Scritture sul podio

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Ad inizio marzo, durante lo svolgimento
di Bologna Children’s Book Fair, la
redazione della rivista Andersen e gli altri
componenti della giuria hanno annunciato
i finalisti della 42a edizione del Premio Andersen.
I vincitori di ogni categoria saranno
proclamati soltanto a maggio, ma, dato che
ho avuto l’occasione di leggere un paio di
libri finalisti, ho pensato di unirmi al coro
di commenti in proposito, perché, visto che
per ogni categoria si sceglie il migliore in
una rosa di tre opere, so già di parlare, nella
peggiore delle ipotesi, di una medaglia di
bronzo.
Il primo titolo gareggia per la sezione
“Migliore libro + 12” quindi, come ha
spiegato la rivista svelando la terzina vincente,
racconta «un’età di passaggio, un
momento delicato e importante che sulla
pagina diventa un vero e proprio viaggio,
vero o figurato, alla scoperta di sé e degli
altri». Si tratta di Il vento del Nord è
l’ultimo romanzo dello statunitense Gary
Paulsen, che sicuramente non sono l’unica
a ricordare per John della notte.
Parla di un unico personaggio, Leif, un
ragazzino che improvvisamente deve lasciare
il suo paese e la sua vita per fuggire
a nord con una canoa, pagaiando in fretta
per fuggire ad un terribile e misterioso
morbo che sta decimando gli abitanti del
suo villaggio di pescatori. È quindi una
fuga per la salvezza, anche se affronterà
tante peripezie che lo porteranno più di una
volta ad un passo dalla morte, ma è anche
qualcosa di più.
Intanto, è un viaggio di scoperta: mondi
nuovi, abitudini naturali da imparare, nuove
correnti, fauna che mai prima di allora
gli era stata così vicina. I paesaggi che
ci vengono presentati tramite i suoi occhi
sono favolosi, quasi soprannaturali per il
senso di purezza, mistero e perfezione che
dimostrano.
Allo stesso tempo, è un viaggio di formazione:
tutto ciò che il protagonista ha
imparato fino a quel momento non basta
più. Da adesso, per sopravvivere deve imparare
ad accorgersi dove potrebbero esserci
orsi, come si muovono le orche e le
balene, quali segnali cogliere nelle correnti
per evitare pericolosissimi vortici. Ma non
solo: deve imparare soprattutto a conoscere
sé stesso, la sua forza, la sua resistenza, il
suo coraggio. Non dev’essere facile partire
soli verso l’ignoto, senza mai sapere cosa
ci aspetta! Per questo motivo, il viaggio di
Leif si può considerare anche un’iniziazione,
un passaggio da un mondo all’altro e
dall’età bambina all’età adulta.
Si tratta di un romanzo di una bellezza
intensa ed onirica; si legge in un batter
d’occhio per via dello stile semplice e trascinante
che va di descrizione in descrizione:
i paesaggi li sentiamo vicini perché
siamo noi stessi Leif, eppure sono così lontani,
impensabili… Descrivono una natura
incontaminata e selvaggia, e proprio per
questo affascinante e incredibile.
Se vi ho invogliato a correre in libreria
per acquistare Il vento del Nord devo
avvertirvi, però, che la lettura di quest’opera
non mi ha entusiasmata: la (grande)
bellezza sta tutta nelle rappresentazioni del
mondo naturale, ma non ci ho trovato altro
perché, per quanto piacevoli, le descrizioni
dei paesaggi sono a volte ripetitive o trascinate
per troppe pagine. Ho avuto l’impressione
che fosse un modo per arrivare
da qualche parte, in realtà il cambiamento
avviene dentro il personaggio ma, quando
ce ne accorgiamo, noi con lui, il libro termina
e la nostra attesa di qualche evento o
di qualche rivelazione eccezionale rimane
delusa. La trama, infatti, è esile, ci mostra
a volte le stesse situazioni replicate, a volte
ci fa tornare indietro con un ricordo di
Leif che non sempre viene contestualizzato
e spiegato. In questo modo si rimane in
un’aura di sogno, impalpabile e misteriosa,
che pervade tutte le pagine. Probabilmente,
è una cosa voluta dall’autore quella di lasciarci
sempre in attesa di scoprire di più,
ma, lo ammetto, io non l’ho apprezzata
molto. Gli altri personaggi, inoltre, pur nominati
spesso, sono soltanto dei fantasmi:
si sa fin dall’inizio che Leif è l’unico sopravvissuto,
ma non si capisce perché, in
un intero villaggio, i flash back siano solo
su due persone, un anziano e un bambino.
Ora che ne ho parlato male, però, vi
svelo una piccola chicca di Il vento del
Nord: la prefazione è scritta da Davide
Morosinotto, un autore per ragazzi che su
questa rivista ha trovato spazio almeno un
paio di volte. Ebbene, il suo breve scritto
è una recensione ben più entusiastica della
mia, e parte da una constatazione molto
semplice: quando i personaggi vivono felici
e contenti, la storia è finita. Non si tratta
solo di una battuta: il Leif che viene fatto
salire su una canoa con l’ordine di andare
sempre a Nord senza più voltarsi indietro è
terrorizzato, mentre quello che danza con
le orche e le balene, alla fine, se non è proprio
felice almeno è in pace con se stesso e
con il mondo.
Il secondo libro, invece, appartiene alla
categoria “Miglior libro + 15”: è Il centro
del mondo dell’autore tedesco Andreas
Steinhӧfel, già vincitore del premio Orbil
2023, oltre che finalista anche per il Premio
Mare di libri 2022, volume d’esordio della
collana Young Adult “Oltre” della casa
editrice La nuova frontiera, il cui scopo è
quello di rendere questo genere una lettura
anche per adulti, non solo young.
Infatti, anche se si legge tutto in un fiato,
è un volumone di oltre 400 pagine, costruito
in maniera complessa a causa di (ma
sarebbe meglio dire “grazie a”) flashback e
ricordi, o spesso ossessioni, che intervengono
continuamente nella narrazione per
colmare lacune, per spiegare cosa passa
per la mente di personaggi, per ricordare
qualcuno o qualcosa in particolare.
Inoltre, coloro che incontriamo in queste
pagine non sono soltanto delle marionette:
sono profondi, ben dettagliati emotivamente,
e quindi complessi.
Anche se il diciassettenne Phil è l’ionarrante,
non è certo l’unico protagonista
e la vicenda, infatti, inizia con la partenza
dall’America di un’altra diciassettenne, incinta
al nono mese, che vuole raggiungere
la sorella Stella in Europa. Si tratta di
Glass, che partorisce due gemelli, Dianne
e, appunto, Phil, non appena arriva a Visible,
che non è un paese ma il nome “parlante”
(leggere per capire) della casa della
sorella: un edificio grande e fatiscente pieno
di finestroni che sovrasta un paesino di
gente mediocre, resa cieca da pregiudizi e
banali convenzioni sociali.
Inizia così, nella neve, la storia di due
gemelli, della loro madre malvista perché
troppo libera, dell’amica Tereza e di tanti
altri personaggi, alcuni solo di passaggio,
che in un modo o nell’altro faranno la vita
dei tre americani, evitati, dileggiati, insultati,
respinti e persino attaccati, e dei loro
disperati tentativi di trovare un posto nel
mondo. Anche se, detta così, sembra una
storia già vista, con loro da una parte e gli
altri dall’altra, non è affatto così. Intanto,
il «mondo di fuori» dove vive la «piccola
gente» presenta qualche sorpresa: a Tereza
si aggiungerà l’antipatica compagna Pascal,
e poi ci sono la signora Annie con le
scarpe rosse, il vecchio signor Troht che
regala caramelle dure e rotonde e tratta con
gentilezza Glass perché «nel mondo c’è
bisogno di amore», e poi Kat, amica inseparabile
di Phil, e ancora Gabble, Dennis,
Nicholas il maratoneta, Michael, Kora e
diversi altri: attenti ai nomi, perché a volte
ritornano!
Non ci sono, infatti, solo meteore:
ognuno di loro è ben costruito in se stesso e
nei confronti di Phil, che non è certo esente
da emozioni quando incontra qualcuno
di loro. Insomma, si tratta di un romanzo
corale formato da tutte le persone che ruotano
intorno a Visible fino a che Phil non
deciderà di partire per vedere orizzonti più
ampi, per prendersi una pausa da quanto è
successo, il brutto ma anche il bello, e per
tentare finalmente di trovare «il numero
tre», suo padre.
E se vi state chiedendo di cosa si parla
intorno a Visible, preparatevi, perché non
ci sono dialoghi di tutti i giorni su eventi
grandi e piccoli. La Piccola Gente parla
(male) della condotta (poco) morale di
Glass; giudica, condanna, disprezza qualsiasi
amore che non sia “normale”: persino
l’infermiera scuote la testa quando scopre
che Phil e Kat, appena bambini, si sono rifugiati
nello stesso letto.
Voglio chiarire che non c’è alcuna critica
verso l’amore “tradizionale”, ma qui
è quasi inesistente e, chiunque ne sia protagonista,
dura (quasi) sempre poco. Non
perché l’autore voglia farlo vedere come
un tipo di amore “sbagliato”, ma perché
la vita è alquanto complicata e la sfortuna
non guarda in faccia nessuno. Per questo
dico che non c’è alcuna condanna, e, del
resto, anche gli amori “diversi” non vanno
sempre bene intorno a Visible!
È un libro audace: si parla di donne che
intrattengono numerose e brevissime relazioni,
di donne che amano donne, di uomini
che amano uomini, di uomini soli perché
amano troppo, di amici che si amano.
Se «il centro del mondo» viene identificato
con la biblioteca di Visible, il centro
di questa lunga storia è l’amore in tutte le
sue forme che, quindi, può portare a cose
belle ma anche spiacevoli, può commettere
enormi errori e può nascondere grandi
segreti, può aiutare qualcuno ad avere la
forza di andare avanti, e può persino essere
la colpa di gravi incidenti.
Come ho già detto, non si tratta di un
romanzo semplice: ci sono il bene e il male
in ogni personaggio, e molte situazioni
hanno due diverse facce della stessa medaglia.
Non c’è niente di facile in questo
racconto, come non è facile stare al mondo,
che si sia un ragazzino, un adulto o un vecchio,
maschio o femmina, e se decidete di
cominciare questa lettura, cosa che vi consiglio
pur non potendovi dire di più per non
rovinarvi le mille sorprese, ricordatevi di
non giudicare. Può sembrare un consiglio
strano, e sicuramente non mi darete ascolto
pensando «Che brutta mossa!» o qualcosa
di simile in più di una occasione, ma vi assicuro
che potreste cambiare idea!
Aspettate di arrivare alla fine, prima di
decidere cosa ne pensate di Dianne, o di
Nicholas, o di Pascal.
Aspettate la fine del libro e poi ditemi
se avete il coraggio o l’anima così pura
da poter giudicare Kat o Glass, o il nostro
Phil.
Volendo trarre delle conclusioni sulle
mie poche letture finaliste, posso dire che
nella mia personale classifica un vincitore
è già stato eletto e, per quanto riguarda
invece il libro di Paulsen, pur non potendo
negare quanto già detto di negativo,
confermo anche quanto ho raccontato di
buono: non una lettura eccelsa, quindi, ma
se vi capita l’occasione può essere anche
distensiva, magari se presa a piccole dosi,
senza la fretta di sapere cosa succederà.
Sono davvero curiosa, a questo punto,
di leggere gli altri concorrenti e scoprire se
solo questi due titoli sono stati degli azzardi
o se la redazione di Andersen ha capito,
prima di tutti, che i gusti dei nostri ragazzi
non si basano più su storie stereotipate e
sono in grado di leggere e apprezzare innumerevoli
sfumature.
Negli anni passati questo concorso ha
premiato altri autori che hanno rischiato
di essere troppo “adulti” con storie che
trattavano tematiche forti, ma si trattava,
come quest’anno, di vicende che prendono
fortemente spunto dalla realtà di oggi, e i
ragazzi che la vivono, a mio parere hanno
bisogno di sentirne parlare e di sentirsi i
protagonisti di simili situazioni. È il potere
della lettura: immergendoci nelle sfortune
e nelle difficoltà altrui crediamo in qualche
modo di venire esentati dal viverle in prima
persona.