Il ricordo di un eterno

| | |

di Michele Diego

 

«La filosofia nasce dal thâuma» scrive Aristotele. Thâuma: meraviglia, stupore: l’uomo che di fronte ai fenomeni della realtà si stupisce, ne resta affascinato e tenta di spiegarli. Così ripetono tutti i filosofi, tranne uno: Emanuele Severino. Per Severino, originalmente thâuma vuol dire ben di più di meraviglia: vuol dire terrore, paura. Paura del dolore, della morte, dell’infelicità. E così filosofo è colui che, di fronte alla paura che gli procura la realtà, non si accontenta di spiegazioni fantasiose, mitiche, ma vuole trovare la Verità con la V maiuscola, una verità indiscutibile, definitiva, che lo protegga dal terrore dell’ignoto.

è questo quello che Severino ha fatto per tutta la vita: cercare la verità. Una ricerca che si è esaurita il 17 gennaio con la morte del filosofo, annunciata con grande riserbo solo il 21 gennaio, a esequie avvenute. Una ricerca, la sua, che resta nel presente su due livelli. Il primo, più ovvio, è che Severino vive attraverso i suoi libri, le conferenze, le interviste nel salotto di casa, dove circondato dai libri di una vita e dalle sculture del figlio artista, si lasciava riprendere mentre dialogava con giornalisti, altri filosofi e l’anno scorso persino col presidente del Consiglio. Il secondo livello, invece, coincide con la natura stessa del pensiero severiniano: la sua ricerca è ancora viva semplicemente perché tutto è eterno: lui, noi, la sua ricerca, l’istante in cui leggete questa frase, tutto. Di più: Severino ha sempre sottolineato come tale pensiero non sia “il suo” pensiero, altrimenti – diceva – non varrebbe la pena perderci un minuto a parlarne, bensì una verità solida, a sé stante, che lui si è limitato a far emergere. È chiaro che grazie a una simile certezza, il suo rapporto con la morte è un rapporto del tutto particolare. E infatti, quando durante un’intervista il suo interlocutore ricorda sommessamente che la moglie del filosofo è purtroppo venuta a mancare qualche anno prima, Severino prontamente gli risponde: «non purtroppo, sta meglio lei di noi».

La forza di Severino, insomma, stava nella assoluta certezza che le proprie teorie fossero dimostrate in maniera definitiva, più solide di una scoperta scientifica o di un teorema matematico, e che quindi non si potevano prestare a esitazioni o dubbi, nemmeno nella vulnerabilità del momento della propria morte. Una certezza che lo ha accompagnato per tutta la vita, come un ombrello che lo proteggeva dalla pioggia dello thâuma. Basti pensare al fatto che ha sostenuto con serenità un processo del Sant’Uffizio, che nel 1969 proclamò l’incompatibilità del suo pensiero con la dottrina cattolica, arrivando a scrivere che Severino criticava i capisaldi del cristianesimo «come forse nessun ateismo ed eresia hanno mai fatto». In tutto ciò bisogna tenere conto che Severino insegnava Filosofia teoretica all’Università Cattolica di Milano. Eppure la metafora che lui ha sempre utilizzato senza malizia o compiacimento per descrivere tale processo è quella di un “divorzio consensuale”, discusso tra tè e pasticcini. E quasi lo lusingava essere stato l’ultimo inquisito della Chiesa, nelle stesse sale dove era stato processato, con meno garbo, Galileo Galilei.

In teoria – racconta Severino – nonostante il processo, alla Cattolica non avrebbero potuto legalmente licenziarlo. Gli proposero quindi di pagargli lo stipendio purché lui smettesse di insegnare e si dedicasse unicamente alle proprie ricerche. Ma il filosofo preferì spostarsi a Venezia, dove fu tra i fondatori della Facoltà di Lettere e Filosofia, e dove venne successivamente proclamato Professore emerito.

Sarebbe un gioco inutile ricordare qui la quantità di titoli, onorificenze, libri e articoli che hanno costellato la vita di Emanuele Severino; non ce n’è bisogno e a lui non interesserebbe. Severino, al di là di ogni titolo, è stato un uomo che ha trovato il modo di salvarsi dalla thâuma, un uomo da cui traspariva la serenità di chi conosce la verità, di chi è razionalmente certo che la vita, di per sé, è piccola cosa rispetto alla grandezza dell’essere e quindi anche dell’uomo.