VITA E DI MORTE DI UN EROE DELLA DEMOCRAZIA
STORIA
VITA E DI MORTE DI UN EROE DELLA DEMOCRAZIA
Una mostra ripercorre attraverso le immagini vita e morte del deputato socialista Giacomo Matteotti
di Nicola Coccia
In mostra alla Camera dei deputati fino al 7 novembre ci sono quattrocento immagini che raccontano la vita e la morte di Giacomo Matteotti, fotografie che raramente è possibile reperire. In parte sono quelle che la vedova, Velia, commissionò a Adolfo Porry Pastorel, un grande fotografo romano, (v. Il Ponte rosso n. 72 del settembre 2021), che aveva una particolare abilità nel cogliere e “raccontare” visivamente gli aspetti più vili del regime fascista. Porry Pastorel attrezzò un grosso furgone con camera oscura per spostarsi da un luogo all’altro e battere sul tempo perfino gli operatori dell’Istituto Luce. Queste foto – importanti perché il regime fece sparire tutto ciò che si riferiva al segretario del Partito Socialista – sono state donate, insieme a tutto l’archivio della famiglia Matteotti, alla Fondazione Turati, che ha sede a Firenze.
Ci sono le foto dei genitori di Matteotti, Gerolamo e Elisabetta, che a Fratta Polesine, in provincia di Rovigo, mandavano avanti una merceria con ferramenta. Tra esse, le foto dei suoi due fratelli maggiori, morti a distanza di un anno l’uno dall’altro per una forma di tubercolosi: il primo, Matteo, all’età di 33 anni e l’altro, Silvio, a 23 anni. Giacomo nacque nel 1885. Si laureò nel 1907 discutendo una tesi di diritto procedurale penale sui Principi generali di recidiva.
Da tempo aveva idee politiche ben chiare. Si era iscritto al Psi appena tredicenne e si impegnò subito nell’organizzazione di circoli e leghe cooperative a favore dei contadini e degli operai del Polesine. L’anno dopo la laurea venne eletto nel consiglio comunale di Fratta e successivamente in una serie di piccoli comuni. C’è ina foto scattata nell’estate del 1912 a Boscolungo, all’Abetone, dove Matteotti incontrò per la prima volta la moglie, Velia Titta, sorella del celebre baritono Titta Ruffo. Il padre, Oreste, era un abile “artefice del ferro battuto”. Velia, pisana, era più giovane di Matteotti di cinque anni. A 18 anni aveva dato alle stampe due volumi: Primi versi ed è l’alba. C’è la foto scattata dallo stesso Matteotti durante il viaggio di nozze a Firenze, nel gennaio 1916. L’immagine è presa dal lungarno Vespucci e inquadra l’Arno e la chiesa del Cestello. Ma il 1916 è anche l’anno in cui, a causa del suo irriducibile rifiuto della guerra, Matteotti venne processato per disfattismo, assolto in Cassazione, richiamato alle armi e mandato nel luogo più lontano da tutti i suoi contatti: la Sicilia. Venne congedato tre anni dopo, nell’agosto 1919.
Non mancano le foto dei figli: Giancarlo, Matteo, come suo fratello, e Isabella. C’è un’immagine che lo ritrae ad Asolo il 21 aprile 1924 al funerale della Duse.
E poi l’omicidio, documentato dalle foto di Porry Pastorel.
L’assassinio maturò dopo il discorso che Matteotti tenne alla Camera il 30 Maggio 1924 e durante il quale, sebbene interrotto decine di volte, denunciò i pestaggi e le violenze che avevano impedito agli aventi diritto di recarsi a votare liberamente il 6 aprile, il che aveva consentito a Mussolini di prendere il 64,9% dei voti e 374 seggi. Il parlamentare socialista stava per rendere pubblica anche l’operazione Sinclair Oil con la quale il regime tentava di dare in concessione i diritti per la ricerca petrolifera in Italia al colosso americano Standard Oil, con gravi danni per il nostro Paese. Alla vigilia di queste rivelazioni Matteotti, mentre si incamminava verso Montecitorio, venne affiancato da un’auto, fatto salire sulla vettura, sequestrato, accoltellato e ucciso lo stesso giorno. Il corpo fu ritrovato due mesi dopo.
C’è la foto dell’auto, una «Lancia Kappa», servita per rapire il deputato alle 16,30 del 10 giugno 1924 nel lungotevere Arnaldo da Brescia, guidata dal fiorentino Amerigo Dumini (si veda anche l’articolo che ne ricostruisce la tragica biografia sul n. 92 del Ponte rosso del maggio 2023). Presenti tra le altre le foto dei tre testimoni – lo spazzino Giovanni Pucci e i ragazzi Amilcare Maccagna e Renato Barzotti – che annotarono la targa della vettura (Roma 55 – 12169) di proprietà del Corriere Italiano, dove lavorava Dumini. C’è la foto del tesserino di deputato che Matteotti fece in tempo a lanciare dal finestrino per lasciare una traccia del suo sequestro. Ci sono le foto delle ricerche compiute dal presidente della sezione di Accusa, Mauro Del Giudice, e del Pm Umberto Tancredi. Documentata fotograficamente anche la fossa nel bosco della Quartarella, 25 chilometri da Roma, dove il corpo di Matteotti venne ritrovato due mesi dopo, il 16 agosto. Ci sono le foto dei suoi abiti insanguinati. E i pantaloni, sequestrati nella valigetta di Dumini, già tagliati in venti pezzi, forse per farne dei «trofei», che sono stati poi ricuciti. Porry Pastorel fissò in uno scatto l’immagine, non in mostra, della lima, messa all’asta dei corpi di reato dopo il processo di Chieti e acquistata da un maggiore della Milizia, l’esercito delle camicie nere. Molti hanno creduto che Matteotti fosse stato ucciso con quella lima. Venne, invece, conficcata sulla sua tomba probabilmente per riconoscerla in caso di necessità. I medici incaricati dell’autopsia, i professori Massari e Bellussi, hanno chiarito nelle duecento pagine consegnate ai magistrati, che il segretario del Partito Socialista venne assassinato con uno o più colpi di arma da taglio inferti nella parte superiore del torace. Ed esclusero che la lima – sulla quale non c’erano tracce di sangue o di tessuto umano – fosse stata usata per compiere l’omicidio.
Le immagini in mostra alla Camera, sono drammatiche. In parte fanno luce su alcuni aspetti della vita dell’uomo e del politico, ma in parte sono destinate a riaprire una pagina, forse la più nera della nostra storia, perché non consentono di mettere la parola fine a questa vicenda. L’omicidio Matteotti, infatti, non è stato mai ricostruito compiutamente. Del processo e del delitto si conoscono solo le carte che sono state fatte arrivare alla parte civile e che uno degli avvocati, il deputato socialista fiorentino Ferdinando Targetti, consegnò a Salvemini, il quale le donò alla London School of Economics dove insegnava. E poi due particolari: la giacca e la fossa. La giacca del segretario del Partito Socialista venne ritrovata sotto un ponticello. I periti dissero che non poteva essere lì da due mesi. Era asciutta, ben conservata, quasi con cura, perché c’erano tracce di una regolare ripiegatura. La fossa dentro la quale venne rinvenuto il corpo di Matteotti aveva una profondità di 40 centimetri ed era lunga poco più di un metro. è plausibile che fosse stata quella la vera tomba di Matteotti?
La mostra –intitolata “Giacomo Matteotti: un ritratto per immagini” – organizzata per il centenario dell’assassinio del segretario del Psi da parte dei fascisti, si è aperta il 26 settembre alla presenza delle più alte cariche dello Stato. L’iniziativa è stata promossa dal Comitato nazionale per le celebrazioni della morte di Giacomo Matteotti e dalla Camera, d’intesa con la Fondazioni Filippo Turati e Giacomo Matteotti. L’esposizione è accompagnata da un volume di 400 fotografie curato dagli studiosi Stefano Caretti e Maurizio Degl’Innocenti.
Dopo Roma, la mostra girerà in diverse città italiane ed estere, fino a comprendere l’intero anno scolastico 2024-2025.