L’ARTE DI TRADURRE

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Quando è necessario riscrivere per restare fedeli all’originale

di Irene Cimmino

 

Nell’affrontare la traduzione di Chamber Music, canzoniere poetico più e più volte musicato, ho dovuto sacrificare la rima. Impossibile infatti trasferire in italiano i versi rimati, diventati quindi versi sciolti. Ma nel rinunciare a ciò ho cercato di supplire con la ricerca di termini che avessero in sé il suono, l’onomatopea, l’allitterazione. Un ricordo, dunque di quanto perduto ma ingentilito da parole evocative che dessero al lettore italiano la stessa sensazione che può avere un lettore nel leggere il testo originale.

Mi sono permessa di interpretare in modo più arioso, rispetto alle traduzioni precedenti, i versi di Joyce, modernizzando alcune visioni, pur tenendomi fedele a una terminologia poetica del passato. Un connubio che penso sia pienamente riuscito, anche secondo Renzo Crivelli, presidente della Joyce School, che ha giudicato ottima la mia traduzione.

Si sa che tradurre è tradire: ma nel concetto di tradimento, come allontanamento forzato dal testo, è implicito il concetto di fedeltà. Ogni scelta terminologica è studiata, pensata, cancellata e riproposta in un gioco infinito, per poter essere più vicini possibile allo spirito dell’autore. Un ossimoro, questo di tradimento-fedeltà, che ben si adatta a questo testo poetico.

Joyce, come molti letterati inglesi, ha inventato di sana pianta alcune parole e queste mi hanno portato a lunghe riflessioni. Parlo ad esempio della parola enaisled, (lirica XX) che non trova ovviamente corrispondenza né in inglese né tantomeno in italiano. Ho trovato molte interpretazioni di un gran numero di critici che però non mi avevano convinto.

Partendo dalla parola aisle (navata laterale di una chiesa), ho pensato al bosco (ho volutamente scelto la parola bosco di pini anziché foresta o pineta che mi fa ricordare in un caso qualcosa di impenetrabile e oscuro e nell’altro qualcosa di turistico) con i suoi alberi alti, simili alle colonne di una chiesa gotica che accoglie il fedele, il pellegrino. I due giovani amanti entrano nel bosco di pini come fosse un luogo sacro che li abbraccia, li accoglie nel suo seno.

Ecco allora che il bosco si apre e “fa ala ai nostri passi”. È implicito il concetto di accoglienza, ma anche di sacralità dell’amore. Forse una fusione tra natura e architettura tanto cara al gotico.

Un’altra parola, contenuta nella lirica XV, di ardua traduzione e interpretazione è stata “gossamer”: ragnatela, garza, tela sottile. Come rendere il concetto senza usare questa traduzione vocabolaristica? È venuta in mio aiuto la passione di mia mamma, ottima ricamatrice. E ho tradotto con bisso: tela leggera e impalpabile con cui si confezionavano tende e lenzuola per bambini. Una parola che poco si adopera ma che rende perfettamente il senso di gossamer.

La traduzione, come la letteratura di viaggio, ci porta in mondi lontani, conduce in luoghi dove non saremmo mai andati. La responsabilità del traduttore è quello di introdurre il lettore in questi mondi cercando il più possibile di farli conoscere e amare, distaccandosi dalla materia, quel tanto che serve a renderla fruibile ai lettori, con sensibilità e soprattutto con umiltà.

Spero di esserci riuscita

 

James Joyce, Chamber music. Musica da camera, Traduzione italiana di Maria Irene Cimmino, Meditazioni di Graziella Atzori, Ibiscos Editrice Risolo, 2015, pp. 98, Euro 12