Uomini, boschi e lupi. E farfalle: addio all’infanzia

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Una storia che parla di un nonno, di un bambino e dell’ultimo lupo

di Anna Calonico

 

Non si spara alle femmine giovani

Non si spara alle femmine incinte

Non si spara alle femmine con i cuccioli

E non si spara ai cuccioli

Puoi sparare al massimo due colpi, poi devi rinunciare

Non si spara se a casa hai carne a sufficienza

Non si spara per divertimento

Non si spara di notte

Nel bosco non si fuma

Nel bosco non si spezzano rami

Nel bosco non si accendono fuochi

Non si rubano la frutta o la verdura che si incontrano lungo la strada

 

Sono nata e vissuta vicino alla foresta del Cansiglio, e ora, che la vita mi ha portata lontana da lì, credevo di poter ritrovare i silenzi e la voce dei boschi immensi soltanto nelle pagine di Mario Rigoni Stern.

Per fortuna mi sbagliavo: Francesco Niccolini, autore di testi teatrali per alcuni dei più famosi attori italiani, conosce la voce del bosco e lo ha dimostrato. Infatti ha scritto Il lupo e la farfalla, e lo chiamano libro per ragazzi (da 10 a 14 anni, dice la scheda tecnica), ma non sono d’accordo. Di certo è un romanzo godibilissimo per un giovane lettore, ma quante cose può spiegare a un adulto di oggi, “civile” e “moderno”! È ispirato a La grande foresta, libro e opera teatrale che lo stesso Niccolini ha scritto e messo in scena nel 2012 insieme a Luigi D’Elia, che firma un’entusiastica postfazione, ed è decorato da bellissimi disegni a matita ad ogni apertura di capitolo, opere significative di Carla Manea.

Scritto in maniera semplice e paziente, come una favola raccontata davanti al fuoco, Il lupo e la farfalla è intenso e avvincente, è una storia che parla di un nonno, di un bambino e dell’ultimo lupo. Ma se loro sono i protagonisti, che non vengono mai chiamati per nome, ad indicare che c’è qualcosa di più grande e importante di loro, lo scenario è in tutto e per tutto il bosco con il suo equilibrio, e le tematiche sono l’amore e il rispetto per la natura e il sorpasso dell’infanzia. Anche in Jack London i ragazzi diventavano adulti confrontandosi con i lupi, ma quello che succede al ragazzino di questo libro non è coraggio e avventura: è rimorso, consapevolezza, rabbia, espiazione. Forse, ma soltanto forse, giustizia (ma sarebbe meglio dire vendetta).

Ci troviamo nel dopoguerra, quando ancora l’energia elettrica faticava ad arrivare in montagna, e i bambini andavano a scuola a piedi, quattro chilometri all’andata e quattro al ritorno, alzandosi con il buio e il gelo d’inverno; quando la povertà era una compagna di vita e permetteva di mangiare per mesi soltanto un po’di polenta, patate e cavolo, e la caccia si rendeva necessaria per sfamare intere famiglie. Nonno e bambino, che abitano in montagna, presso un bosco, in un paese sconosciuto, sono rimasti soli con un cane bastardino, hanno perso prima nonna e mamma, e poi, con quella lettera dalla Russia, il papà che aspettavano da quando era finita la Guerra. Nonno, bambino e cane conducono la loro vita povera e dignitosa, fatta di tante camminate, tanta fatica, tanti insegnamenti, tante scoperte.

Si parla di caccia, in questo libro, e io per prima ho storto il naso, ma per fortuna il capocaccia è il nonno: «E lui lo faceva con grande rispetto, degli animali e del bosco. Sparare non è un gioco, e lui che aveva fatto la guerra lo sapeva bene» (p. 21). Concetto ribadito più e più volte: «Nella caccia deve esserci qualcosa di più del semplice uccidere, perché la morte è sacra quanto la vita» (p. 30); «La caccia non è solo sparare: si spara se c’è la preda giusta, sennò anche un solo colpo è di troppo e rischia di essere un errore. La caccia è anche tutto il resto: cercare le orme, seguire il cane, riconoscere le cacche, capire da che parte tira il vento e mettersi nella direzione favorevole, che se gli animali sentono il tuo odore scappano come se ti fossi messo a gridare» (p. 55). E ancora: «Comprese che non doveva approfittare della superiorità del suo fucile […] Ogni volta che uccideva un animale aveva imparato a dire: D’ora in poi la mia condotta sarà degna del tuo sacrificio» (p.103), e infine: «La caccia non deve essere un massacro per gli animali, e nemmeno per il bosco […] Chi pensa di fare quello che vuole è stupido e dovrà vedersela con me» (p.22). Dove sei, nonno? Adesso ci sarebbe tanto bisogno di uomini come te, che insegnano le regole severe della caccia e dell’andar per boschi.

Seguendo le esperienze del bambino e gli insegnamenti del nonno si imparano molte cose sulla vita tra gli alberi, sulle tracce lasciate dagli animali, sul loro comportamento (il lupo lo sa che non deve avvicinarsi o attaccare un uomo, perché lo sa che non esiste un animale più pericoloso e violento!), si resta meravigliati nel paradiso delle farfalle dalle ali nere, si sente nelle narici l’odore umido della terra e della legna, si resta ad ascoltare il silenzio della neve.

Queste pagine sono pura poesia, e pian piano ci fanno crescere: si entra nel bosco di notte, si comincia a sparare alle scatole di latta… e bisogna ricordarsi di non fare cose sciocche, nel bosco. Bisogna ricordarlo sempre, perché l’unica volta che il bambino se lo dimentica, la sua vita (e quella del nonno, e quella del bosco e delle sue creature) cambia per sempre e «non si torna indietro, mai» (p. 150).

Il bosco è «il posto più bello e sicuro della Terra, ma solo se non si fanno cose sciocche» (p. 10), perché segue le sue regole, e se da queste nasce qualche tragedia, allora la colpa è dell’uomo, perché è sempre l’uomo a distruggere tutto, e non può più porvi rimedio. L’infanzia del protagonista finisce con un errore che gli grava sul cuore e sulla mente, un errore che non può più cancellare e che cerca invano di scordare. Quando, per dimenticare, si trova davanti al lupo morto, allora capisce che un animale ucciso non è una soluzione, e chi lo pensa è un bugiardo, e badate bene a questa parola, perché non è un’offesa da poco. Allora piange, il bambino, piange amaramente. Quelle lacrime, ne sono sicura, saranno condivise da molti lettori, e sono un triste passaggio all’età adulta, che nel libro coincide anche con l’età moderna: è arrivata la luce nelle case, dentro una piccola sfera di vetro che si appende a dei fili che attraversano le strade, è arrivato un pulmino per portare i ragazzi a scuola, sono arrivate tante cose belle e comode, anche se il nonno non ne è felice. Ma sono arrivati anche gli uomini che tagliano gli alberi per costruire altri pali della luce, e una ferrovia lunga come tutta l’Italia. Sono arrivati i nuovi cacciatori, quelli che non vogliono ascoltare il nonno e le sue regole, quelli che non conoscono il Signore del Bosco, quelli che non hanno rispetto del sacrificio delle vite che rubano. Sembra che tutto vada a rotoli, che la bella vita sia finita, ma il libro si chiude (e si apre) con il bambino cresciuto, ormai anziano, che non ha mai dimenticato gli insegnamenti del nonno e che continua, anno dopo anno, a tornare nel paradiso delle farfalle dalle ali nere per rendere omaggio al bosco, al sacrificio degli animali, al nonno, al lupo e al suo fucile sotterrato con esso.

Il bambino ci appare quindi come l’ultimo supereroe di una vita destinata a scomparire, e più le pagine da leggere diminuiscono, più ci troviamo a pensare che non è giusto che finisca così, allora seguiamo l’insegnamento del bambino, e recitiamo la formula magica per far avverare i desideri: ma attenzione, va ripetuta sette volte.

 

 

Francesco Niccolini

Il lupo e la farfalla

Mondadori, Milano 2019

  1. 161, euro 16,00