Il fascino senza tempo di San Marco a Venezia

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La decorazione della cupola della Genesi, realizzata tra il 1225 e il 1250

La cupola della Genesi come prototipo della prima generazione di mosaicisti (orgogliosamente) veneziani

di Nadia Danelon

La basilica di San Marco a Venezia, capolavoro architettonico di gusto bizantino, racchiude un insieme di valori che ci parlano di una città dal passato millenario: nata come cappella dogale, divenuta successivamente sede patriarcale, decorata nel corso di un arco temporale che termina dopo la caduta di quello Stato che a suo tempo ha promosso l’importanza di un edificio così maestoso e trionfale. Simbolo della città lagunare a cui appartiene, San Marco è testimone di una storia allo stesso tempo civica e religiosa: sebbene l’origine dell’edificio attuale sia strettamente legata alla devozione dei dogi, esso costituisce il fulcro della religiosità veneziana, facendo sì che la sacralità della basilica sia tanto importante quanto lo sono le reliquie custodite al suo interno. Ammirando l’edificio religioso, internamente ed esternamente, si rimane incantati da un’atmosfera estranea alla normale concezione spazio/temporale: assomiglia ad uno scrigno prezioso (dorato al suo interno) realizzato con lo scopo principale di promuovere l’importanza di san Marco, illustre patrono cittadino. L’arrivo in città delle spoglie mortali del santo coincide con l’inizio della costruzione del primo edificio religioso dedicato al suo culto (828), voluto dal doge Partecipazio: viene così a crearsi un martyrium, destinato a custodire le spoglie di San Marco trafugate dai veneziani ad Alessandria d’Egitto.

Il possesso di una reliquia di così grande importanza contribuisce ad accrescere il valore spirituale del luogo presso il quale è custodita: un aumento di prestigio religioso che va di pari passi rispetto a quello del ruolo politico della città in cui San Marco riposa. L’incendio del 976 consente la costruzione di un secondo edificio religioso: tuttavia, per raggiungere una maestosità degna dell’importanza che la città lagunare ha acquisito nel corso del tempo, la struttura del X secolo viene abbattuta e al suo posto viene costruita l’attuale basilica. La consacrazione dell’edificio avviene nel 1094, al termine dei lavori relativi alla struttura architettonica concepita secondo le caratteristiche dello stile bizantino.

Due edifici religiosi di Costantinopoli fungono da modello per la struttura della terza San Marco: si tratta della chiesa di Santa Sofia (con pianta a croce, impreziosita dalla grande cupola centrale) e del cosiddetto Apostoleion, ovvero la perduta chiesa dei Dodici apostoli (nota per la sua pianta a croce greca con bracci suddivisi in tre navate, caratterizzata dalla presenza di cinque cupole). L’interno dell’edificio religioso veneziano viene decorato a partire dall’XI secolo: entro la fine del XII secolo viene completata la decorazione dell’interno e nel corso dei cento anni successivi vengono realizzati i mosaici del nartece e della facciata. In totale, la superficie ricoperta dai mosaici corrisponde a circa 5000 mq: l’imponente pavimentazione marmorea copre invece 1500 mq.

Inizialmente, gli esecutori della decorazione musiva della basilica sono dei maestri greci residenti a Venezia: il loro stile è quello tipico della produzione bizantina, caratterizzato da uno sfondo dorato e da figure frontali e ieratiche, quindi privo di qualsiasi riferimento ad una dimensione legata ai concetti dello spazio e del tempo. Questo tipo di produzione caratterizza le decorazioni realizzate all’interno della basilica nel XII secolo, che di fatto costituiscono il fulcro decorativo dello spazio principale, delimitato dall’abside e dal portale e comprensivo delle cupole centrali: iconologicamente concepito con l’intenzione di esaltare la Chiesa di Cristo. La situazione cambia con l’inizio del XIII secolo: in quel periodo inizia l’attività di una prima generazione di mosaicisti veneziani, che incomincia a decorare lo spazio del nartece. La decorazione di questo ambiente viene continuata nel corso della seconda metà del secolo, ad opera della seconda generazione di mosaicisti veneziani.

I mosaici delle epoche successive comprendono infine una serie di aggiunte e rifacimenti, necessari per rimediare all’usura e alla caduta delle tessere nelle opere precedenti: si crea così una pluralità di stili che risulta evidente tanto all’esterno quanto all’interno della basilica marciana. L’edificio è quindi testimone di un lungo processo di evoluzione: la decorazione musiva, che viene completata solamente nel XIX secolo, subisce per secoli l’effetto degli stravolgimenti nel metodo di esecuzione delle raffigurazioni a mosaico. Può essere considerato come fondamentale il grosso stravolgimento che ha luogo all’inizio del XV secolo, quando l’originaria figura dell’esecutore viene divisa in due ruoli differenti: da un lato c’è l’artista (per San Marco vengono utilizzati i cartoni di Tiziano, Veronese, Lorenzo Lotto e molti altri) e dall’altro troviamo invece l’artigiano, chiamato al difficile compito di riprodurre con la tecnica del mosaico le complesse composizioni ideate dai pittori.

La decorazione musiva è il tesoro più appariscente dell’intera basilica di San Marco, ma allo stesso tempo l’edificio custodisce anche altri capolavori prestigiosi, giunti o prodotti a Venezia nel corso del tempo: di fondamentale importanza il bottino pervenuto nella città lagunare in seguito alla Quarta crociata, del quale fanno parte anche i quattro cavalli della basilica. Tra tante meraviglie realizzate con tecniche e materiali differenti, il nartece custodisce al suo interno un autentico capolavoro: la decorazione della cupola della Genesi, realizzata tra il 1225 e il 1250 da quella prima generazione di mosaicisti veneziani che hanno contribuito alla definizione di uno stile diverso da quello strettamente bizantino. In quest’ottica di modifica e rielaborazione delle scelte stilistiche e compositive che fino a quel momento hanno caratterizzato la decorazione dell’edificio sacro viene a inserirsi questo gioiello della storia dell’arte medievale: suddivisi in un totale di tre ordini concentrici, troviamo ventiquattro riquadri che ripercorrono i primi tre capitoli della Genesi.

L’occhio del visitatore rimane affascinato da questa moltitudine di figure e dal grande impatto creato dagli sfondi colorati che per la prima volta nella storia della basilica rompono l’irrazionalità tipica dello sfondo dorato. Curiosa e allo stesso tempo affascinante è la rappresentazione del Padre Eterno: si presenta come giovane, imberbe, quasi una prefigurazione di Cristo. Un efficace stratagemma facilita l’individuazione precisa dei giorni che compongono il processo di creazione del mondo: Dio è accompagnato da alcuni angeli, che aumentano di numero fino al settimo giorno, dove sette anime celesti sono radunate al suo cospetto (nella scena, il Padre Eterno seduto in trono benedice l’ultimo arrivato).

Questa, insieme ad altre caratteristiche iconografiche e compositive, ha permesso l’individuazione di quello che generalmente viene considerato come il modello di riferimento per la decorazione della cupola della Genesi. Si tratta del Codex Cottonianus, meglio noto come Genesi Cotton: un manoscritto miniato di produzione greca, risalente al IV o V secolo. Il codice prende il nome dall’inglese Robert Cotton, divenuto proprietario del manoscritto entro il secondo decennio del XVII secolo. La Genesi Cotton è stata devastata da un incendio, che nel 1731 ha rovinato e in parte distrutto il prezioso manoscritto. Le miniature superstiti hanno permesso agli studiosi di mettere in atto un puntuale confronto con i riquadri della cupola della Genesi: sono emerse delle evidenti affinità, visibili in particolare nella scena della “Creazione delle piante” (sono simili, ad esempio, sia la posa del Padre Eterno che quella dei tre angeli).

I tre registri della cupola marciana, che presentano delle caratteristiche cromatiche differenti e sono intervallati dalla trasposizione scritta con il commento di quanto è raffigurato nelle scene, creano nell’osservatore quasi una sensazione di stordimento: è solo l’impressione data dalla prima occhiata, che viene ampiamente ripagata dalla notevole quantità di dettagli che emergono con l’analisi delle singole scene. La bellezza degli animali e dei paesaggi dona grazia a questo raffinatissimo mosaico: le pose delle figure conferiscono ordine e pacatezza all’insieme, in una trasposizione figurativa adeguatamente solenne dei primi tre capitoli della Genesi.