al lettore attento. La scrittura, anzitutto: o meglio, la qualità sempre altissima della scrittura, affatto rara di questi tempi. Una scrittura millimetrica, verrebbe da dire: curatissima, forbita, talvolta perfino desueta nella ricerca di sostantivi, verbi, aggettivi usciti da un bel po’ dal lessico d’uso comune. Una scrittura esatta ma gustosa, che palesemente affascina lo scrittore stesso in corso d’opera: pare di sentirlo assaporare, delibare, perfino sgranocchiare frase su frase mentre le mette giù sulla carta. Una scrittura che, se esalta l’autore, affascina il lettore con la sua forza tranquilla e, qualche volta, con la sua ricercata sontuosità.

E poi la forza delle invenzioni, che non sorprenderà chi abbia apprezzato libri come l’Ur-Text Di alcune orme sopra la neve, La gerarchia di Ackermann, I giorni del vento, Congetture sull’inferno, Lezioni di lingua tedesca. Qui, come palesa da subito il titolo, Longo va a rivisitare (ma a rovescio) i Dieci Comandamenti, narrandone (per ognuno) la violazione, e quindi il “peccato” commesso. La silloge compendia dieci racconti dagli anni Ottanta all’altroieri, già editi o inediti, e talvolta riveduti e forse corretti. Ma la qualità è sempre uniformemente elevata, non c’è alcun cedimento né scrittorio né concettuale, pur nella caratteristica difformità timbrica, tipica della prosa di Longo.

Dieci Comandamenti, ma ribaltati in modo da far affiorare quelli che sono “le debolezze e i vizi umani: lussuria, avidità, bramosia, invidia, menzogna, violenza, ossessione”. È dunque il lato noir a prevalere, ma maliziosamente (malignamente?) miscelato con congrue dosi di surrealtà, di comicità, di humour sempre latente sottopelle. Tanto diversi nelle loro diverse tonalità, i dieci racconti si fanno tuttavia leggere con uguale piacere e interesse, per la poliedricità dei rispettivi plot e per il gusto di assaporare (anche il lettore così come l’autore) certe sciccherie linguistiche e certe costruzioni strutturali di gusto vagamente bernhardiano (Giuochi di mano, sul Nono Comandamento: undici paginette, un continuum gremito di virgole ma senza neppure un punto o un “a capo”).

Se è forse Giobbe (Ottavo Comandamento) il racconto più “impegnativo”, il lettore può ritagliarsi spicchi di sopraffino horror con Natale al Diorama e con Sulla rotta di Città del Capo, o sorridere, genuinamente divertito, con La cura dell’uva (Sesto Comandamento: eros e scintillante arguzia). Ma difficilmente si sbarazzerà del senso d’angosciosa tristezza suscitato da quello che risulta il racconto più recente di Longo, l’amarissimo Davanti all’ospizio (Quarto Comandamento). Chapeau! foto1