Vite regalate

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di Anna Calonico

 

 

La narrativa spesso accompagna il lettore per mano, come un amico rassicurante, in un percorso difficile.

Come ha fatto Michela Murgia con Accabadora, che nella storia di Maria Listru parla di eutanasia, o come ha fatto Francesco Abate, che in Torpedone trapiantati (Einaudi stile libero, Torino, 2018, pp. 141, € 15) racconta come vivono i “figli del dono”. Così vengono chiamati nel libro i personaggi, perché, come suggerisce il titolo, sono tutte persone rinate a una seconda vita dopo aver ottenuto un trapianto, un nuovo organo che ha permesso alla loro prima vita, quella malata, di non finire, ma di trasformarsi: Noi trapiantati, a differenza dei malati di malattie altrettanto gravi ma incurabili, abbiamo avuto una seconda possibilità. (p.87)

La trama del libro è molto semplice: Francesco, figlio del dono da dieci anni, partecipa ad una rimpatriata di trapiantati, una gita assurdamente allegra e strampalata in cui due corriere di sopravvissuti, accompagnati dai loro familiari, si ritrovano a condividere gioie e dolori, ansie, paure, effetti collaterali e persino antidolorifici e farmaci antirigetto, in una sorta di spaccio altruista. È una storia a volte dura e commovente, come quando il protagonista inizia dialoghi immaginari con Cinzia, la donna che con la sua morte gli ha offerto un nuovo fegato e una nuova vita, a volte addirittura esilarante, come quando racconta del rapimento di due trapiantati che vengono fatti uscire di nascosto dall’ospedale, su carrozzine destinate al macero, o quando si viene a scoprire che “figli del dono”, quella definizione perfetta, era in realtà destinata ad un’associazione di ex prostitute promossa da delle suore. Nel torpedone dei trapiantati ci sono persone differenti come età, come storia privata e come storia clinica, ma tutti hanno in comune il fatto di aver aspettato a lungo una salvezza, di essere stati tagliuzzati, di aver ricevuto una nuova, lontana scadenza. E di avere la possibilità di essere felici. Perché, come dice Cinzia:

  • Ti sei preso una bella responsabilità, Checco. Lo dovevi mettere nel conto quando hai firmato il consenso a farti trapiantare.
  • Lo so, mi sono preso una bella responsabilità a prenderti la vita, Cinzia.

 

  • No, non ci siamo capiti. La responsabilità che ti sei preso è di essere felice, sennò che senso ha ciò che ti ho donato? Vivi felice, Checco. Me lo devi. (pp. 43-44)Copertina:
  • Bisogna dire la verità, non è un capolavoro come romanzo. I personaggi, per quanto ricalcati dalla realtà (ognuno di loro rappresenta un vero trapiantato sardo conosciuto dall’autore), a volte assomigliano a delle macchiette delle commedie, sono descritti tutti, anche gli “antipatici”, con un tale buonismo, con una tale simpatia, da non risultare del tutto credibili, ma interviene spesso Cinzia, che riporta bruscamente il lettore in un mondo reale e inquietante. Non è un capolavoro, ma ha il grande pregio di colpire il lettore nel profondo, facendogli capire che c’è una realtà tutto intorno che rimane nell’ombra ma che combatte con coraggio e paura, con dignità e con debolezza, con fragilità e voglia di vivere. Non ci si pensa mai a quanta gente fatica a vivere, a quanti sforzi costano alcune esistenze, ma il bello della narrativa è che ci porta per mano anche in realtà sconosciute, ci fa entrare in storie scomode, che fanno pensare.

Francesco Abate

Torpedone trapiantati

Einaudi, Torino, 2018

  1. 141, euro 15,00