La Storia e le storie – IL REX: MISERIA E NOBILTÀ DI UNA LEGGENDA

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Il 19 maggio, di mattina, Sara Alzetta ha dato voce a un brano a leggio, La cameriera del Rex, opera di Pietro Spirito, nell’ambito della manifestazione “I mestieri e i misteri del mare”, ospitata al Molo IV del Porto vecchio, a Trieste. Prestazione attoriale di grande qualità, in questo caso accentuata fino a trasformare quasi in eroismo la professionalità dell’attrice, a causa della pessima acustica della sala e, soprattutto, della rumorosa presenza di un folto gruppo di ragazzi che, del tutto incuranti di quanto veniva loro elargito, vociavano tra loro occupati, al solito, a condividere anche in quell’occasione la vita col proprio smartphone.

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Nonostante ciò, la Alzetta è riuscita a calamitare l’attenzione di un gruppo minoritario ma determinato di spettatori che, dalle prime file dell’ampia platea, si è lascia ammaliare dalla lettura energica e suadente del testo di Spirito, una volta di più una storia di mare, ma vissuta stavolta ricordando, nelle risposte a un’intervista a una donna che fu cameriera a bordo del Rex, la grande nave passeggeri, orgoglio della cantieristica e poi della marineria italiana negli anni del fascismo. Dopo il varo del 1 agosto del 1931 nei Cantieri Navali Ansaldo di Sestri Ponente, madrina la regina Elena, e dopo la consegna alla società armatrice, il Rex conquistò nel ’33 il Nastro azzurro per la traversata dell’Atlantico, essendo riuscito a percorrere le 3181 miglia che separano Gibilterra dal faro di Ambrose in 4 giorni, 13 ore e 58 minuti. Scoppiata la guerra, la nave venne ritirata ovviamente dal servizio attivo e fu tenuta dapprima a Genova e poi, per evitare i bombardamenti delle forze alleate frequenti sulla città ligure, fu trasferita a Trieste. È stato proprio in occasione di quel viaggio di trasferimento l’unica volta che il transatlantico attraversò l’Adriatico, con buona pace di Federico Fellini che inventò di sana pianta la memorabile, suggestiva scena di Amarcord.

 

 

Il finale della storia è noto: i tedeschi, che dopo l’otto settembre occupavano il cosiddetto Adriatisches Küstenland, si risolsero a trasferire il grande transatlantico in Istria per allontanarlo dal porto di Trieste, a sua volta obiettivo dei bombardamenti, ma fu arpionato da una pattuglia della RAF che lo affondò tra Capodistria e Isola, l’8 settembre 1944.

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Fin qui la storia”vera”. Su di essa si è conformata un’altra storia, quella della finzione letteraria che, come sempre nella narrativa firmata da Pietro Spirito, prende spunto da un evento realmente accaduto per farlo diventare, rivissuto dal particolare punto di vista di un personaggio che interpreta una persona in carne ed ossa, reale o immaginaria che sia, qualcosa di una rinnovata autenticità, fino a rendere più “vera” la storia con la minuscola rispetto alla sua sorella maggiore e, razionalmente anche se non emozionalmente, più condivisa.

Qui, come altre volte nella narrativa di Spirito e stavolta anche con il valore aggiunto di un’interprete che ha saputo frugare in ogni anfratto del testo con autorevole padronanza per ricavarne l’immagine viva e palpitante di una donna, la cameriera del Rex, appunto, che nelle risposte fornite a un giovane giornalista che la intervista, narra con partecipazione di tutte le vicende del grande transatlantico delle quali è stata testimone, dal varo genovese al primo viaggio oltre Atlantico, a quelli seguiti negli anni successivi (Che grande prodigio! Io c’ero, lo sa? Sì quando ci fu il varo, a Genova. Era il 1 agosto del 1932. Io già sapevo che avrei lavorato su quella nave. Ero già stata selezionata.) Ma la giovane età della ragazza, 26 anni, una certa curiosità e gioia di vivere, una sensualità nemmeno tanto latente (se dobbiamo prestare fede a come descrive il varo dell’imponente costruzione: “Le manca qualcosa, se non ha mai visto una nave scendere in mare per la prima volta. È come… una specie di… abbraccio, ecco. Una congiunzione, un’unione, un amplesso come diceva il poeta. Migliaia di tonnellate di acciaio che fendono il mare, lo penetrano, lo prendono, e il mare avvolge la nave, l’abbraccia, la stringe, la bacia, la possiede con la sua bianca spuma, ah, che meraviglia…”) la conducono a vivere in parallelo con le vicende della nave che la ospita, una sua bella e sfortunata storia d’amore con un giovane suo collega. (“Lui si chiamava Gabriele, ed era un piccolo di camera. Come? No, non era piccolo… cosa ha capito? Piccolo di camera, bassa categoria del personale alberghiero… cosa credeva, che fosse basso di statura? Che ce l’avesse piccolo? Forse farebbe meglio a informarsi prima di venire a fare domande stupide, giovanotto. Non è professionale.

Piccolo un accidente… sì, aveva tre anni meno di me, ma era un uomo fatto e finito: alto, bello, forte, con un sorriso di sole e vuole saperlo? piuttosto dotato…”). Una storia d’amore sfortunata perché, come avviene spesso – ma mai nelle commedie americane – quella storia finì con uno stupro da parte del potente e viscido Capo sala, che oltre a ciò fece pure arrestare dalla polizia fascista il giovane amante della ragazza, che aveva il difetto di essere socialista, appena la nave rientrò in Italia da uno suoi suoi viaggi.

Ma, come tutti i vecchi lupi di mare, i racconti della cameriera non si limitavano alla sua particolare storia, per lanciare in rapide folgoranti narrazioni altre suggestioni con storie minori o brevi notazioni, come un diario di bordo riassunto nel breve spazio di un’intervista.

L’episodio drammatico dello stupro e l’arresto del suo Gabriele di cui era innamorata segnarono comunque una svolta nella vita della ragazza, che si decise alla fine a lasciare la nave per un meno avventuroso lavoro in alberghi di terraferma, dapprima a Genova e poi, negli anni difficili della guerra, a Trieste, dove avrà la sorpresa di ritrovarsi improvvisamente davanti agli occhi la sagoma imponente del Rex che le si profilò davanti dalla finestra dell’albergo in cui lavorava: “Com’era ridotto, povero Rex. Anche lui aveva smesso di navigare, con lo scoppio della guerra aveva lasciato gli oceani. Era stato dipinto di grigio, lo avevano usato come nave alloggio per i lavoratori del porto di Pola. E adesso lo portavano a Trieste. Lo vidi arrivare lento e mesto, trainato dai rimorchiatori, un povero vecchio che non stava quasi più in piedi. Anche i fumaioli, spenti, pesavano sullo scafo come gli occhi chiusi di un cieco. Osservai la nave a lungo, lì dalla finestra dell’albergo, dimenticando il mio lavoro.

Il Rex, adesso così grigio e triste, sembrava dire al mondo: guarda, guarda come sono ridotto, ero il re di tutti i mari, il vanto di un intero Paese, ero ricco e potente, osannato e amato da chiunque. E adesso guardatemi, non servo più a niente e nessuno, lasciatemi solo morire in pace…”.

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Sarà proprio lei – alla fine – ad assecondare l’eutanasia richiesta nella tacita supplica che pareva provenire dalla vecchia nave, a bordo della quale s’era svolta la vicenda esaltante ed amarissima della sua giovinezza.

Un testo veramente notevole e di forte dinamicità, come da anni ci ha abituato l’autore, per una volta impreziosito dalla lettura di un’attrice che ne ha esaltato i contenuti narrativi con la sua sobria e composta, ma in qualche segreta maniera anche spumeggiante interpretazione.

Grazie ad entrambi.

Walter Chiereghin

Trieste, 21 maggio 2017