Allegorie di pietra a Trieste

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Marsilio Arte pubblica un volume di Paolo Possamai sulle sculture triestine negli anni del Neoclassicismo

di Gabriella Ziani

 

Vista dal basso Trieste oggi racconta la sola storia che sa declinare, quella turistico-godereccia del mangia & bevi, intere strade e intere piazze del suo centro storico essendo state cedute all’economia del sollazzo lieve e della musica spaccatimpani – mentre le poche industrie produttive cadono a una a una come pere marcite sull’albero. Alzando gli occhi, e specialmente adesso che la raffica di ristrutturazioni favorite dai “bonus” edilizi ha tolto il sudiciume delle polveri e riportato a vista la diffusa e squisita eleganza delle facciate ottocentesche, così decorose e decorate, e pure colorate, forse vediamo meglio quanto il vivere urbano che abbiamo ereditato si svolge in una quinta scenica che ha nobiltà d’aspetto quasi aristocratica, e non solo nei palazzi extralarge.

Ma bisogna guardare più in alto ancora per decrittare ciò che in basso pare solo buon gusto architettonico di un tempo: la serie imponente di statue e bassorilievi che su case e palazzi sono stati incistati a futura memoria sono un racconto, una dichiarazione d’intenti, e non soltanto la autoglorificazione del ricco proprietario o una scolastica grammatica del Neoclassico. Incombono su di noi come un monito (inascoltato evidentemente) dei veri cortei di “maschere” significanti, che ormai trattiamo come soprammobili, ma che sono tutte intitolate al commercio, alla navigazione, al mare, all’industria, all’ingegno, alla fama, all’abbondanza, e perfino alla perseveranza e all’onore.

Questa lettura “dall’alto”, con un apparato fotografico di grande ricchezza e qualità (autori delle immagini Manuela Schirra e Fabrizio Giraldi), e con un intento che va ben oltre l’analisi artistica peraltro assai accurata, l’ha svolta Paolo Possamai, dal 2008 al 2016 direttore del Piccolo, poi dei quotidiani veneti del gruppo Gedi, e responsabile di Nordest Economia, ora passato a occuparsi di relazioni esterne e istituzionali per il gruppo Save che controlla gli aeroporti di Venezia, Verona, Brescia e Treviso, nonché per Banca Finint. Come mai un giornalista di spiccata inclinazione economica si è così impegnato in una catalogazione architettonica e artistica? Nettuno e Mercurio. Il volto di Trieste nell’800 tra miti e simboli, in una raffinata edizione Marsilio, è – come le statue – qualcosa che vuol dire anche altro: dov’è finita quella Trieste lì, grandiosa nel lavorare, produrre, creare? Dove sono l’ambizione e il coraggio imprenditoriale che quegli immigrati arrivati da ogni parte seppero mettere in campo tra ‘700 e ‘800, trasformando un villaggio di salinari senza storia (e senza chiese…) in una capitale economico-finanziaria di portata internazionale?

Logico, quella era l’epoca espansiva di Maria Teresa, l’imperatrice geniale che portò a compimento il punto franco istituito nel 1719, e tutte le sue derivazioni strutturali (porto, piani urbanistici…). E l’avremo presto in piazza del Ponterosso effigiata sul simbolico tallero in forma – guarda là – di statua: una statua in memoria (come quelle di Saba, Svevo, Joyce, Ressel e pure D’Annunzio), mentre quelle del secolo d’oro erano state messe a bandiera del presente e del futuro, un lusso consentito da solida moneta circolante. Siamo la città delle statue? Non tutte parlano la stessa lingua.

Scrive Possamai: «Sui palazzi della ricca borghesia, e in primis  del capostipite Carciotti e dell’emulo Revoltella, ma anche sulla Borsa e sul Tergesteo e sulle quinte architettoniche articolate attorno alla piazza-teatro intitolata all’Unità d’Italia l’esibizione di statue dei Continenti, di Nettuno, di Mercurio, di Minerva e un’infinita serie di bassorilievi allegorici sempre richiamano al tema del mare e dei commerci, alla ricchezza e alla cultura che ne deriva e alla ricerca di un destino di benessere laicamente perseguito. Che è il seme della identità di Trieste, proclamata nella sua imago urbis».  Ed è talmente enfatica, sottolinea l’autore, questa reiterazione del repertorio di immagini e simboli «da costituire con evidenza un artificio retorico. In particolare, l’insistenza con cui compaiono le figure di Mercurio e Nettuno è una sorta di warning ribadito a ogni piè sospinto».

Il protagonista principale del pantheon è dunque Mercurio, «protettore dei commercianti e dei viaggiatori, ma pure dei ladri». I suoi segni di riconoscimento? Il caduceo, i calzari alati, un sacchetto di denaro in mano. Segue Nettuno, «il greco Poseidone re del mare», attorniato da sirene, tritoni, delfini: «Incontriamo Mercurio e Nettuno ovunque camminando per strada nella città ottocentesca, nei fregi, sui portoni di legno delle abitazioni, nelle statue, nei parapetti in ferro dei balconi, negli androni e nei cortili dei palazzi». L’unica eccezione è la Rotonda Pancera, che esibisce un vocabolario d’immagini a sé stante.

Il primo a lanciare questa grandeur, e in genere lo stile neoclassico che avrebbe permeato tutta la vistosa crescita urbana successiva, fu il greco Demetrio Carciotti arrivato a Trieste da Smirne nel 1771 (o 1775), armatore, commerciante, in breve tempo ricchissimo, che per il suo gran palazzo-magazzino chiamò con lungimiranza due artisti giovani ma di genio, Matteo Pertsch – che poi costruì mezza città, nonché il teatro poi intitolato a Verdi – e lo scultore vicentino Antonio Bosa. La casa fu eretta tra il 1799 e il 1805, e Carciotti la definì «una grandiosa fabbrica senza risparmio di spesa (…) che riuscirà di abbellimento e decoro a questa città». Anche decoro è una parola-chiave. Per le sue straordinarie e innovative caratteristiche Possamai lo definisce non un palazzo «di rappresentanza» ma «di rappresentazione». Le statue sulla facciata verso il mare rappresentano la Mercatura, la Giustizia, l’Onore, la Fama, l’Ingegno, l’Abbondanza. Traduzione: «La mercatura lungimirante e di successo contempla giustizia, onore, fama, ingegno, generosità». Ma sul tamburo della cupola il racconto prosegue con altri protagonisti: Architettura, Scultura, Pittura, Arti edili, Scienze, Astronomia, Editoria, Urbanistica, Musica, Commedia e Tragedia”. Un vaste programme. Mentre sul retro (oggi via Cassa di Risparmio) ecco i due eroi identitari: Mercurio, appunto, e Nettuno, e si tendono la mano.

Nel palazzo della Borsa (lavori coevi, iniziati nel 1799) troviamo il medesimo dizionario: Commercio, Industria, Navigazione, Abbondanza, e nelle nicchie a pianterreno Asia, Africa, Europa, America, in dialogo con il solito Nettuno della fontana che sta di fronte, e con la settecentesca Fontana dei Quattro continenti che staziona in piazza dell’Unità. Il reportage dei piani alti è davvero un racconto unitario: Pasquale Revoltella per la sua casa che cosa ordinò? Allegorie del Commercio, dell’Industria, dell’Ingegno, della Navigazione, in più Energia e Calcolo. Revoltella esibiva il proprio riscatto personale, ma anche indicava le nuove circonferenze della morale borghese. Non era solo un “mercante”, ma – sottolinea Possamai – «propriamente imprenditore immobiliare, industriale, investitore finanziario, businessman a tutto tondo, capace anche di assolvere a un ruolo diplomatico sullo scacchiere internazionale».

La passeggiata sui tetti svela l’ampiezza del codice identitario di un’epoca e di una classe sociale. In cima all’hotel Savoia che cosa c’è? Una statua di Nettuno. Che ritroviamo svettante anche sopra il Tergesteo, assieme al compagno Mercurio, e anche nel gruppo che sovrasta il palazzo ex Lloyd (oggi sede della Regione), dove è accanto a Forza, Gloria, Vulcano, e Afrodite – lei pure in vesti di «dea della buona navigazione». Ci spostiamo all’hotel Duchi d’Aosta e reincontriamo Mercurio, e all’Hotel de la Ville (oggi sede Fincantieri) dove senza risparmio i bassorilievi insistono sui medesimi concetti: Commercio, Onore, Riflessione, Navigazione, Industria. Si aggiungono però due prescrizioni inedite: Perseveranza, Beneficenza, e – raro esempio nella laicissima e cosmopolita città mercantile – Religione.

Artefice e proprietario dell’hotel era proprio il solito attivissimo e generoso Revoltella il quale, riferisce Possamai, così volle spiegare la simbologia affidata ai muri: «Sono una specie di storica allusione agli elementi maggiori da cui dipende generalmente l’elevarsi a brillante posizione, che vengono a torto appellati fortuna, dai pigri o dagli inetti, e sono invece quelli i soli mezzi che assicurano il successo».

In questa che l’autore definisce «moderna dimensione sociale laica, ostentata per via di riferimenti mitologici» rarissimi appunto sono a Trieste i richiami religiosi (casa Piller in piazza Goldoni 4, il timpano di casa Niderle in piazza della Borsa 2, il fregio dell’hotel de la Ville, e la statuaria cimiteriale dove però comunque fanno incursione anche i Mercurio o i simboli della Navigazione). L’unico segno trionfale – e trionfo del Neoclassico – è la chiesa di Sant’Antonio Nuovo firmata da Pietro Nobile negli anni Venti del XIX secolo, ma decorata appena nel 1842, che nell’attico esibisce sei statue di santi protettori, Servolo, Sergio, Mario, Giusto, Eufemia e Tecla.

E poi appunto il libro va a caccia di case private con fregi, cancelli, portoni, balconi, e il romanzo a puntate si dipana per molte vie anche semicentrali e per molte piazze. Beninteso, non è questo il primo studio sul Neoclassico triestino, ricordiamo almeno l’ottimo ed esauriente Trieste, l’architettura neoclassica. Guida tematica (curatori scientifici Fulvio Caputo e Roberto Masiero, Fachin-Comune di Trieste 1988), Arte neoclassica a Trieste di Franco Firmiani (Fachin 1989) e i tre volumi sul Neoclassico (sempre a cura di Caputo e Masiero), editi da Marsilio nel 1990 come catalogo della mostra sul tema. Ma con Possamai di nuovo c’è la decrittazione del prodotto artistico-ornamentale, che unisce a una sapiente ricapitolazione degli eventi costruttivi e decorativi la lettura del “senso” e del “significato”. Entra dunque sottilmente in campo il metodo interpretativo specifico, che è  appunto economico, e implicitamente polemico. Non per niente alla presentazione del volume che si è svolta lo scorso maggio nella sala Bartoli del Politeama Rossetti non c’erano né architetti né urbanisti o storici dell’arte, bensì l’imprenditore del caffè Riccardo Illy, l’armatore Augusto Cosulich, il presidente dell’Autorità di sistema portuale Zeno D’Agostino. Detto della storia, l’interrogativo si riverbera sulla cronaca, che periodicamente registra non solo la cadenzata chiusura di aziende e attività produttive e commerciali, ma anche lo stato di abbandono e disfacimento – molto simbolici a questo punto – proprio di palazzo Carciotti, da cui tutta la mise en scene era cominciata.

 

Paolo Possamai

Nettuno e Mercurio.

Il volto di Trieste nell’800

tra miti e simboli

prefazione di Giuseppe Pavanello

illustrazioni di Fabrizio Giraldi

e Manuela Schirra

Marsilio Arte, Venezia 2022

  1. 159, euro 28,00