Muse usa e getta

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Il “posare” di tante donne sembra quasi una donazione intima senza riscatto, fusa e confusa con storie d’amore disequilibrate se non addirittura tossiche

di Gabriella Ziani

 

Lo scorso giugno sono andate all’asta a Parigi 750 foto inedite di Dora Maar, fotografa, pittrice e poetessa del surrealismo francese, una delle tante donne amate, ritratte,  e moralmente “uccise” da Picasso. Ebbe con lui una relazione fra gli anni Trenta e Quaranta, e finì come le precedenti e successive donne-modelle del pittore quasi pazza di gelosia e furore. La salvarono il carattere forte, una cultura solida e l’autonomia professionale (fino al 25 settembre sono in mostra a Torino opere della Maar e di Picasso, dalla Pinacoteca Agnelli).

Dora, nata nel 1907, figlia dell’architetto croato Josip Marković che aveva fatto fortuna a Buenos Aires prima di rientrare a Parigi e dedicarsi all’attività diplomatica, non fu solo La femme qui pleure (1937), quella maschera di sofferenza che Picasso le attribuì nel celebre quadro cubista, disfacendone i connotati. E neppure la dama angolosa intitolata appunto Dora Maar, quadro che nel 2006 è stato battuto da Sotheby’s per 85 milioni di dollari. Eppure, come tutte le sue “muse” – e in genere come la maggioranza delle “muse d’artista” – fu usata e gettata.

«Lui è uno strumento di morte – disse Dora quando fu brutalmente soppiantata -, non è un uomo, è una malattia». Quanto a Picasso, il suo narcisismo “femminicida” è noto, e pure esplicitato: «Ogni volta che cambio donna – affermò – dovrei bruciare la precedente. Così me ne sbarazzerei, e non sarebbero tutte lì a complicarmi l’esistenza […]. Si uccide una donna e si cancella il passato che rappresenta». L’alone di morte si estese anche dopo quella dello stesso artista, nel 1973. Nel ’75 si suicida il figlio Paulo, nel 1977 si impicca un’altra delle sue compagne, Maria-Thèrese Walter, nel 1986 si spara Jacqueline Roque, l’ultima moglie. Dora muore sola e abbandonata nel 1997. Avrebbe detto: «Non mi sono uccisa solo per privarlo della soddisfazione» (vedi, fra le tante, la biografia Picasso di Patrick O’Brien, Tea, Milano, 1996).

Caso noto, caso estremo. Ma le “muse inquietanti”, come De Chirico intitolò il suo celebre quadro che rappresenta oniriche figure senza volto in uno spazio vuoto e silente, sono quasi una categoria a sé stante di sfortune e infelicità. Non sempre a causa soltanto degli artisti, o di sbilanciate dinamiche sentimentali. Per esempio non fu colpa di Sandro Botticelli se la bellissima Simonetta Cattaneo Vespucci, considerata l’ispiratrice della Nascita di Venere e della Flora che appare nella Primavera, si spense per malattia a soli 23 anni, nel 1476. Più complesso sondare il mistero di Margherita Luti, la celebre Fornarina amata da Raffaello Sanzio, di cui si dice che scelse il convento dopo la morte di lui (1520).

Il “posare” di tante donne sembra quasi una donazione intima senza riscatto, fusa e confusa con storie d’amore disequilibrate se non addirittura tossiche. Prendiamo le donne di Modigliani. La sua prima musa, tante volte ritratta, fu Beatrice Hastings (nome d’arte di Emily Alice Haighs, nata a Londra nel 1879, giornalista e scrittrice). Ebbe con l’artista una turbolenta relazione a Parigi, di soli due anni. Si suicidò col gas nel 1943, in Inghilterra. Il successivo grande amore di Modì, la pittrice Jeanne Hébuterne che gli aveva dato una figlia, si buttò dalla finestra due giorni dopo che la tubercolosi aveva portato a morte il trentacinquenne artista, nel 1920, a Parigi. Era incinta al nono mese. Esse sopravvivono per sempre legate alla tela e alla fama dello scapigliato Modì: ritratti sopra ritratti, il collo lungo, il viso spento, gli occhi bui.

Ma più indietro si va, peggio si trova. Vicende ingarbugliate s’intrecciano alla corte dei Preraffaelliti, la corrente artistica nata in Inghilterra nel 1848, antesignana del Liberty e del Simbolismo. Per Elizabeth “Lizzie” Eleanor Siddal (Londra 1829-1862) non fu una fortuna personale incontrarli, anche se la trasformarono in una icona potenzialmente eterna. Era brava nel disegno, e poetessa, e fu presentata alla “confraternita”. Posò dapprima per William Holman Hunt, e poi per John Everett Millais. Il quale la scelse nel 1851 per incarnare la sua celebre Ofelia shakespeariana, nell’atto di morire annegata. Per creare la scena Millais fece stendere la modella nella vasca da bagno piena d’acqua, e per riscaldare l’acqua pose sotto la vasca delle lampadine. Che presto si fulminarono. Lizzie prese una polmonite che le minò per sempre la salute, tanto che la famiglia pretese e ottenne dall’artista un indennizzo per le spese mediche di ben 50 sterline.

Intanto per Lizzie era nato un nuovo grande amore, con Dante Gabriel Rossetti, l’altro genio del gruppo. Il quale ricambiava con ardore ma osò sposarla appena nel 1860, dopo anni infarciti di mille scuse e rinvii: era fanciulla di umili origini, il ruolo della modella nell’Inghilterra vittoriana era più o meno equiparato a quello della prostituta e il pittore temeva il veto della propria famiglia. Lizzie si consumava fra gelosie e depressioni. Nel 1861 ebbe un figlio nato morto. E fu il tracollo. Di lì a poco il marito la trovò senza vita nel suo letto (aveva forse ecceduto col laudano, la droga di quel tempo). Il pittore Ford Madox Brown consigliò l’amico Dante Gabriel di distruggere la lettera di addio della moglie: il suicidio all’epoca era scandaloso e pure illegale. Disperato alla follia, il pittore nel 1870 ritrarrà la moglie, defunta a soli 33 anni, nei panni della dantesca Beata Beatrix. Come Dante Alighieri, anche Dante Gabriel aveva perso prematuramente il suo amore ideale.

Così morbosamente idealizzata, la Siddal ha ispirato nel tempo molti altri creativi di varie arti, addirittura – si dice – il regista Tim Burton per il film La sposa cadavere, mentre il disegnatore Marco Tagliapietra le ha dedicato un graphic novel, Elizabeth, e la Bbc nel 2009 l’ha resa protagonista, con tutti i Preraffaelliti, di una serie televisiva, Desperate Romantics (la bibliografia è enorme, ma per una sintesi di queste e altre notizie vedi Preraffaelliti, l’utopia della bellezza, catalogo Sole24 Ore della mostra tenutasi a Torino nel 2014. La biografia più completa è a firma di Lucinda Hawksley: Lizzie Siddal. Il volto dei Preraffaelliti, Odoya 2012).

Per Millais si aprì poi un’altra storia strana, stavolta a lieto fine. Nel 1855 sposò Effie Gray, che da allora fu la sua musa di riferimento. Effie però era reduce da uno scandalo enorme. Aveva inizialmente sposato John Ruskin, il grande critico, artista e studioso di arte, che con varie scuse e qualche brutalità la tenne a molta distanza, tanto che il matrimonio per oltre sei anni non fu consumato. A quel punto, sfidando le ire del mondo, l’inevitabile clamore pubblico e la propria personale reputazione, nel 1854 la giovane trovò il coraggio di lasciarlo e di chiedere l’annullamento delle nozze. Ci fu un processo che mise in piazza tutto quanto, con devastante gossip. Ruskin, che aveva fatto le fortune dei Preraffaelliti come critico, e le sue personali con la pubblicazione di Le pietre di Venezia, rifiutò di testimoniare a proprio favore, e l’etichetta dell’impotente non gli si staccò di dosso, tanto da subire il veto al matrimonio da parte della famiglia di una ragazza che in seguito avrebbe volentieri sposato.

Invece Effie e Millais ebbero otto figli, lei fu sua attenta e ambiziosa consigliera oltre che modella, e coautrice delle sue fortune economiche, e alla fine di una lunga vita molto attiva e mondana riuscì a essere ricevuta a corte: fino ad allora il rigido perbenismo della regina Vittoria le aveva negato l’onore cui tanto teneva, per via dell’originario pasticcio matrimoniale. Tutta la vicenda è ottimamente raccontata da Suzanne Fagence Cooper in Effie Gray. Storia di uno scandalo (Neri Pozza 2015). Scandalo sì, ma anche riscatto.

Il riscatto mancò del tutto a una grandissima artista che finì schiacciata dal rapporto viscerale e sfortunato con il suo maestro. Il maestro era lo scultore Auguste Rodin e fin troppo nota è la brutta fine che fece la sua giovane allieva, musa, modella e amante Camille Claudel (1864-1943), che dopo la rottura della intensa relazione, nel 1898, causata dal fatto che lui rimase con la donna cui era legato da anni, continuò a lavorare solo saltuariamente, perseguitata da una passione negativa e da una sorta di delirio. A cenotafio di questo rapporto drammatico, entrambi produssero una scultura evocativa, lui Fugit amor, e lei L’età matura.  Nel 1913, con una soluzione che all’epoca era purtroppo molto di prassi, Camille – che aveva sfidato il perbenismo borghese con il suo stile di vita e le sue opere – fu rinchiusa dalla famiglia in manicomio, e lì rimase per trent’anni, fino alla morte nel 1943. Inutilmente supplicava, sana di mente com’era, di essere restituita all’esistenza, meno che mai l’ascoltò il fratello una volta amato, l’ormai famoso scrittore Paul Claudel. Rodin si era spento nel 1917. Di lei aveva detto: «Io le ho mostrato l’oro, ma l’oro che trova è tutto suo». Un omaggio al talento, ma la vita era un’altra cosa: di tutto fatta meno che d’oro. A questa preziosa e sfortunata artista sono stati dedicati due film biografici, nel 1988 per la regia di Bruno Nuytten è Isabelle Adjani a interpretare Camille, nel 2013 (regista Bruno Dumont) il ruolo passa a Juliette Binoche.

Il corteo delle muse e modelle è costellato di molte altre storie più o meno amare o morbose. Anche Marie Geneviève van Goethem, la deliziosa ballerina quattordicenne che Edgar Degas rese immortale sulla tela e nella famosissima, iconica scultura realizzata in più versioni tra il 1865 e il 1881, posando per lui dietro le quinte dell’Opera di Parigi, fu demonizzata dalla stampa, accusata di pessime frequentazioni, che forse in parte c’erano, e licenziata dopo che alla sorella fu imputato di aver rubato soldi proprio al teatro… Ma fermiamoci qui. Per gli interessati, ecco altre occasioni di approfondimento: Lauretta Colonnelli, Le muse nascoste, Giunti 2020;  autori vari, a cura di Arianna Ninchi e Silvia Siravo, Musa e getta. Sedici scrittrici per sedici donne indimenticabili (ma a volte dimenticate), Ponte alle Grazie 2021; Pia Rosenberger, La scultrice. Vita di Camille Claudel, Beat 2022; Camille Laurens, La piccola ballerina di Degas, Edt 2021.

 

 

John Everett Millais

Ophelia

1851, olio su tela

Londra, Tate Gallery