Il palazzo di destra è un po’ sinistro

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di Roberto Curci

 

  1. A. A. Palazzone vendesi. Chissà che a Trieste qualche Grande Ottimista non s’inventi un altro albergo a cinque stelle, dopo i troppi già in progetto, nell’illusione di un domani meno crudele e di un ritorno agli anni beati del turismo a tutto gas. C’è da chiederselo dopo aver appreso che pure il Palazzo RAS di Umberto Nordio (non quello omonimo dei Berlam, già hotel sontuosamente fatto e finito) è in vendita, in blocco, al miglior offerente.

Ultimo arrivato a chiudere, sulla destra, il semicerchio della cosiddetta Esedra Oberdan dopo il Palazzo TELVE, la Casa del Balilla (entrambi oggi sedi della Regione FVG) e il Palazzo INA con la connessa Casa del Combattente, il Palazzo RAS è in effetti un ghiotto boccone per acquirenti con parecchi milioni in scarsella. Datato 1936 e vincolato da oltre mezzo secolo dalla Soprintendenza, è un bell’esempio di impianto costruttivo razionalista ma non ultra-piacentiniano, e gode di un nitore dovuto anche alla profusione di pietra d’Orsera utilizzata nella sua edificazione (tra parentesi, durata un solo anno: dal gennaio ’35 al marzo ’36).

Vi spiccava il grande marchio della compagnia assicurativa: un rilievo scultoreo collocato curiosamente all’altezza del terzo piano, sul lato della via Carducci, raffigurante il Leone di San Marco, opera di un Ugo Carà poco più che ventenne. Si è scritto correttamente: vi spiccava, dato che il manufatto è andato perduto – rimosso o distrutto? – per indecifrabili ragioni durante il periodo in cui la proprietà dell’edificio era di una tal società Alikè, poi rumorosamente fallita. E della sua oscura fine nessuno, pare, ha pagato il fio.

(Riflessione che non c’entra: il Leone, già, emblema della RAS dal 1857. Curioso: le due storiche rivali triestine, Riunione Adriatica e Assicurazioni Generali, ebbero dunque lo stesso “logo”. Salvo che le Generali lo adottarono soltanto per la sede veneziana, mentre sulla centrale triestina – dunque K.u.K. – vegliava dalla nascita, 1831, l’asburgica aquila bicipite).

Del resto non era, il Leone di Carà, l’unico pregio artistico del palazzo. Vi sopravvivono tuttora, inamovibili a meno di devastanti sventramenti, le decorazioni dell’atrio: pitture murali e pavimento mosaicato, frutto della collaborazione tra un artista ferrarese già affermato, Achille Funi (futurista, poi tra i fondatori di Novecento), e la sua allieva e compagna Felicita Frai (recte Frajova), giunta a Trieste da Praga. Ci si cammina sopra senza vedere e senza sapere, così come, nei venti mesi dell’Adriatisches Küstenland, sui graziosi mosaici di classicistico aplomb, risuonò il passo degli stivaloni degli ufficiali SS, che qui, in quel tempo orribile, ebbero il loro Comando.

Non fosse che per questo inquietante precedente storico, c’è chi potrebbe pensare – i titolari di Alikè, ad esempio – che il Palazzo RAS di piazza Oberdan non porti bene a chi lo possiede o vi abita o vi apre uffici e studi. Certo non portò bene a quanti là furono trascinati e torturati prima di finire in Risiera. Li riassume e incarna tutti – ma la triste vicenda è piuttosto nota – la figura del giovane studente universitario Pino Robusti, arrestato dai soldati tedeschi proprio in piazza Oberdan mentre attendeva la fidanzata Laura, il 19 marzo del ’45. Finì lui pure in Risiera e a Laura, prima di venire assassinato, riuscì a far avere una lettera d’addio, «in previsione di un epilogo fatale e impreveduto». «Anche se io non dovessi esserci più, ti seguirò sempre…» le scrisse tra l’altro. E basterebbero queste parole di un ragazzo di ventidue anni a far riflettere i candidati acquirenti del Palazzo RAS, sul quale questi ricordi – e forse qualche fantasma – ancora aleggiano.

Ma no, business is business, si sa. E dunque buoni affari e buona fortuna al futuro proprietario del futuro albergone, se davvero sarà questa la sua destinazione d’uso. Che di Pino Robusti, ovviamente, nulla saprà, e neppure di Boris Pahor e degli altri sventurati che di là transitarono. E, men che meno, del Leone misteriosamente scomparso.