Wenders e il vuoto dell’attesa

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di Stefano Crisafulli

 

‘La vita è a colori, ma il bianco e nero è più realistico’. Il regista tedesco Wim Wenders, nel film Lo stato delle cose (Der Stand der Dings), fa dire queste parole al direttore della fotografia Joe Corby, interpretato dal decano dei registi americani Samuel Fuller. Ed è una dichiarazione d’intenti vera e propria, visto che molti dei film di Wenders saranno volutamente in bianco e nero, compreso, appunto, Lo stato delle cose, vincitore del Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia del 1982. La storia del film è piuttosto articolata, in quanto si tratta principalmente di una riflessione sul cinema: il protagonista è proprio un regista, Friedrich Munroe (impersonato da Patrick Bauchau), che è anche l’alter ego di Wenders stesso. Nei pressi di una spiaggia di Sintra, in Portogallo, e di un albergo fatiscente con vista oceano si sta girando un film di fantascienza, The survivors (I sopravvissuti). Inizialmente le immagini si aprono sulle riprese e chi guarda è portato a credere che quello sarà il soggetto di tutto il film, invece è solo un prologo, perché ad un certo punto la troupe si rivela e lo sguardo si focalizzerà su di essa. Malauguratamente la pellicola è finita, i soldi anche e il film viene sospeso sino a che il produttore Gordon, scomparso dal set a metà riprese, non si farà di nuovo vivo.

Da quel momento in poi comincia il nucleo semantico del film, che si basa sul vuoto dell’attesa. Come in una sorta di ‘Fortezza Bastiani’ di buzzatiana memoria, i membri della troupe aspettano che il film riprenda e intanto cercano di occupare il tempo con altre forme di espressione (la scrittura, la fotografia o la pittura). Alcuni sono alle prese con problemi personali, altri provano a tessere nuove relazioni e intanto il tempo passa, ma è proprio questo vuoto, così simile alla non eccezionalità degli eventi quotidiani, che il film vuole evidenziare. Come scrive Filippo D’Angelo, nel ‘Castoro’ dedicato a Wenders: ‘Piuttosto che l’artificiosa pienezza della vecchia storia del film da realizzare, merita di essere descritta l’attesa della troupe, il vuoto diegetico che si apre tra gli eventi e i personaggi della vita’. A contribuire all’atmosfera di vaga inquietudine e di indeterminatezza sono i luoghi e le musiche. Per quanto riguarda i primi, l’albergo abbandonato nel quale abitano i ‘sopravvissuti’ della troupe mostra già la situazione di desolazione e di sospensione dovuta all’interruzione delle riprese che attori e operatori stanno vivendo, mentre l’Oceano, con la sua vastità bella e terribile magistralmente ritratta in alcune inquadrature, quasi a ricordare le foto di Salgado, segna allo stesso tempo un confine fisico e una distanza quasi incolmabile con il continente americano. Ma Friedrich dovrà colmare quella distanza, lasciando il Portogallo, terra dal grande fascino (tanto che Wenders ci tornerà per girare uno dei suoi capolavori, Lisbon story), per fare scalo a Los Angeles. Lì si metterà alla ricerca di Gordon, prima recandosi alla casa di produzione e poi, non avendo ottenuto alcuna informazione, aggirandosi per le strade della città. Fino alla resa dei conti.