8 MARZO Lisette Model: fotografare è porre una domanda

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Una bella mostra a Camera – Centro Italiano per la Fotografia di Torino

di Michele De Luca

 

Nel catalogo (preziosissimo) di una sua lontana mostra, nel 1984, alla Ikona Gallery di Venezia, creata dalla pittrice croata Živa Kraus nel cuore del Ghetto Nuovo – dove l’ho incontrata e recensita per la prima volta – si legge, tra l’altro in una preziosa testimonianza di un’altra grande fotografa americana, Berenice Abbott: «Non conosco nessun fotografo che abbia ritratto la gente così nell’intimo come ha fatto Lisette Model. I suoi personaggi sono i bersagli diretti della visione di un’artista. Possiede quell’indispensabile rapporto con persone delle più svariate specie e categorie. Si sente a proprio agio con qualsiasi tipo di persona. Prova un sentimento per loro e li capisce. Adopera la macchina con tutto il suo corpo e come un’appendice del suo stesso occhio. è come se ci fosse una risposta ansimante alla vita, temperata da quella che si rende necessaria alle esigenze della macchina fotografica. Nelle mani dell’artista, la fotografia non è semplicemente un documento Una delle prime reazioni nell’osservare le foto della Model è che ti fanno sentire bene. Le riconosci come reali, perché le persone reali, vere, esprimono in ognuno di noi un pizzico di umanità universale».

Lisette Model (Vienna 1901 – New York 1983; nata Elise Amelie Felicie Stern), nota per l’umanesimo schietto dalla sua street photograpy, fa parte di quella gloriosa generazione di donne che hanno con coraggio intrapreso la professione di fotografe che sono riuscite, attraverso l’obbiettivo, ad abbattere i pregiudizi di una pratica considerata prima di loro “maschile”, volendo non inseguire il successo, ma scegliendo di lavorare anche in situazioni di disagio e di pericolo. Si tratta di donne, come – per ricordarne solo alcune – Dorothea Lange, Lee Miller, Florence Henri, Margaret Bourke-White, la nostra Tina Modotti,  la stessa Abbott – che hanno contribuito a cambiare i costumi, ad emanciparsi, per conquistare il loro posto in uno spazio difficilmente accessibile per loro, contribuendo a fare grande la storia della fotografia.

Nata in una famiglia benestante, colta, di religione ebraica, da padre di origini italiane e austriache e da madre francese. Dopo aver studiato pittura, si trasferì a Parigi dove si dedicò allo studio del canto e, a ventisei anni, si sposò con Evsa Model, un pittore ebreo russo residente a Montparnasse. Nella ville lumière e anche sulla Costa Azzurra incomincia già a fotografare: bellissima la sua serie di immagini La promenade des Anglais, dove già si intuisce la strada che vuole percorrere con la fotografia. La seconda guerra mondiale e l’avvento del nazismo in Europa spinsero la coppia verso gli Stati Uniti dove Lisette incominciò a fare dell’obiettivo il suo strumento di lavoro, facendo i suoi primi esperimenti con la Rolleiflex della sorella, seguendo i consigli della sua amica e fotografa Elisabeth Sali, moglie del grande fotografo Andrè Kertész. Presto adottò un suo stile personale. Grazie ad un approccio diretto e senza compromessi e ad uno sguardo acuto seppe identificare i lati peculiari dell’universo umano. La “fauna” umana di New York l’attrae irresistibilmente, immergendovisi totalmente, come il marito Evsa fa con la pittura. Punta il suo obiettivo con una capacità di “vedere” che, però, più di lui cerca il coinvolgimento con la realtà con la consapevole responsabilità di registrare la vera immagine del mondo oggetto della sua osservazione. Una ricerca assolutamente non estetizzante (a parte forse alcune foto del 1940, Running legs e Wall Street – ad esempio – in cui il passaggio fugace dell’uomo si contrappone alla geometrica immobilità di marciapiedi e palazzi: qualcosa che sembra richiamare i quadri di Evsa), non preoccupata di proiettare il proprio io, ma di essere lei a farsi “catturare” dal bersaglio della sua percezione senza preconcetti, senza la pretesa di verificare proprie precostituite schematizzazioni. è lei stessa a dirci: «Quando punto l’obiettivo su qualcosa è come se ponessi una domanda. E la fotografia qualche volta ne è la risposta».

Alla Model (in una originale “accoppiata” con il fotografo tedesco, anche lui naturalizzato statunitense, Horst P.Horst)  è dedicata una bella mostra è in corso a CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino, curata da Giangavino Pazzola, il cui percorso ripropone il suo lavoro attraverso alcune delle opere più iconiche, accostate a immagini e progetti meno conosciuti, rivelando la ricchezza culturale dei decenni in cui si è svolto. Tanto basta, meritoriamente in quanto poco ricordata, per rievocare e mettere in luce la dimensione umana del suo lavoro, identificabile con un coinvolgimento sociale che, in modo essenziale, entra nei problemi esistenziali dell’uomo, senza mai farsi attrarre dal bello convenzionale e senza mai estetizzare i temi che erano oggetto del suo interesse; la sua è una fotografia immediata, che parla da sola. Il tutto, come ha scritto Irina Subotic dell’Università di Belgrado, «in un modo che non è completamente innocuo ma neppure sarcastico né cattivo, ma talvolta irrisorio, scanzonato alla maniera di un ragazzo; un modo proprio ad un umanista che, in un fatto particolare, vede una somma di nature umana e un segno del comportamento dell’uomo».

Ha detto la Model: «Mi è stato spesso chiesto che cosa intendo dimostrare con le mie fotografie. La risposta è che ‘io non intendo dimostrare proprio niente’. La macchina fotografica è uno strumento di ricerca. Noi fotografiamo non soltanto ciò che si conosce, ma anche ciò che non si conosce. Si coglie un attimo che è stato e che non sarà più, ed esso continua a vivere nella fotografia».

 

 

Lisette Model

Blind Man in Front of Billboard

Paris, c.1933-8

© 2020 Estate of Lisette Model,

National Gallery of Canada, Ottawa

Courtesy Baudoin Lebon, Keitelman