8 MARZO Beatrice

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Esce postumo Le donne di Dante (Il Mulino 2021), occasione per riconsiderare il ruolo delle donne nella vita e nell’opera del poeta.

di Francesco Carbone

 

«Molte volte l’apparizione della donna amata produce un effetto traumatico […], un istantaneo smarrimento in cui alla perdita ella vista può associarsi quella della coscienza.»

(Marco Santagata, Le donne di Dante, Il Mulino 2021)

 

«L’amore è una passione spontanea che procede dal vedere e dal pensare senza misura alla bellezza di una persona dell’altro sesso, per cui uno desidera più di ogni altra cosa di ottenere gli amplessi dell’altro e di compiere nell’amplesso con volontà comune tutto ciò che l’amore insegna.»

(Andrea Cappellano, De amore 1185)

 

Che Vita nova, Convivio e Divina Commedia (per non dire le opere in latino) non si leggano poi tanto, lo constatava già Gianfranco Contini nel classico Un’idea di Dante, ed era il 1970. Probabile, anche se nessuno ce l’ha detto, che siamo finiti nel tempo in cui il numero degli esperti di algoritmi per schedare miliardi di clienti ha superato di molto quello di persone capaci di leggere con gioiosa dimestichezza «il libro più bello del mondo» (J. L. Borges, Nove saggi danteschi, Adelphi 2001). Pare proprio che il leggere in sé si stia restringendo a una pratica da alta scuola: «leggere un romanzo è un’arte difficile e complessa» scriveva Virginia Woolf già nel 1925 (Come leggere un libro, Passigli 2012); figurarsi un poema in terzine incatenate del primo Trecento, o il giovanile prosimetro in cui Dante ha raccontato come sbocciò il non poco ermetico amore per Beatrice.

Anche se mai come quest’anno si vendono e si comprano libri più o meno buoni sull’autore della Commedia e sulla sua vita, sconosciuta perfino più di quella di Shakespeare, Dante è sempre più una stella in fuga che ci parla in una lingua misteriosa. Certo si potrebbe provare a ragionare dei nuovi saggi che stanno uscendo in occasione del 700° come se tutto ciò non fosse, ostinati a credere di essere nel migliore dei mondi possibili, ma faremmo del male prima di tutti a noi stessi.

 

L’opera di Dante è il messaggio che un naufrago – prima figura con cui si paragona all’inizio dell’Inferno – affida una bottiglia lanciata in un mare in tempesta. Il sentimento del naufragio, del disastro, della bufera infernal in cui la Commedia è nata non dovrebbe lasciare mai il suo lettore, se vuol ritrovare il brivido di un qualche contatto vero col Capolavoro: opera stupefacente e fallita.

Cosa è infatti la Commedia? «Certo una profezia» (G. Contini), che però è stata totalmente smentita dalla “storia”: nessun Veltro è venuto a convertire l’umanità. Il silenzio di Dio si ostina enigmatico: «o difesa di Dio, perché pur giaci?» chiede perfino san Pietro (Par. XXVII 57) senza risposta.

Non è affatto friendly la Commedia, e non per difficoltà filologiche, ma proprio per quanto cerca ostinatamente di dirci, e che non possiamo più ascoltare. «Non c’è più la cristianità», scrive all’inizio del suo commento Anna Maria Chiavacci Leonardi (Inferno, Mondadori 1991); e il teologo Inos Baffi spiega la nota incomprensione del Paradiso col fatto che la terza cantica non potrà essere compresa «se non da quanti siano in accordo con la sua sostanza», che è cristiana (I. Baffi, Di luce in luce, Jaca Book 2000). Ma se il Paradiso è questo, cosa sarà mai per noi Beatrice che ne è la guida? E non solo la Beatrice della Commedia, ma già la giovane di paradisiaca bellezza che sfiora e stravolge l’esistenza di Dante nella Vita nova.

 

Marco Santagata, purtroppo venuto a mancare nel novembre del 2020, ha scritto cose importanti su Dante che ci possono aiutare a capire. Facilmente accessibili sono L’io e il mondo. Un’interpretazione di Dante (Il Mulino, 2011), Dante. Il romanzo della sua vita (Mondadori, 2013) e Il poeta innamorato. Su Dante, Petrarca e la poesia amorosa medievale (Guanda, 2017).

Esce postumo Le donne di Dante (Il Mulino 2021), che essenzialmente è il frutto di un lavoro di selezione e ricomposizione di brani dei testi appena citati; non aggiunge nulla di nuovo a quanto anche molto intelligentemente aveva già scritto, ed è quindi utile per chi non possiede i titoli precedenti. È un’epitome che vuol essere ancora più accattivante per la gran quantità di immagini che accompagna la lettura, benissimo riprodotte e sulle quali torneremo un attimo alla fine.

Santagata qui ci ripropone un percorso nella vita di Dante presentando le donne come stazioni della sua vita: dalla madre alla moglie Gemma alla figlia Antonia, nessuna di queste nominate dal poeta, a Beatrice, ad altre chissà se solo poeticamente amate, quindi a gran parte delle figure femminili presenti nella Commedia.

 

Forse ancora di più che in altre letture – ed è un grande merito dell’autore – misteriosissima ci si rivela Beatrice. Santagata ci mostra quanto il racconto della Vita nova sia allo stesso tempo rituale e stupefacente, fatto di presentimenti, di segni labilissimi eppure traumatici: dentro un racconto controllato da «una fortissima reticenza» (E. Pasquini, Vita di Dante, Rizzoli 2006), seguiamo i segni enigmatici di «una storia d’amore unitaria, anche se, o proprio perché, in gran parte inventata». Viene in mente la Manon Lescaut di Prevost (1731): anche Beatrice è una donna di cui si descrive quasi solo l’effetto che la sua bellezza ha su Dante e sugli altri, restando per il resto quasi «senza corpo»: del corpo di Beatrice Dante non ci concede che gli occhi verdi e la carnagione di perla. Santagata è finissimo quando ci mostra come, nella Vita nova, il quasi niente di Beatrice implichi una serie di violazioni sia del codice rigidissimo imposto al comportamento delle donne che dei rituali dell’amor cortese e dagli stessi stilnovisti. Tenendo sotto gli occhi quanto prescriveva nel Reggimento e costumi della donna Francesco da Barberino (1348) e quanto raccomandavano i predicatori, Beatrice ci appare finalmente straordinaria: a Beatrice in qualche modo non sfugge lo sguardo di Dante in chiesa, né per strada procede col capo chino per evitare le occhiate degli altri, ma per suo spontaneo desiderio saluta Dante: un gesto «doppiamente trasgressivo. È il gesto di una dama che assume l’iniziativa» e, cosa ancora più incomprensibile per gli stessi amici di Dante, non è un segno di interesse erotico ma «rimanda sotterraneamente alla figura di Cristo portatore di salvezza universale»: per Dante infatti, Beatrice è una salvatrice universale, capace di suscitare amore in chiunque la veda. Non c’è più coincidenza tra amore e nobiltà d’animo: «l’idea che Beatrice possa suscitare amore in tutti è talmente sconvolgente da poter essere presentata come una rottura dell’ordine naturale», tanto più perché il potere di far nascere amore dove non c’è nulla dovrebbe essere solo di Dio…

Già rispetto alla Laura di Petrarca, Beatrice è dunque una figura numinosa e un «fantasma eroticamente sterile». Per questo l’amore di Dante non potrà che essere pura lode poetica, senza desiderio, senza aver nulla da sperare se non di trovare in sé la forza di un compito del tutto privo di modelli. Nessuno capirà Dante. Il classico amore cortese era passione: lo spontaneo desiderio del «cuore e del corpo» degli amanti di Chrétien de Troyes (Cligès, 1176), la «immoderata cogitatio» di Andrea Cappellano (De amore 1185), il disordine quasi mortale di Guido Cavalcanti. Per Dante, quello sarà l’amore rovinoso – il talento – di Paolo e Francesca, non il suo. Si arrivò persino allo sberleffo dell’omonimo Dante da Maiano, che alla richiesta dell’Alighieri, all’inizio della Vita nova, di aiutarlo a capire un sogno, rispose con un consiglio salace: «che lavi la tua coglia largamente, / a ciò che stinga e passi lo vapore».

Santagata ci racconta anche come dopo Beatrice, Dante si perde, facendosi affascinare da «una pluralità di ispiratrici». Ognuna ha la sua parte nel libro, ma ovviamente è Beatrice che tiene il campo.

 

Quanto alle immagini: l’editore ci dice che le circa trecento figure sono state scelte «a una a una» con l’autore. Ciò non toglie che lascino un certo effetto di straniamento. Si fa fatica a intuirne la logica: perché il Forese Donati in Purgatorio del Doré (1861) e subito dopo l’Inferno con Mastro Adamo e Sinone di Giovanni Stradano (1587)?… e poi ancora I falsari di Bourguereau (1850) seguiti dal capolettera di un manoscritto del XIV secolo? L’insalata russa continua: dopo una serie di Beatrici preraffaellite e del più oleografico Ottocento, c’è una Laura con Petrarca del XVI secolo, una Monna Vanna – la donna di Cavalcanti – di nuovo di Dante Gabriel Rossetti, e poi la Beatrice (XIV secolo) di Andrea Bonaiuti… Dominano – vedi la scelta della copertina – i preraffaelliti, che anche per Gianfranco Contini tradivano col loro kitsch Dante più di una cattiva parafrasi.

 

 

Marco Santagata

Le donne di Dante

Il Mulino 2021

  1. 424, euro 38.00