Uno sguardo al passato per parlare del presente

| | |

Tra sale cinematografiche e piattaforme online vince comunque il fascino del cinema

di Alan Viezzoli

 

Dal 29 agosto all’8 settembre 2018 si è svolta la 75ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Fin dalla sua presentazione è saltato all’occhio come ben 15 dei 21 film in concorso raccontassero storie ambientate nel passato, dal XVIII secolo di The Favourite di Yorgos Lanthimos fino al più recente 2011 di 22 July di Paul Greengrass. Ciò appare come un chiaro segnale del tentativo dei registi contemporanei di mostrare a noi spettatori come la Storia possa insegnarci a non ripetere gli errori del passato, specialmente in tempi come questi, in cui la cultura e la memoria sono visti come valori non più necessari. Ma, al contempo, questa edizione è stata anche quella in cui si è discusso di più di tecnologia e di modernità, a causa della polemica che ha contrapposto gli esercenti delle sale cinematografiche al colosso Netflix. Se già da due anni il Festival del Cinema di Cannes ha vietato il concorso ai film prodotti dalla nota piattaforma online, al contrario Venezia è sempre stata giustamente aperta a ogni tipo di cinematografia, da ovunque essa provenga.

A unire queste due facce, solo apparentemente antitetiche, della Mostra è proprio il film che la giuria presieduta dal celebre regista Guillermo del Toro ha voluto premiare con il Leone d’oro: ROMA di Alfonso Cuarón. Prodotto da Netflix (ma è prevista anche un’uscita in sala a ridosso della distribuzione online), il film racconta la storia di una famiglia borghese nella Città del Messico dei primissimi Anni ’70, concentrandosi in particolare su Cleo, la giovane cameriera di casa. Girato interamente in bianco e nero, ROMA è uno spaccato di vita autobiografico che usa il dramma familiare come metafora per agire su una doppia narrazione, raccontando il mondo di quegli anni e, contemporaneamente, parlando del Messico dei giorni nostri.

Meno convincenti il premio per la miglior regia a Jacques Audiard per The Sisters Brothers, western di stampo molto classico che, a parte un inizio registicamente interessante e un finale insolitamente anticlimatico, non ha in sé molti elementi di novità, e il Gran premio della giuria a The Favourite di Yorgos Lanthimos, lotta per il potere non particolarmente innovativa nella narrazione e fin troppo ripetitivo nelle soluzioni registiche rispetto al precedente film dello stesso regista, Il sacrificio del cervo sacro. Allo stesso modo appaiono eccessivamente generosi i due premi (premio speciale della giuria e premio Mastroianni a un attore emergente) a The Nightingale di Jennifer Kent, regista australiana qui all’opera seconda dopo il folgorante esordio del 2014 con quel Babadook che resta ancora oggi uno dei migliori horror degli ultimi dieci anni. Anche se le accuse di “compensazione” normalmente sono dietrologia spicciola, in questo caso è difficile non pensare a una sorta di “contentino” per ripagare Jennifer Kent delle numerose polemiche che hanno investito il suo film, prima perché l’unico del concorso diretto da una donna e poi perché, alla prima proiezione stampa, un sedicente critico cinematografico ha gridato alcune frasi sessiste all’indirizzo della regista. Al di là delle polemiche, il film risulta molto deludente a causa dell’eccessiva lunghezza, della descrizione profondamente manichea dei personaggi e della mancanza di quelle trovate di regia che avevano caratterizzato il precedente lavoro della cineasta.

Al contrario spiace per l’esclusione nel palmares di alcuni dei titoli più forti di quest’anno, a cominciare da Sunset, opera seconda di László Nemes, regista ungherese che con il suo primo lavoro, Il figlio di Saul, aveva vinto l’Oscar per il miglior film straniero. A bocca asciutta anche Olivier Assayas che avrebbe nettamente meritato il premio per la sceneggiatura per il suo Doubles vies, una lucida analisi sul mondo dell’editoria contemporanea e sul suo futuro, tra e-book, stampa on-demand e audiolibri, interpolandolo alle vicende dei protagonisti in modo armonico e mai artificiale. Invece ad “accontentarsi” del premio per la miglior sceneggiatura è stato The Ballad of Buster Scruggs, il nuovo film dei fratelli Coen, che ha diviso molto i giudizi a Venezia ma che meritava sicuramente un riconoscimento migliore.

Al di là del facile gioco dei premi, su cui ognuno può dire la sua, va rilevato che questa 75ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia ha visto una selezione riccamente interessante e una partecipazione molto più nutrita rispetto agli scorsi anni, segno che il lavoro di Barbera e dei suoi selezionatori sta dando i frutti sperati e che il Cinema è ancora vivo e seguito, specialmente dai giovani.