Scianna e Burri alla Giudecca

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A “confronto” i due fotografi della Magnum in mostra ai Tre Oci di Venezia

di Michele De Luca

 

“Gli enormi cambiamenti sociali che si stanno verificando nella nostra era tecnologica nel campo della musica, della pittura, della letteratura e dell’architettura stanno dando un nuovo volto all’umanità. Seguire questi sviluppi e comunicare i miei relativi pensieri e immagini, è ciò che considero il mio mestiere” (René Burri).

“La fotografia era, è un ponte fra noi e la realtà. Per fissare l’istante. Oggi è un muro (di immagini) che paradossalmente non ci fa più vedere il mondo. Sommersi da milioni di foto, abbiamo perso la memoria” (Ferdinando Scianna). Due grandi fotografi della Magnum, due visioni della fotografia, come chiariscono queste due ampie citazioni, in una che può sembrare una strana accoppiata (ma in realtà si tratta di due autonome e distinte mostre: Scianna, “Il Ghetto di Venezia 500 anni dopo” e Burri, “Utopia”), vengono proposte nei due piani della civettuola Casa dei Tre Oci nell’isola della Giudecca a Venezia, splendida testimonianza dell’architettura veneziana di inizio ‘900, disegnata dall’artista Mario De Maria (Marius Pictor) e costruita nel 1913.

Il fotografo siciliano (Bagheria, 1943), su incarico di Fondazione di Venezia,

con bellissime inquadrature in rigoroso bianco e nero, ha realizzato – con un reportage fotografico in pieno stile “Street Photography” – immagini della vita quotidiana del Ghetto, senza tralasciare ritratti, architetture, interni di case e luoghi di preghiera, con il risultato di un’asciutta narrazione della sua fisionomia contemporanea, che evidenzia la compresenza di una dimensione simbolica, storica, rituale, intrinsecamente connessa a luoghi e gestualità. Scianna – osserva il curatore Denis Curti nelle pagine del catalogo edito da Marsilio – ha dato forma a una memoria collettiva elevando e distinguendo singole storie: se ne avverte la bellezza e la solennità”. Egli ha saputo costruire un racconto eminentemente discreto e rispettoso, con la volontà di narrare il Ghetto documentando la “verticalità” del suo originale impianto urbanistico, con quelli che vengono considerati i primi “grattaceli” della storia, addensati in uno spazio così ristretto e appartato, quanto ricco di palpabile memoria, di storia e di cultura. Dice Scianna: “Il fotografo deve fare proprio questo. Conoscere il piacere difficile di muoversi dentro uno spazio alla ricerca di una luce che passa, e che accende un senso. Per questo finisci per confonderti con le pietre, e guardando a terra scopri ad esempio le pietre di inciampo inserite nel selciato veneziano. Scopri Venezia, questo paesotto di provincia che ha un respiro universale, e il Ghetto, che fa parte del gioco e che racconta cose che bisogna cercare di catturare. Io spero di non aver barato, di aver detto la verità raccontando con le mie foto tutto quello che ho sentito di quel luogo, seguendo una mia traiettoria”.

“Utopia” di Burri (Zurigo, 1933-2014), a cura di Hans-Michael Koetzle,

riunisce, per la prima volta, oltre cento immagini dedicate all’architettura, con scatti di famosi edifici e ritratti di architetti, in cui si riflette l’interesse e la passione del fotografo svizzero nel raccontare i grandi processi di trasformazione e i cambiamenti storici, politici e culturali lungo il corso del suo lavoro fotografico, anche con una forte attenzione verso alcuni personaggi (indimenticabili i suoi ritratti di Che Guevara e Picasso) che ne hanno fatto parte. Qui l’architettura viene indagata come una vera e propria operazione politica e sociale che veicola e, nel medesimo tempo, “impone” una visione sul mondo, contribuendola a creare e a trasformare senza sosta; una ricerca che lo ha spinto a viaggiare in tutto il mondo sulle tracce dei grandi architetti del XX secolo. Come dice Koetzle, Burri “ha realizzato innumerevoli ritratti, trasformato ambienti in composizioni grafiche, riassunto il divenire del mondo in formule iconografiche assurte a parabola”.

“Utopia” – che si tiene in contemporanea con la Biennale di Architettura 2016 – s’inserisce all’interno di questa prospettiva, che lo spinse a viaggiare tra Europa, Medio-Oriente, Asia e America latina sulle tracce dei grandi architetti del XX secolo, da Le Corbusier a Oscar Niemeyer, da Mario Botta a Renzo Piano, da Tadao Ando a Richard Meier. Accanto ai loro ritratti e alle loro costruzioni, in “Utopia” si ritrovano anche le immagini di eventi storici particolarmente densi di contrasti e di speranze, come la caduta del muro di Berlino o le proteste di piazza Tienanmen a Pechino nella primavera del 1989. Nel corso di tutto il suo lungo e intenso percorso fotografico, ha sempre saputo cogliere aspetti contraddittori e inquietanti di società in cerca di nuovi modelli culturali; in proposito torna in mente un lavoro esemplare di Burri, che venne pubblicato nel 1994 da Federico Motta con il titolo Cuba y Cuba, in cui seppe carpire e rappresentare, come ora conferma questa importante mostra alla Giudecca in una visione ben più ampia, sia geograficamente che storicamente, l’anima umana, l’identità sociale e culturale delle collettività all’interno e in rapporto con il contesto urbano e nei momenti delle grandi “trasformazioni” culturali e comportamentali.

Burri è considerato un grande fotoreporter, soprattutto per la particolarità del suo sguardo: nonostante sia stato anche a contatto – come raccontano alcuni suoi scatti – con la violenza della guerra e la disperazione delle vittime, ha sempre evitato le immagini crude e tragiche e, come ebbe a scrivere Peter Keller in occasione della mostra di tre anni fa’ agli Scavi Scaligeri di Verona, ”non esiste una sola foto che non suggerisca l’esistenza possibile di un mondo più umano”. Ciò che lo ha sempre interessato è di riuscire a cogliere il momento nel quale nascono le idee o muoiono le utopie.